Siamo sicuri di essere giovani? è l’album d’esordio del cantautore bolognese Jacopo Et, già autore per alcuni grandi artisti come Max Pezzali, Fedez e molti altri. Uscito con la label Garricha Dischi lo scorso 12 novembre, il disco è una generosa autobiografia che spazia da una sonorità all’altra fino a stupirci con un monologo che non si appoggia su alcun suono.
Non lasciatevi ingannare dalla domanda che dà il titolo all’album: la giovinezza di cui parla Jacopo Et non è di certo quella anagrafica, per essere giovani bisogna avere il coraggio di seguire la propria natura contro ogni pregiudizio. Ad arricchire l’album anche le collaborazioni trasversali di Jake La Furia, Lo Stato Sociale e Fresh Mula.
Eravamo già state al party di release in esclusiva al Moretto e ve lo abbiamo raccontato in una gallery fotografica.
Adesso abbiamo raggiunto Jacopo per farci una chiacchierata, qui la nostra intervista:
L’album esordisce con una domanda che potrebbe da subito mettere in crisi molti: Siamo sicuri di essere giovani?
«È una domanda che ho fatto al me di sei anni fa, indubbiamente più giovane ma soltanto anagraficamente, perché, avendo seguito ciò che mi dicevano gli altri e non ascoltando la mia testa, ho imboccato un percorso lavorativo più inquadrato, l’attività di legale, sicuramente più formale e lontana dal mondo della musica. È quindi una domanda simbolica rivolta ai giovani in realtà, e non ai più vecchi come si potrebbe immaginare. È troppo facile accomodarsi sull’età anagrafica, ma poi cosa fai davvero per essere giovane nella tua vita?».
A proposito di questa giovinezza, nel brano Diversa racconti le critiche degli altri per cui è sempre meglio il posto fisso e non di certo fare musica. Alla luce della tua scelta, se dovessi rispondere qui a queste critiche, cosa risponderesti alla domanda “riesci a campare scrivendo canzoni”?
«Totalmente sì. Ma la cosa fondamentale per farlo è non pensare da subito di non riuscirci altrimenti non ci si riesce davvero. Non bisogna ascoltare gli altri, c’è ancora del margine per inventarsi una propria strada e riuscire a renderla un mestiere mettendoci tutto il proprio impegno».
Abbiamo capito che sei uno che non la manda a dire! Questo si può evincere anche da Post genere: la musica non ha regole e non ha bisogno di etichette. Ti stanno strette certe etichette nella musica?
«C’è stato un periodo recentissimo in cui o eri indie o eri trap o non andavi bene. Secondo me il filo conduttore tra le canzoni deve essere costituito dal modo di scrivere e dal modo di cantare, dovrei essere io in teoria il filo conduttore tra le canzoni. Se manco io allora ho bisogno di rifugiarmi dietro al genere, al sound. Per me il lavoro da fare per produrre un disco è lavorare su sé stessi affinché il messaggio che esce dalla voce sia chiaro».
Non è difficile scorgere il tuo “io” nell’album che è davvero una generosa autobiografia. Non a caso, a metà del disco, di sorpresa, c’è un vero e proprio stacco, un pezzo di vita raccontata senza la musica. Una scelta insolita.
«Mi piaceva tanto l’idea di dare un po’ di cinema attraverso questo monologo che era un po’ un azzardo e un po’ una provocazione nell’epoca del “singolone”. Inoltre il disco è stato molto pensato, canzone per canzone, in modo da creare un racconto unico, e ciò che all’inizio era nato come semplice linea guida da seguire ai fini dell’intero album, alla fine ha preso le forme di un recitato che rompe un po’ gli schemi».
La vecchia guardia, in collaborazione con Jake La Furia, traduce una forte nostalgia e uno sguardo puntato al passato: “Impareremo ad andare avanti con la retromarcia”, “è finito il secolo dei motorini”. Hai nostalgia per una una ricchezza che non c’è più?
«Ho nostalgia di un sacco di cose! Scoprire che oggi gli smartphone superano le vendite degli scooter non nego che è una cosa che mi colpisce nel profondo: come si fa a non volere con tutta la forza del mondo uno scooter a quattordici anni? Per me uscire, andare al bar e beccare la gente di persona è sicuramente molto più interessante del digitale.
Però, dall’altra parte, credo che in questo periodo storico ci siano molte cose più positive, abbiamo sicuramente raggiunto livelli più alti, quindi non voglio che il mio punto di vista passi per eccessivamente nostalgico. Bisogna prendere dal passato il bello e buttare ciò che non va più bene».
A proposito di bar e di incontri, in Gli racconteremo si evince la bella amicizia che hai con i ragazzi de Lo Stato Sociale con cui hai scritto e cantato il pezzo e con cui, mi pare di capire, non mancano le “balotte”!
«Esatto. Nel brano c’è una grande dose di ironia perché è un elenco di cose che si fanno nelle serate da non raccontare semmai dovessimo avere dei figli. Con loro c’è una bellissima amicizia, siamo abbastanza compatibili sotto molti aspetti, e questo ci lega anche in termini di balotte! È impossibile trovarsi male con loro».
Adesso cosa ci dobbiamo aspettare? C’è un tour in vista?
«Abbiamo parlato dei live, ma ancora non ci sono delle date. Sicuramente mi piacerebbe tantissimo fare dei concerti perché è un disco che secondo me cantato live dà delle sensazioni ancora diverse, il live fa parte del disco, non è un disco da streaming».
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