Si attende qui davanti all’ imponente Rocca Sforzesca di Imola l’arrivo di questo giovane filosofo. Figura esile, tono di voce pacato e passo leggero; Gianmaria Beccari esce dal portone d’ingresso – un tempo sicuramente un ponte levatoio – e ci incamminiamo, seguendolo per questa “Passeggiata Filosofica“, una delle tante già organizzate da Gianmaria dal 2015 e che descrive come “passeggiate attraverso campi inondati dalla luce dei tramonti o lungo le viuzze acciottolate dei borghi, in ascolto delle voci antiche di filosofi, poeti ed altri pensatori erranti“.
Questo itinerare lungo mura antiche, seguendo il solo rumore dei nostri passi, rappresenta il cuore del racconto da cui parte la riflessione di questa edizione: il viaggio.
“Star seduti il meno possibile; non fidarsi dei pensieri che non sono nati all’aria aperta e in movimento – che non sono una festa anche per i muscoli. Tutti i pregiudizi vengono dagli intestini. Il culo di pietra – l’ho già detto una volta – è il vero peccato contro lo spirito santo.“(Friedrich Nietzsche, Ecce Homo).
Una piccola luce si accende sui fogli che Gianmaria ed un suo collaboratore leggono nel cortile centrale del castello. Quel luogo diventa un teatro nel quale ci invitano a riflettere sul silenzio, sull’ascolto, sulle cose che l’uomo ha perduto con il rumore di fondo e con l’eccesso di oggetti, di comodità, di cui si è circondato e tra le quali rischia oggi di soffocare. La lettura è l’unica voce di questa sera, e ci si sente intimoriti quasi, si sentono solo i passi delle tante persone, di ogni età, venute ad ascoltare parole sul cammino, sull’ “andare a piedi, che insegna l’essenziale“.
I testi scelti da Gianmaria sono esemplificativi di questa verità, e la mostrano sotto diverse angolature ,come “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, una cronaca autobiografica dell’esperienza vissuta dall’autore durante il servizio come sergente maggiore nel corso della Ritirata di Russia nel gennaio 1943 : “la natura stessa del camminare impone di portare con sé, di mettere nel proprio zaino solamente ciò di cui non si può fare a meno. Il superfluo, nel cammino, non è neutro. Il superfluo, nel cammino, è di troppo. Pesa, affatica, rende ogni passo più pesante. Ed è così che i soldati, spogliati dalla terribile ritirata di Russia di ogni identità superflua e imposta da un potere lontano e dispotico, abbandonano le armi. Ritornano uomini, uomini che camminano“.
Saliamo lungo le gradinate della rocca, le luci sono basse per mantenete l’atmosfera di raccoglimento, appena necessarie per scorgere dove posare il piede.
Salendo e percorrendo le mura imponenti il nostro sguardo cambia, salire richiede un alleggerimento del pensiero, una rassegna mentale di quanto in questa vita piena di comodità, non siamo più abituati a rinunciare.
Arrivati lassù incontriamo i nomadi narrati da Bruce Chatwin ne “L’alternativa nomade”e la loro “radicalità nel rifiuto dei morbidi e spesso soffocanti «cuscini della civiltà». L’ansia, la rabbia, la frustrazione che abitano i nostri giorni e ne sono i figli.
L’ultimo tratto di strada ci porta allo spiazzo semicircolare di una delle torri di guardia. E’ l’ultimo momento di riflessione a cui siamo invitati, la parte conclusiva che Gianmaria ha dedicato ad alcuni scarni insegnamenti che può offrirci il cammino: cosa si impara dopo un cammino, seppur breve, di questo tipo? Ci poniamo radicalmente in ascolto di ciò che ci circonda? Lasciamo che i nostri sensi si aprano, che dialoghino col circostante, o il nostro costante programmare e progettare ci allontana, ci separa dagli incontri lungo il sentiero? Viaggiamo proiettando pregiudizi o, come suggerisce Montale, “ci disponiamo all’occasione offerta dall’imprevisto”? E cosa davvero decidiamo di portare con noi ? In modo volutamente provocatorio ci viene narrata la scelta di Genghiz Khan di “abitare in una iurta sino alla fine dei suoi giorni”.
Sono riflessioni profonde, che toccano da vicino la nostra esperienza del quotidiano e che Gianmaria riproporrà a breve a margine dei concerti estivi che si snoderanno all’interno del programma dell’Emilia Romagna Festival 2018.
Oggi ci ha invitato fra queste mura antiche non per spingerci ad abbracciare un’etica pauperistica, di nomadi erranti che possano spostarsi di tenda in tenda senza mai sosta, ma sicuramente questa è stata l’occasione per sentirsi pungolati, sfidati a riflettere su quanto sia diventato drammaticamente sedentario il nostro modo di condurre la nostra esistenza, ed un invito a ripensarla, perchè esiste davvero “ancora oggi una possibilità aperta a chiunque scelga di uscire, di viaggiare a piedi”.
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