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Franco Grillini: “Ora dobbiamo fare una rivoluzione dei sentimenti”. Intervista a Filippo Vendemmiati, regista di “Let’s Kiss”

11-11-2021

Di Carlotta Centonze

«Baciamoci!» è un imperativo gentile, ed è così che Franco Grillini incita chi lo ascolta durante uno dei tanti cortei per i diritti civili del movimento omosessuale di cui è protagonista. Da qui il titolo del nuovo film documentario diretto da Filippo Vendemmiati, Lets Kiss, che ripercorre gli anni di lotta dell’attivista e politico Grillini, in un cammino figurato e reale nei luoghi della sua vita. In sottofondo, le musiche composte da Paolo Fresu.

Giornalista, fondatore e presidente dell’Arcigay, parlamentare e militante nella lotta contro l’Aids, la sua rivoluzione gioca con l’ironia, non si prende mai sul serio ma è seria, e lo porta ad attraversare il tempo e lo spazio con una forza magnetica: dai salotti della televisione – in cui dalla domanda un po’ bigotta postagli da Enzo Biagi «ma quanti siete?» nascerà lo slogan «We are everywhere» – passando per le piazze e le strade di Bologna dove verrà inaugurata la prima sede del movimento omosessuale nel 1982, Il Cassero, fino ad arrivare alle aule del Parlamento.

Con l’idea non tanto di offrire una ricostruzione storica, quanto piuttosto di tracciare un percorso nella memoria che restituisca la complessità di Franco Grillini, nella sfera pubblica e soprattutto personale, Filippo Vendemmiati ci accompagna alla scoperta di una vita piena di battaglie, tutte vinte con intelligenza, determinazione e un incrollabile senso dell’umorismo.

Abbiamo incontrato il regista del film, Filippo Vendemmiati, per attraversare con lui i 5 luoghi di Lets Kiss.

Quale luogo hai scoperto insieme a Franco realizzando il film?

«Conosco Franco da tanti anni e ho seguito gran parte del suo percorso sociale e politico, che si è sviluppato principalmente in un contesto urbano. La cosa che mi ha colpito di più realizzando l’intervista alla base del film è il luogo che conoscevo meno, quello della sua infanzia e adolescenza: le colline di Monterenzio intorno a Bologna, dove sono nati i suoi genitori, e la campagna dove lui stesso è nato e cresciuto.

Questo mondo rurale fatto di giochi con gli animali, in cui fino alla scuola elementare non parlò una parola che non fosse dialetto, costituisce qualcosa a cui è legato e che rivendica come appartenenza storico-geografica e culturale. Rivedere questi luoghi insieme a lui è stato emozionante e inaspettato, anche perché rappresentano la sua forte unione con i genitori, soprattuto con la mamma».

 

Limpressione è quella che in famiglia, nonostante la chiusura dellepoca, ci sia stato un accompagnamento affettuoso del percorso di Franco.

«È così. Due episodi riguardanti la sua famiglia mi hanno colpito, quello della mucca, di nome Checca, considerata come un animale domestico, tant’è vero che nessuno ebbe mai il coraggio di mandarla al macello. L’altra, il fatto che Franco scelse non a caso la casa natale dei genitori, quella in cui sua madre trascorse i mesi di malattia prima della morte, per organizzare una festa di compleanno nel 1982 in cui per la prima volta, se non con la famiglia almeno con gli amici, uscì allo scoperto facendo coming out. Affettivamente è un cerchio che si chiude dentro a questa realtà contadina».

Franco Grillini e Filippo Vendemmiati alla proiezione del film al Medica Palace

Il film gioca sul rapporto tra vita privata e pubblica di Franco Grillini. Come si è svolto il lavoro sullarchivio?

«Su Franco esiste un’infinita quantità di materiale d’archivio, nella teche Rai e Mediaset, nell’Arcigay, nel suo archivio privato. Realizzando il film c’era il problema di cosa selezionare, perché la mia intenzione non era assolutamente di fare un film di ricostruzione storica. Il mio intento infatti era quello di costruire una camminata con lui tra pubblico e privato, che riuscisse a spiegare anche a chi non lo conosce il percorso di Franco e del movimento di cui ha preso parte. Ho scelto pochi materiali, esemplificativi di quegli anni. Volevo mostrarlo in diversi contesti, perché Franco è stato un politico che ha usato molto abilmente i mezzi di comunicazione per la propria causa».

 

Perché Bologna è stata così importante e fertile per il movimento omosessuale?

«La prima risposta è che a Bologna c’era un Partito Comunista molto democratico e aperto alle istanze sociali, alle novità e alle battaglie non proprio popolari come poteva essere quella che chiedeva di dare una sede al movimento omosessuale o di candidare un omosessuale nelle proprie liste. Questi traguardi sono stati possibili anche grazie a personaggi molto aperti come Imbeni e Zangheri. La risposta che do io, però, è che a Bologna c’era una persona come Franco Grillini, che è sempre stato il promotore di queste battaglie ed è riuscito a convincere anche chi non era convinto. Se fosse nato a Milano, la sede dell’Arcigay sarebbe nata lì».

Appare anche un luogo particolare a ricordare che la rivoluzione culturale passa anche attraverso la rivoluzione dei costumi: Riccione.

«Storicamente l’estate del 1982 in Romagna fu un’estate di grandi battaglie, un passaggio miliare nella storia dell’Arcigay e di grande visibilità per tutti i suoi militanti, che occuparono per settimane le prime pagine dei giornali, quindi era importante per me ripercorrere queste tappe. Inoltre, sfogliando il corriere di Romagna sono venuto a conoscenza della recente iniziativa di un bagno romagnolo di costruire una passerella arcobaleno, e quindi mi è venuto in mente di portarci Franco».

 

A Roma invece Franco è riuscito a rendere pubblica la sua battaglia e a portarla in Parlamento. Che effetto ti ha fatto tornarci con lui?

«Siamo andati a Roma a ottobre 2020, alla vigilia della terza ondata di covid. Abbiamo trovato con difficoltà un albergo che ci ospitasse e abbiamo girato di notte, in una città completamente vuota, mai vista così, veramente coinvolgente. Portare Franco a piazza San Giovanni, al Colosseo, alla Fontana di Trevi dove abitava quando faceva il parlamentare, è stato molto emozionante. L’entrata in Parlamento, dove è stato sette anni, credo che abbia emozionato in particolare lui».

New York invece è il luogo che attraversate allinizio e alla fine del film, in cui Franco tira le somme della sua vita e del suo percorso. Parlando un po di presente e un po di futuro, cosa hai scoperto facendo questo film e cosa pensi delle prospettive delle battaglie per i diritti civili, ancora oggi al centro del dibattito?

«A New York ho scoperto un sentimento di Franco che non conoscevo assolutamente. Mi sono accorto che al di là del corteo immenso di 6 milioni di persone che hanno partecipato al Pride, quello che più ha colpito Franco è stato che tutte le chiese di New York avessero la bandiera arcobaleno, e che ci fossero alcuni preti che sfilavano col simbolo del Pride sulla tonaca. Al di là di tutte le battaglie con la chiesa cattolica, infatti, Franco ha una sua religiosità fortissima, che forse non ha espresso a sufficienza nella sua vita e invece fa parte del suo vissuto contadino, nonostante i genitori fossero atei. Il suo senso religioso si capisce anche quando dice “è stata una rivoluzione sessuale in parte compiuta, ora dobbiamo fare una rivoluzione dei sentimenti“. Ecco, secondo Franco, ma anche secondo me, questa oggi è l’unica rivoluzione possibile».

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