La nostra regione è una terra prolifica di artisti della lirica: Modena ha dato i natali al grande Luciano Pavarotti e in provincia di Ferrara, a Copparo, 89 anni fa è nato Daniele Barioni, colui che lo stesso Pavarotti definì “tra i tenori di un altro pianeta”.
Nel 1954, a 24 anni, debuttò al Teatro Nuovo di Milano. In sala era presente anche il direttore del Metropolitan Opera di New York che, dopo averlo ascoltato, lo scritturò portandolo oltreoceano due anni dopo. Il giorno successivo al suo arrivo in America ricevette una telefonata. Giuseppe Campora, che doveva esibirsi quella sera stessa interpretando la Tosca, si era ammalato. Gli chiesero se se la sentisse di prendere il suo posto. Come rifiutare questa opportunità?
La mattina dopo ricevette un’altra chiamata, questa volta da un amico: “Hai visto i giornali?”. A quel tempo non sapeva ancora l’inglese, ma scese subito in edicola. In una sera aveva conquistato New York, lo spettacolo era stato un successo. Scrissero di lui che fece tremare il Met e c’è chi lo definì il nuovo Caruso.
Fu solo l’inizio della sua lunga carriera, romanzata nel libro biografico L’uva e l’acciaio scritto dalla giornalista e scrittrice Camilla Ghedini. Nel romanzo, pubblicato da Giraldi Editore, un immaginario giovane artista, Agostino, dialoga con il tenore Barioni.
Abbiamo raggiunto l’autrice per scoprire qualcosa di più.
Come è nata l’idea del romanzo-biografia su questo personaggio?
“L’intuizione del soggetto in realtà è stata di Paolo Govoni, Presidente della Camera di Commercio di Ferrara che ha firmato l’introduzione. Una mattina dello scorso febbraio mi ha chiamato dicendomi ‘Camilla ho un’ idea!’. Aveva conosciuto Barioni a un evento e aveva percepito nella vita del Maestro un potenziale per un contenuto narrativo.
‘L’uva e l’acciaio’ è un titolo che vuole richiamare alla sostanza di ciascuno di noi. Non tutti abbiamo grandi sogni e aspiriamo al successo, ed è questo che Barioni prova a spiegare ad Agostino. Trasformandosi da maestro di canto a maestro di vita.
Attraverso un dialogo immaginario tra lui e Agostino, giovane aspirante tenore, ho raccontato un ‘mio’ Barioni, mantenendomi ovviamente fedele ai sentimenti che lui mi ha trasmesso; romanzarne la biografia è stato necessario perché volevo assolutamente tenermi lontana dalla retorica, il rischio sarebbe stato una inutile celebrazione”.
Cosa ti lega a Barioni?
“L’ho conosciuto quando con Paolo Govoni gli abbiamo proposto il libro. Su di lui avevo solo ipotesi. L’obiettivo era capire sia l’uomo che l’artista: sia io che Paolo pensavamo inizialmente che fossero due dimensioni distinte, invece si sono fuse sotto i nostri occhi, durante le interviste. Se dovessi descriverlo con due aggettivi userei ‘consapevole’ del successo raggiunto ed ‘esuberante’, nonostante una naturale riservatezza”.
Il tuo romanzo verrà tradotto in inglese, qual è il fil rouge fra un tenore emiliano e gli States?
“Barioni è nato a Copparo, in provincia di Ferrara (città in cui oggi risiede) ma questo aspetto nel libro rimane sullo sfondo: quella di Barioni è infatti una storia italiana e internazionale, che parla di riscatto e arte, di famiglia e affermazione. E di successo Barioni ne ha avuto tantissimo. In America era (ed è tutt’ora) considerato un mito.
Anche la sua vita personale era intrisa di internazionalità: ha abitato a New York, frequentava la Casa Bianca ed era sposato con la pianista italo americana Vera Franceschi.
Si è esibito in tutto il mondo, anche in Italia, ed in patria è tornato a inizio anni ’80; ma è indubbiamente l’America ad averlo consacrato tenore di fama mondiale”.
Un romanzo è uno dei mezzi che ha a disposizione un artista per lasciare ai posteri una traccia di sé, immaginiamo che per un uomo di successo divenuto ormai anziano diventi ancora più importante, soprattutto quando si ha un passato così denso da ricordare: qual è il valore del ricordo in questo romanzo?
“Come scrivo nelle conclusioni, spero che queste pagine rendano merito a Daniele Barioni di quel che ha fatto e all’idea che di sé ha trasferito. Io desideravo pagine che attraverso il Maestro esplorassero sentimenti come il talento, l’ambizione, la frustrazione, il valore e il disvalore, oggi, del successo.
Credo davvero che la nostra esistenza possa sempre incuriosirci se vista con occhi estranei e mi auguro che il lettore, indipendentemente dall’amare o meno la lirica, possa riconoscersi in questa storia ricordando sempre che anche la sua vita può essere straordinaria”.
Condividi questo articolo