Dario Migneco ed Eleonora Petrolati si definiscono «due romani a Bologna con il cuore tra Napoli e Tokyo». Insieme hanno fondato Makebu, studio di grafica e comunicazione visiva che si occupa art direction, editorial design, illustrazione, identity, logo design… e non solo.
Una mattina ci siamo incontrati per colazione e mi hanno raccontato la loro storia: entrambi di Roma, dopo gli studi in Disegno Industriale si trasferiscono a Milano, dove Dario si specializza in Design della Comunicazione e dove entrambi iniziano a lavorare. Nel dicembre del 2020 si trasferiscono a Bologna: «la pandemia e un periodo di transizione personale avevano portato una voglia di cambiamento. Quasi per conto suo è venuta fuori Bologna, ci vedevamo il giusto equilibrio: una città viva, con ritmi diversi, tanti spazi e offerta culturale e dove potersi muovere in bici. Venivamo già spesso in occasione di eventi e ho sempre pensato che qui mi sentivo a casa e in empatia con le cose e le persone», racconta Dario.
Dario ed Eleonora non condividono solo il lavoro, «più che uno studio tradizionale siamo due singoli alla stessa scrivania». Ciascuno ha incarichi propri, ma portano avanti anche lavori comuni e progetti personali autoprodotti. Dai loro viaggi e dalle loro esperienze nascono raccolte di scatti fotografici, un immaginario stampato su carta e rilegato a mano.
Il primo è stato Tōkyō-To, un art book fotografico sulla città di Tokyo che nasce anche come personale album di ricordi. Il progetto è stato interamente curato e realizzato da loro e a breve sperano di riuscire a programmare una piccola mostra.
E in occasione dell’ultima edizione di Fruit Exhibition, la fiera di pubblicazioni d’Arte di Bologna, hanno prodotto altri book fotografici: Tracce di Briganti, che raccoglie fotografie dal Cammino dei Briganti; (Fake) flowers, con scatti di fiori finti dalle tombe del Cimitero Monumentale di Milano, N’importe où, con immagini scattate in luoghi vari della Francia, chest’è sulla città di Napoli e Mare et Timo, sull’isola di Marettimo.
Non solo grafica, non solo editorial design e fotografia, ma anche illustrazione. Il progetto Sweet Japan raccoglie illustrazioni di dolci giapponesi. È nato come un promemoria, poi ha preso la forma di un furoshiki, un tipico involucro giapponese in stoffa che, annodato in modi diversi, consente di essere usato come busta, sacchetto o confezione regalo. Al furoshiki si è poi aggiunta la tovaglietta.
Per contrapposizione è nato poi Napulè, lo strofinaccio con le illustrazioni dei dolci napoletani.
«Lui è la mente, mi dà gli spunti, io litigo con i colori e le stoffe. È un modo per noi per raccontare questi due mondi», racconta Eleonora.
Chiedo loro cosa si portano dentro della loro esperienza in Giappone: «la scoperta che la comunicazione visiva si può fare in mille modi diversi, con un approccio più visivo, libero e giocoso. La tradizione viene conservata ma attualizzata – racconta Dario – anche se poi è difficilissimo riprendere questo approccio perché qui tutto deve essere contrastato, chiaro e leggibilissimo» continua Eleonora, e aggiunge: «la cosa che mi manca di più sono le scritte in verticale!».
Altro tema di riflessione è l’uso del colore: spesso oggetto di pregiudizio, nei loro lavori è invece molto presente. Non sono tipi da bianco e nero e infatti i loro biglietti da visita sono di mille colori diversi. «Ci siamo detti: perché dobbiamo scegliere un colore? Vogliamo che sia una cosa flessibile, ma non per questo meno riconoscibile. Ci confrontiamo con spazi diversi e avere flessibilità aiuta».
A proposito di spazi diversi, i progetti futuri dello studio Makebu sono di lavorare con case editrici nell’ambito dei libri scolastici, produrre altri libri fotografici, esplorare Bologna e creare legami con realtà del territorio, da quelle istituzionali, specialmente in ambito culturale, a quelle più piccole, ristoranti, locali, prodotti del territorio.
Ora che ci vivono, confermano le impressioni sulla città: «sono super contenta della scelta. Non mi muovo in bici, ma a piedi! E troviamo spontaneità e personalità nelle realtà creative e nel lavoro», spiega Eleonora.
«Bologna ci piace e vorremmo dare il nostro contributo!».
La parola Makebu che hanno scelto come nome non è collegata a qualcosa di esistente, «cercavamo più che altro un suono che ci piacesse. Poi abbiamo trovato anche la spiegazione ed è divertente raccontare la storiella», spiega Dario. Il significato è duplice, come due sono le città di grande ispirazione per loro e meta di due viaggi importanti: Napoli e Tokyo; «a una lettura superficiale sembrano opposti, ma hanno punti di contatto e a noi piace collocarci in questo incontro».
Makebu è un sostantivo giapponese che indica il dipartimento del casato del Ma. Il Ma rimanda a un concetto astratto di intervallo che nella pratica si traduce negli spazi vuoti (in architettura, nella grafica, nella musica ecc…) e che rimanda ad una filosofia di equilibri e armonie. Poi c’è l’altro significato: l’espressione colloquiale napoletana macchèvvù – Ma cosa vuoi? – perché grafica e comunicazione risolvono una domanda: «dicci quello di cui hai bisogno e lavoreremo insieme a te per ottenerlo».
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