Quali colori assocereste a Bologna? Sicuramente il rosso e il blu per ovvie ragioni calcistiche. Quello stesso rosso richiama non solo l’identità politica della città, ma anche quella architettonica con le tonalità che vanno dal rosso al salmone tipiche del mattone bolognese, ampiamente utilizzato in passato a causa della grande disponibilità di argilla locale: Bologna “la Rossa”. Ma nella tavolozza non dovrebbe mancare il giallo, data la notevole tradizione di giallisti legati alla città: Carlo Lucarelli e Grazia Varasani, solo per citarne un paio.
Bologna “la Gialla” è lo sfondo giusto per la nostra intervista a Tom Benjamin, cresciuto nel nord di Londra, ma residente da quasi vent’anni a Bologna; ex portavoce di Scotland Yard, oggi è un giallista con diversi romanzi all’attivo. Il primo di questi, “Compagni di sangue”, è da poco uscito in Italia per Pendragon.
Un ex militante rivoluzionario viene trovato morto nei canali sotterranei di Bologna, città attraversata da proteste e tensioni. Toccherà a Daniel Leicester, investigatore inglese trapiantato sotto le Due Torri, svelare i legami oscuri tra gli Anni di Piombo e le contraddizioni della “Città del cibo”: corruzione, ideali traditi e poteri occulti che minacciano di incendiare di nuovo la Bologna “dotta, grassa e rossa”.
Abbiamo raggiunto l’autore per fargli qualche domanda.
Tom, il tuo primo libro “A quiet death in Italy”, pubblicato qualche anno fa da Constable, è stato recentemente pubblicato in italiano con il titolo “Compagni di sangue”. Vivi ormai da anni a Bologna e a Bologna sono ambientati molti dei tuoi libri, che effetto fa essere pubblicato proprio da una casa editrice bolognese (Pendragon)?
È stato soprattutto grazie al mio traduttore Alessandro Serra, che ha notato i miei romanzi in lingua inglese in una libreria di Milano, che sono stato contattato da Pendragon – casa editrice molto attenta alla realtà bolognese. È fantastico vedere che il libro abbia grande visibilità a Bologna e, stando ai librai, stia andando bene anche commercialmente. Il “campanilismo” (in italiano nell’intervista, ndr) è vivo qui come in qualsiasi altro luogo, e naturalmente i bolognesi condividono il mio fascino per la città, anche per come la descrivo da outsider. Mi piace pensare che dopo quasi vent’anni qui io sia un po’ più insider, ma credo che sia proprio la mia prospettiva di “outsider-insider” a colpire il lettore.
“Compagni di sangue” segna la nascita del tuo personaggio principale, il detective Daniel Leicester, e avvia una serie di libri ambientati a Bologna. Hai scelto Bologna solo per ragioni pratiche (semplicemente è una città che, vivendoci, conosci bene) o ci sono degli elementi o magari il genius loci di Bologna che ti hanno ispirato?
Sono arrivato a Bologna per puro caso. Non ero un “italofilo”, e prima di incontrare mia moglie, ero venuto in Italia una sola volta come turista, a Firenze. È forse per questo che quando poi ci siamo trasferiti a Bologna per il suo lavoro, non mi sono mai sentito attratto da quella che potremmo chiamare “fan fiction” letteraria ambientata in Italia. Per me, l’Italia era una sfida – quella di trasferirmi e integrarmi – e sebbene fossi un giornalista e avessi scritto narrativa (senza particolare successo) in precedenza, per la prima volta non avevo una motivazione per scrivere. Fu solo quando iniziai ad ambientarmi veramente, lavorando come guardia di sicurezza in una mensa per i poveri (l’unica qualifica che chiedevano era essere abbastanza alto), che colsi un lato crudo dell’Italia che mi diede l’ispirazione; poi lessi “Naples ’44” di Norman Lewis, il diario di un ufficiale inglese che svolge funzioni di poliziotto nella Napoli occupata dagli Alleati, e iniziai a concepire una serie poliziesca, cambiando però il periodo (il presente) e il luogo (Bologna).
Hai detto in interviste precedenti che Bologna non è un semplice scenario, ma è una sorta di personaggio in sé, e ci sono diversi aspetti della città che esplori nei tuoi libri, ad esempio il cibo, la storia o l’architettura. Qual è stato l’aspetto più affascinante che hai scoperto durante la scrittura e quale il più complesso da trattare?
Mi interessa tutto, ma meno di tutto – e questo potrebbe scioccare italiani ed italofili – il cibo. La cucina italiana è ottima, ma sento la mancanza della cucina inglese – delle pie e della birra servita a temperatura ambiente. La storia locale mi affascina perché in generale mi affascina la storia; mi dà un’emozione incredibile camminare sotto portici che esistono dai tempi di Shakespeare, un’epoca, quella, che per gran parte degli inglesi appare lontanissima forse perché nel Regno Unito è rappresentata da pochi pub sgangherati con le travi di legno a vista. Vivendo a Bologna, sembra che la storia sia dinamicamente viva.
L’argomento più difficile invece è stato il cinema, di cui parlo in “Italian Rules” citando la Cineteca e inserendo nella trama un film-nel-film. La critica di alcuni lettori è che il romanzo è troppo complesso, però rimane uno dei miei preferiti, non ultimo per un omicidio-suicidio che coinvolge un oggetto di scena di un film di Dario Argento.
“Compagni di sangue”, così come la maggior parte delle tue opere successive, ancora inedite in Italia, è un noir/thriller. Siamo curiosi di sapere perché ti sei concentrato su questo genere: ti appassionava da lettore? Ti ha influenzato qualche autore o opera in particolare? O, forse, hai attinto alla tua precedente carriera in Scotland Yard?
Come accennavo, devo il concetto alla lettura di Norman Lewis; lui tuttavia parlava di fatti reali, mentre io ho scelto la fiction poliziesca, mezzo che mi sembrava più adatto per arrivare al pubblico. Spesso mi chiedono se Daniel Leicester sia un mio alter ego, ma in realtà lo immagino come una sorta di Norman Lewis aggiornato. Norman Lewis a parte, alla letteratura poliziesca moderna preferisco i classici: Chandler e Hammett: scrivendo in prima persona, non volevo infondere nel mio narratore tic di personalità. Sono d’accordo con Chandler sul fatto che il detective debba essere “trasparente”, la mia intenzione infatti è quella di trasportare il lettore all’interno della storia. Cerco di scrivere in modo il più “invisibile” possibile: non si tratta di dimostrare erudizione, ma di far immergere il lettore nell’esperienza che racconto. Sì, ho trascorso un paio d’anni come portavoce per Scotland Yard, cosa che affascina molto il pubblico italiano e che sicuramente ritorna nei miei romanzi in tantissimi modi, ma nei dieci anni successivi ho lavorato nell’aiuto internazionale e penso che ciò abbia maggiormente plasmato la mia prospettiva. Si dice che viaggiare allarga la mente; assistere all’impatto della povertà in tutto il mondo ha certamente allargato la mia.
Prima dell’uscita di “Compagni di sangue”, i tuoi libri erano pubblicati in inglese, quindi principalmente per il pubblico anglosassone. Ti aspetti una reazione o una percezione diversa delle tue storie tra quel pubblico e quello italiano che ora, finalmente, può leggerti?
Sento che il mio primo lavoro sia meglio compreso qui che nel Regno Unito. Mentre i lettori britannici si aspettavano qualcosa come “Sotto il sole della Toscana con delitti”, io gli ho dato pioggia, graffiti e politica italiana. In effetti un agente letterario britannico rifiutò il mio manoscritto con un “no no no, questa non è assolutamente l’Italia! Io la conosco: ci vado ogni estate in vacanza”.
Leggi autori italiani? Ne apprezzi qualcuno in particolare?
Beh, sono un autore italiano, tra le altre cose! (Cittadinanza, classe 2019)
Ho letto Lucarelli, “L’inverno più nero” è tra i suoi libri che preferisco. Poi Loriano Machiavelli; Calvino, ovviamente. Mi sono piaciuti “M” di Scurati e i romanzi di Elena Ferrante (anche se li ho letti in inglese). In questo momento sto leggendo una meravigliosa traduzione del poeta irlandese Ciaran Carson de “La Divina Commedia”. Ma anche “The Secret Market of the Dead” del mio amico Giovanni De Feo, che ha scritto meravigliosamente in inglese ed è stato appena pubblicato da Simon & Schuster negli Stati Uniti: libro brillante. In italiano ho iniziato a leggere “Kaputt” di Malaparte, ma sebbene mi piacesse, c’erano troppe descrizioni e alla fine mi ritrovavo sempre con il dizionario in mano.
Avvicinandoci alla fine dell’intervista, vorrei farti una domanda più generale su Bologna. Ormai vivi qui da quasi vent’anni, ma com’è stato ambientarsi a Bologna e che cambiamenti hai notato nella città da allora?
Anche se non era mia intenzione, osservare il presente di Bologna nei miei romanzi è diventato una testimonianza dei rapidissimi cambiamenti che hanno colpito la città nell’ultimo decennio, principalmente con la promozione del turismo e l’arrivo di Ryan Air e Airbnb. “Compagni di sangue” accenna ad esempio alla progressiva tensione tra squatters e politici che favorivano la gentrificazione. Il mio ultimo libro (“The Bologna Vendetta”), ambientato circa un decennio dopo, ritorna sul tema, solo che i militanti non prendono più di mira gli hotel ma gli affitti turistici. La Bologna in cui sono arrivato sembrava essere sfuggita all’omologazione che altrove era così comune, ma a quanto pare si è trattato solo di un ritardo nell’esecuzione.
Se puoi dircelo, possiamo aspettarci presto ulteriori romanzi con Daniel Leicester?
Sì, ho appena completato il settimo capitolo della serie di romanzi con Daniel Leicester (“Old Bones in Puglia” – la famiglia fa una vacanza al sud) e uscirà in inglese nel 2026. Per le uscite in italiano però dovete chiedere a Pendragon quali sono i loro piani!
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