Cosa rende unica Bologna?
Se lo chiedete a Marco Ficarra, vi risponderà attraverso linee e colori. Dimenticatevi delle classiche guide turistiche. Da anni, questo fumettista e illustratore esplora Bologna e il mondo del fumetto da prospettive sempre nuove. Con il suo nuovo progetto editoriale, ci porterà in un tour che scava nel passato di una città che non è solo torri e portici, raccontandola attraverso un mezzo insolito: il fumetto.
Il 15 novembre alle 18.30 si terrà la presentazione della prima guida della città a cura di Marco Ficarra presso il centro La Pace di via del Pratello (qui i dettagli: https://fb.me/e/2HyrNdWen). Il 26 novembre ci sarà una visita guidata del centro di Bologna a cura della Sala Borsa, dove i visitatori saranno portati in giro per il centro della città. Per questa data è necessaria l’iscrizione. Qui il link:
Fumettista, professore, disegnatore, pittore, esperantista e viaggiatore. Nel 1996 fonda a Bologna con Andrea Accardi a cui poi subentra Marco Tamagnini lo studio RAM che si occupa di grafica, comunicazione web, formazione, consulenza, è un service editoriale e per il Sole 24 cura la sezione fumetti 24ore Cultura.
Marco sei anche autore di una guida a fumetti dal titolo Bologna itinerari a fumetti per una giornata in città che fa parte di una collana della casa editrice 24 Ore Cultura. La prima cosa che devo chiederti è: perchè proprio una guida sulla città?
Questo progetto lo abbiamo suggerito alla Casa Editrice. Ci avevano chiesto nuove idee, di sviluppare nuovi progetti editoriali. Abbiamo pensato che una guida a fumetti sulle città non esisteva, o almeno non esiste in Italia. C’è qualcosa che si avvicina, però sono quasi sempre progetti autoriali. Noi volevamo fare una vera e propria guida, però con itinerari a fumetti.
Nel farla c’è qualcosa che hai scoperto, che non conoscevi della città e che ti ha colpito particolarmente?
Beh, devo dire che tantissime cose! La quantità di musei che ha questa città è incredibile. Ne conoscevo diversi ma di alcuni non ne immaginavo neanche dell’esistenza.
Mi citi almeno un esempio?
La collezione delle cere anatomiche Luigi Cattaneo a Palazzo Poggi. Mi hanno colpito questi calchi. Pochi sanno che nel Settecento la città di Bologna è stata una vera e propria capitale della ceroplastica.
Nel Seicento l’autopsia era diventa una pratica molto comune nelle università di tutta Europa, dove iniziava a diffondersi l’arte di riprodurre figure umane intere o parti anatomiche a scopo didattico. E inoltre la cera era economica e facile da reperire. È così che sono nate intere collezioni anatomiche in cera, pensate per la preparazione degli studenti di medicina che dissezionavano i cadaveri nei teatri anatomici.
Quale pensi sia l’aspetto o l’atmosfera che differenzia Bologna dalle altre città italiane e che volevi assolutamente trasmettere attraverso questa guida?
Quello che ho cercato di raccontare è che questa è una città che ha tanti aspetti diversi che convivono tra loro. È una città medievale, quindi turistica per eccellenza, con i suoi vicoli e stradine. Però al tempo stesso è ricchissima dal punto di vista culturale e molto contemporanea. È a misura d’uomo ma piena di stimoli, non guarda solo all’Italia, ma all’Europa. La trovo internazionale insomma pur mantenendo degli aspetti decisamente provinciali. Ha i piedi nel passato ma lo sguardo verso il futuro. Chiaramente non è tutto perfetto, però c’è questa convivenza di sfaccettature e personalità che secondo me funziona. Per esempio il Mast, una fondazione incredibilmente moderna e internazionale si sposa perfettamente con la città medievale dei Portici. Anche il Museo di Ustica, altrettanto moderno e contemporaneo, e molto toccante, dialoga alla perfezione con la storia, anche molto drammatica, di questa città.
Com’è cambiato il mondo del fumetto a Bologna rispetto agli anni in cui hai iniziato tu?
Io ho avuto la fortuna di vedere la fase finale dell’esperienza di Luigi Bernardi e della casa editrice che ha fondato e da cui tutto è nato, mi verrebbe da aggiungere. Ci sono state anche altre esperienze, però Granata Press ha avuto un ruolo fondamentale per il fumetto italiano e non solo.
Luigi Bernardi è venuto a mancare qualche anno fa. Era un intellettuale, e anche un grande esperto di fumetti. Ha scoperto Carlotto e Machiavelli per citarne alcuni.
Pensa che era così avanti che ha portato il fumetto internazionale, americano e manga, in Italia e in Europa. Parliamo dei primi anni ’90, quindi è stata un’innovazione assoluta. C’erano anche fumettisti bolognesi, ma in realtà erano in pochi di Bologna.
Era un mondo molto piccolo, composto al 99% da uomini. Le donne erano quasi inesistenti.
E oggi come siamo messi a quote rosa?
Oggi è un mondo ricchissimo, sia dal punto di vista dei contenuti che della partecipazione. È variegato e molto stimolante.
In realtà variegato e stimolante lo era anche all’epoca. Ma per motivi diversi. Eravamo all’inizio e tutto doveva ancora essere ancora inventato. A quei tempi Bologna era un punto di riferimento in Italia.
I disegnatori erano pochi, ma i loro nomi erano di altissimo livello: il gruppo Valvoline con Igort, Lorenzo Mattotti, Daniele Brolli, Marcello Iori. Prima c’era Pazienza, Magnus e subito dopo sono arrivati Francesca Ghermandi, Stefano Ricci, Giuseppe Palumbo, e ancora Mondo Naif con Gabos, Vanna Vinci, Onofrio Catacchio, Sara Colaone, Davide Toffolo, Andrea Accardi e tanti altri. È stato un periodo d’oro per il fumetto.
La scrittura nasce dal disegno, nel fumetto ritorna al disegno. È una tua citazione. Possiamo dire che il fumetto li ha uniti entrambi. Come cambia l’impatto delle parole quando si fondono con l’arte visiva?
Questa domanda per me rappresenta un po’ il cuore, l’essenza di quello che ho sempre spiegato in Accademia. Quando parlo di lettering del fumetto, parlo della parte di testi. E bisogna sapere una cosa: il processo di creazione della scrittura nasce proprio dal disegno. I graffiti primitivi sono segni che rappresentano delle cose, poi diventano idee e a un certo punto da idee diventano scrittura.
Per esempio?
L’A nasce dal toro, dal disegno del toro, dalla testa del toro, poi viene capovolta e diventa la lettera A dell’alfabeto. Il passaggio dal disegno alla lettera è netto, chiaro, evidente.
Nel fumetto c’è una potenza, una forza perchè si ritorna all’origine. Quando scrivo delle lettere, all’interno del fumetto, posso caratterizzarle col disegno. E questo imprime loro una potenza molto più forte rispetto alla semplice scrittura. Ti faccio un esempio.
Se io in un testo scrivo la parola fuoco, uso le lettere F-U-O-C-O.
Se io queste lettere in un fumetto le scrivessi infiammate, come se prendessero realmente fuoco, darei al lettore non solo l’informazione della parola, ma la renderei emotiva, perché coinvolgerei più i sensi.
Io una striscia posso leggerla, non solo guardarla.
Sono i due momenti della lettura.
Ho una curiosità: quando crei una tua opera come scegli quale dei due linguaggi valorizzare in una scena?
Io parto sempre da un’idea astratta, non è né un’immagine né un testo. È una specie di narrazione complessa che non ha ancora una forma precisa né una parola precisa.
Lavorandoci, questa massa informe via via inizia a delinearsi nella parte scritta e nella parte grafica. Perciò non c’è una cosa prima dell’altra, ma sono un insieme che pian piano diventa un flusso. È un’emozione che prende forma.
Sei un esperto di lettering ovvero delle parole che si trovano nel fumetto. Infatti lo insegni all’Accademia delle Belle Arti di Bologna e hai pubblicato nel 2012 il primo manuale di lettering di fumetto in Italia.
Il prossimo anno esce una nuova edizione completamente rinnovata e aggiornata alle tecnologie attuali. È un libro molto tecnico ma ha anche una parte teorica. Per esempio è interessante vedere la nascita della scrittura, il passaggio dal disegno all’alfabeto.
Un altro aspetto interessante è che prendo in esame alcune tavole di autori internazionali e italiani, e le analizzo dal punto di vista del lettering.
Spiego come le parole, la composizione dei testi, delle onomatopee, siano parte integrante della narrazione stessa. Il lettering stabilisce il ritmo di lettura, e quindi stabilisce il ritmo della storia.
Chi è alle prime armi commette spesso l’errore di scrivere tantissimo testo e magari c’è una scena d’azione. Non va bene.
Infatti la domanda seguente è: il lettering è una parte fondamentale per dare voce ai personaggi, ma anche per guidare il ritmo di una storia. Quali sono i segreti o le tecniche che utilizzi per dare voce alle parole nel disegno?
Non ci deve essere una ripetizione: bisogna far vivere i due linguaggi, il disegno con la scrittura. Quello che dici con le immagini non c’è bisogno di ripeterlo con le parole e viceversa. È il mio primo suggerimento. Sono due linguaggi che si completano, ma saper fare una sintesi è fondamentale.
Nel tuo manuale di lettering, citi le porno-onomatopee. Non ho potuto fare a meno di chiedermi: ma se le onomatopee classiche nei fumetti di Jacovitti sono SLONF per una pistola estratta a gran velocità o PUM per uno sparo o ancora SPU per uno sputo, nelle porno_onomatopee cosa succede?
Allora le porno onomatopee…
Le onomatopee sono un linguaggio interessantissimo, è la rappresentazione grafica dei suoni. Tu leggi un fumetto e sai che quelli non sono testi, non sono parole, ma sono suoni in mezzo a un disegno. E sai che non sono reali. Ma c’è una magia e li capisci, li senti.
C’ è una partecipazione attivissima per il suono, tant’è che le porno onomatopee sono fondamentali nella rappresentazione di ciò che accade.
Non vuoi rispondere alla domanda?
Ridiamo entrambi.
La cosa interessante delle porno onomatopee italiane è che anche tutti i suoni vengono italianizzati. Solitamente nei fumetti si usano parole inglesi o americane che poi vengono adottate anche in italiano.
Nelle porno onomatopee italiane invece è tutto un “suc-suc”, “tincul-tincul” e suoni di questo tipo. Perchè devono essere comprensibili per un lettore italiano. Insomma possiamo considerare il lettering la colonna sonora del fumetto.
Ora parliamo dello studio Ram: raccontami cosa fate.
Innanzitutto Studio Ram fa 28 anni nel campo del service del fumetto. Si può dire che siamo storici…
Abbiamo incominciato come service poi ci siamo iniziati a occupare anche di gadget di giocattoli per bambini e poi abbiamo sviluppato la parte tecnica per l’animazione per Sergio Bonelli Editore, per la Rai.
Da circa 5 anni state lavorando con Disney Italia ma per progetti americani che verranno poi distribuiti in tutto il mondo.
Quando ci ha contattato, la Disney non sapevo chi fossimo. Stava cercando qualcuno che si occupasse di lettering per il fumetto e trovava sempre noi.
Insomma siete indicizzati molto bene.
Per loro ci occupiamo di fare il lettering sia di nuove storie che di riadattamenti di storie precedenti. Fare il lettering significa aggiornare, a volte anche ridisegnare, il balloon, praticamente individuare il fondo giusto, per rifare le nuvolette dei fumetti.
Abbiamo anche lavorato per Riot Games, che è una delle più importanti società di sviluppo di videogiochi. Per loro facevamo il fumetto, spesso disegnato in verticale per la versione digitale.
Abbiamo realizzato anche i lettering, in nove lingue diverse: portoghese, polacco, rumeno, spagnolo, inglese, tedesco ecc. Perché la nostra caratteristica è quella di saper fare il lettering internazionale. Usando font internazionali, abbiamo gli accenti di tutto il mondo.
Per Riot Games abbiamo anche fatto un adattamento del logo di un videogioco in vietnamita. L’originale era in americano.
Inoltre sviluppiamo contenuti per l’editoria. E inventiamo anche le storie per gli You Tubers.
Un’altra cosa molto interessante di cui ci occupiamo sono i gadget. Si tratta di un mondo a parte, legato ai giochi per bambini. Noi li inventiamo, poi l’editore li produce. Ma ci piacciono le contaminazioni per cui cerchiamo sempre di portare un pò di cultura del fumetto anche all’interno di questo tipo di progetto.
Nel 2009 nasce il progetto Stalag XB, e prima ancora di essere un fumetto per BeccoGiallo, è un viaggio nel passato, che ti riporta alle radici, alla tua famiglia. Attraverso le lettere di tuo zio, morto in un campo di concentramento nazista, hai ricostruito, come in un diario, la sua storia e quella degli internati militari italiani nei campi di concentramento. Si tratta di una storia poco conosciuta, ma molto importante e significativa. Vuoi raccontarci qualcosa?
Per me è stata una scoperta. Nel 2007 ricevo da mio padre delle lettere scritte da mio zio, lettere che mandava da un campo di concentramento, anzi da vari campi di concentramento. Ho iniziato a fare delle ricerche. Mi sembrava strano che uno che stava in un campo di concentramento scrivesse delle lettere.
Ho scoperto cosa c’era dietro. Lui era un militare italiano. L’8 settembre 1943 viene catturato in Grecia e con tantissimi militari italiani, quasi un milione, vengono deportati in Germania. Viene firmato l’armistizio l’armistizio tra l’Italia e gli alleati, e i tedeschi hanno già un piano per catturare i militari italiani a cui viene imposta un’opzione: o si aderisce da subito all’esercito tedesco, nella fase di nascita della Repubblica di Salò, e in quel caso si può tornare in Italia o si rimane nei campi di concentramento. La maggioranza dei militari italiani, oserei dire la quasi totalità, decide di rimanere nei campi di concentramento.
Tra quelli che aderiscono alla Repubblica di Salò, appena arrivati in Italia, per lo più scappano, vanno nelle montagne e formano la resistenza.
È l’inizio della resistenza?
Perché sono i primi che sanno usare le armi e lo insegnano agli altri. Questa storia era poco conosciuta all’epoca. O comunque se ne parlava poco.
Perché?
Perché si tratta di militari che sono stati nei campi di concentramento. Molti sono morti, ma quelli che sono riusciti a tornare sono certamente antifascisti e antinazisti. È naturale che odino il nazismo. Ma tutto il mondo degli ufficiali aveva senza dubbio una posizione politica più moderata rispetto ai comunisti
E questo politicamente significa…
…che in qualche modo è stata dimenticata questa storia.
È il segno di una sconfitta. Un esercito che viene catturato in due giorni da un ex alleato non è un fatto da raccontare.
L’8 settembre italiani e tedeschi diventano nemici. Nel giro di due giorni questi ultimi avevano già preparato un piano per catturare tutti gli italiani.
Le lettere di mio zio vanno dall’8 settembre ’43 fino a marzo ’45 quando non si hanno più sue notizie di lui. Raccontava alla famiglia di stare benissimo. “Qui mangiamo e stiamo bene”. Ma si trovava un pieno inverno in Polonia. E aggiunge: “però vi chiedo se mi mandate del cibo e dei vestiti”. Lo domanda perchè sta morendo di fame e di freddo, ma non può dirlo.
Gli era proibito parlarne?
Sì, queste lettere erano sotto censura.
Da questa storia ho creato un fumetto per Beccogiallo, poi ho fatto un viaggio per visitare i luoghi in cui era stato incarcerato mio zio e negli anni successivi ho scoperto ulteriori dettagli grazie alle testimonianze dei figli di ex internati tra cui la figlia del suo migliore amico. E ho scoperto che è stato suo padre a comunicare alla nostra famiglia la morte di mio zio. Ora lei è una mia cara amica. È un cerchio che si chiude.
Cosa sono i cibi prelibati?
Sono una cosa drammaticissima. Mio zio aveva fatto un elenco dei cibi prelibati che desiderava, tra cui i piatti che gli cucinava la mamma. Questo ci fa capire il livello di fame che doveva avere.
Nel 2016 avete ospitato Elena Guidolin con la quale è stato realizzato un libro sulla tortura per BeccoGiallo Editore. Si pensa sempre al fumetto come a qualcosa di divertente e leggero, ma molte graphic novels affrontano anche argomenti molto tosti. Penso a Maus di Art Spiegelman o Palestina di Joe Sacco. Secondo te, cosa rende il fumetto uno strumento efficace per affrontare tematiche così complesse come la tortura o i conflitti internazionali?
Il fumetto è un linguaggio come il cinema, come la musica, e quindi dà la possibilità di affrontare qualsiasi tema. Il problema è come riesce a raccontare quel tema in modo adeguato, quindi non è solo una caratteristica del fumetto, ma è di chi racconta quella storia e di come la racconta,
Ma col fumetto puoi inventare quello che vuoi. È un segno su un foglio di carta e questo ti permette di viaggiare tra passato e futuro, di usare tutti gli effetti speciali che vuoi e di osare.
È un linguaggio che può diventare molto coinvolgente.
Senza arrivare alla crudezza di alcune immagini…
Esatto. Per questo libro abbiamo cercato di coinvolgere lo spettatore in diversi episodi drammatici di tortura, per far capire non tanto la crudezza e la violenza, ma la drammaticità. Fino a dove si può spingere l’animo umano.
La vita degli altri è un progetto che ha preso vita diversi anni fa. “L’idea era pubblicare un ritratto al giorno su Instagram. I volti ritratti sono frame di vita colti nella loro quotidianità, immersi nei loro pensieri, gioie, tristezze, drammi, inquietudini, certezze, dubbi e insulsaggini. La vita nelle sue più diverse forme ed emozioni”. Hai creato questo progetto insieme a tuo fratello Davide che ha scritto i testi. Da dove nasce quest’idea? Si tratta di persone e storie reali o inventate?
Nascono prima i disegni. A me piace fare ritratti. E di solito non faccio un ritratto vero, non mi interessa la somiglianza della persona. Posso prendere ispirazione dalla realtà in maniera molto casuale, ma devo sentire un’emozione che mi permetta di catturare un frammento di quella persona. È un frame dentro il quale leggo per un attimo mentre sto disegnando. Non sto rappresentando la sua esteriorità, ma il pensiero che c’è dentro. A mio fratello, che scrive romanzi, è piaciuto molto questo progetto e mi ha proposto di affiancare dei testi a ogni personaggio. Ne abbiamo scelti un centinaio. Lasciandosi ispirare da questi volti, ha immaginato storie di vita altrui che sembrano attingere a frammenti di vita reale.
Ti chiedo un’ultima cosa, una curiosità fuori dal tuo mondo lavorativo. Nella tua biografia compare una parola poco comune: esperanto. È la più conosciuta lingua ausiliaria internazionale, ovvero una lingua artificiale creata ad hoc per permettere a persone di differenti nazioni e di lingua diversa di comunare tra loro. Nel 2015, insieme a Michela Concialdi, hai creato un’associazione esperantista a Bologna. Cosa fate ma soprattutto cosa fa l’esperanto che l’inglese oggi non fa?
Mi sono imbattuto nell’esperanto per caso. Mi sembrava interessante che esistesse una lingua totalmente inventata e parlata da poche persone.
Permette in maniera molto facile di comunicare con altri individui. L’idea che sta alla base è che non è una lingua che appartiene a qualcuno, è una lingua che appartiene a tutti. Nel momento in cui io la parlo, diventa la mia lingua senza essere portatrice anche di altri concetti, altre culture, altri poteri. E nessuno la può rappresentare meglio di me. Non avviene questo per una lingua come l’inglese. A me piace moltissimo l’inglese ma l’esperanto porta con sé un concetto di neutralità. Quand’è nato a fine ‘800 aveva l’obiettivo di far comunicare le persone affinché non ci fossero più guerre, rendendo facile la comunicazione tra i popoli.
Possiamo concludere questa’intervista con una frase in esperanto?
Esperanto Estas ludo malfermita al ĉiuj, kie la reguloj estas simplaj kaj ĉiu povas senti sin parto de komunumo sen baroj aŭ limoj.
Che tradotto in italiano diventa: l’esperanto è un gioco aperto a tutti, dove le regole sono semplici e chiunque può sentirsi parte di una collettività senza barriere né confini.
Un pensiero che ben rappresenta gli esperantisti di oggi, meno interessati al tema dell’Esperanto come lingua universale ma rivolti a una comunicazione orizzontale e paritaria tra le culture del mondo. Comunicazione che permetta di raggiungere una democrazia linguistica e una valorizzazione delle lingue locali.
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