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La società bolognese sotto la lente di Fink. Il grande fotografo americano da Spazio Labò per un progetto site-specific

10-05-2018

Di Laura Bessega

 

Un anno fa, sotto le Due Torri, c’era un uomo anziano, mingherlino e schivo, la barba bianca e gli occhi vivaci. Indossava una camicia chiara e un paio di jeans, e appoggiato a una colonna o forse nascosto dietro, teneva una macchina fotografica nella mano destra. Osservava la gente che arrivava da via Farini in controluce. Non era affatto scontato notarlo, ma due ore prima alcuni fortunati lo avevano incontrato alla presentazione della sua mostra. Era Joseph Koudelka.

In questi giorni Bologna ospita un altro grande fotografo, Larry Fink. Un pezzo della storia della fotografia americana.

Spazio Labò (Strada Maggiore, 29) inaugura la sua mostra oggi alle 19 e sarà visitabile fino al 22 giugno.

 

 Questa volta non si tratta però di una semplice esposizione. Larry Fink Now! unisce l’inedito Women’s March, le marce delle donne contro il governo Trump, a Washington nel 2017 e a New York nel 2018, ad un progetto site-specific sulla città. Il fotografo americano sarà infatti ospite di Spazio Labò, che per l’occasione sarà trasformato in una residenza d’artista e studio personale, e durante il suo soggiorno, in programma fino al 22 maggio, racconterà la società bolognese. 

Ce lo potremmo immaginare quindi in giro per le strade della città a cogliere di sorpresa gli abitanti del capoluogo emiliano, ma il signor Fink non ruba gli attimi, li crea.

“Io scatto in modo invadente, sono profondamente fisico, ma cerco anche di scherzare con le persone, di farle divertire. Non mi interessa per niente renderle tristi, le metto a proprio agio. Il momento che abbiamo a disposizione per scattare è l’unico che avremo perché è fugace, transitorio. Come ogni respiro, è importante. E’ un modo di essere vivi”

Uno dei suoi primi lavori, e sicuramente il più conosciuto, Social Graces, esplora la contrapposizione delle classi sociali nell’America degli anni ’70, ritraendo due mondi agli antipodi, l’upper class della New York dei musei e dello Studio 54 e la classe lavoratrice prevalentemente rurale di una città di provincia della Pennsylvania durante le cene e le feste di compleanno.

“Questa serie di contraddizioni abbellisce la mia politica e la mia estetica. Questo lavoro vuole essere politico, non polemico. Si presenta non necessariamente gentile, ma sicuramente onesto. E mai crudele. Mai. Io non potrei mai essere crudele. Io davvero cerco di abbracciare – o almeno ci provo – le anime di tutta la gente, a prescindere dalla loro condizione”.

                 

Sarà interessante vedere quali anime abbraccerà a Bologna Larry Fink. Il primo nome appartiene all’elite felsinea. Si tratta di Cecilia Matteucci, e le sue prime foto in bianco e nero e tutto il lavoro che seguirà lo potrete trovare seguendo l’hashtag #larryfinknow.

Figlio di una coppia borghese, cresciuto tra arte, jazz e comunismo, ha cominciato a scattare a 13 anni. Le sue influenze sono state Cartier-Bresson, Andrè Kertesz, Brassai, Robert Frank e, naturalmente, la sua insegnante, niente meno che Lisette Model, la cui eredità è chiara: “la fotografia inizia con la proiezione del fotografo, la sua capacità di capire la vita e se stesso in una foto”. A lei lo accomuna l’interesse per la fisicità, per quella forma dei corpi che Larry sottolinea con l’uso del flash e i chiaroscuri, ma dalle cui curve e pieghe emergono le sue profonde influenze culturali.

Nella sua formazione gioca un ruolo importante anche la sua famiglia, in particolare la madre, marxista convinta, ma anche una ragazza molto elegante e alla moda. Adorava le pellicce e i visoni e andare in vacanza in Florida. Era quella che si definisce una Mink Marxsist, una marxista in visone. Andava spesso ai parties e poi se ne scappava perché diceva che erano rigidi e puritani.

Larry, cresciuto in questo ambiente, era critico nei confronti del sistema, ma allo stesso tempo, era parte di esso. Una contraddizione profonda, che lo ha sempre accompagnato, una dualità che spesso si ritrova anche nei suoi lavori. Si pensi al progetto su Andy Wharol e la Factory, fotografati per le strade di New York tra le bande di ragazzini di strada o al lavoro decennale per Vanity Fair agli Oscar parties.

Last but not least, ha affiancato alla sua carriera di fotografo a quella di insegnante, ricoprendo questa posizione per oltre mezzo secolo.

Ai suoi studenti è solito dire: “If you don’t take a chance, you don’t get a chance”. Noi, seguendo il suo consiglio, ci prenderemo la “chance” di conoscerlo.

E chissà se alla domanda come si diventa un grande fotografo come lui, sarà sempre dell’opinione che è come “una guida difficile in mezzo al caos”.

Mostra realizzata con il contributo del Comune di Bologna Iperbole Rete Civica, in collaborazione con L’Artiere e Fina Estampa S.r.l.

 

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