Malì Serena Aurora Erotico è fotografa per professione dal 2007, per passione da quando di anni ne aveva 7. Il suo portfolio è all’insegna della musica e dei musicisti, soggetti principali della propria fotografia che ha utilizzato come strumento per immortalarne carriera e attimi. Un percorso che da qui ne ha conosciuti tanti altri, dagli eventi ai matrimoni e alla stampa fino ai reportage dalla forte impronta umanitaria.
I suoi scatti sono stati pubblicati su Repubblica, Venerdì, Il Reportage, l’Espresso, Vogue, Vanity Fair e altri mentre le sue mostre personali si sono tenute a Bologna, Lecce, Sao Paulo, Ancona, Siena, Alghero e Londra.
Un lavoro che è stato scelto e sognato e della quale Mali non recrimina nulla, anzi. L’abbiamo incontrata per farcelo raccontare.
Quando hai scoperto di avere una passione per la fotografia e cos’è per te una passione? Com’è avvenuta questa scoperta?
«In realtà ci sono nata, mio padre Antonio Carmelo Erotico era un noto fotografo negli anni ‘80/’90 per poi abbandonare e ritirarsi nelle più piccola isola delle Canarie sul finire del millennio, lasciandomi tutto il suo archivio». Ha collaborato con Frigidaire (mitica rivista underground diretta da Vincenzo Sparagna e con Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Filippo Scozzari ecc.) di cui ha prodotto numerose copertine (io compaio come cover girl in una copertina di Frizzer, altra pubblicazione di Primo Carnera Editore, all’età di 4 anni), in Francia con Actuel, Zulù, Echo de Savanes, inoltre lavorava per l’Agenzia Grazia Neri attraverso la quale pubblicava i suoi lavori sulle più famose riviste dell’epoca. In questi anni si è risvegliato l’interesse verso il suo lavoro e sono stata contattata da diverse case editrici e gallerie.
Io ricevetti in dono una Polaroid, a 7 anni e da allora ho sempre documentato la mia vita, collezionando numerosi album, lavorati rigorosamente a mano e classificati anno per anno. Da allora ho sempre fotografato».
Come descriveresti la fotografia e come la vivi, soprattutto, come sei riuscita a trasformarla in una professione? Raccontami di questo processo.
«Dalla mia infanzia è diventato un riflesso condizionato, fotografavo tutto quello che vivevo perché se non lo fissavo sulla pellicola era come se non fosse mai esistito. Lo “scatto” è avvenuto in India nel 2005 durante un viaggio in cui mi ero portata la mia prima digitale grazie alla quale potei caricare le foto sui primi portali dedicati Flickr e Myspace che mi consentirono di aver maggiore diffusione e di vedere arrivare i primi ingaggi.
I primi anni la fotografia era un secondo lavoro mentre svolgevo altre professioni, poi mi sono resa conto che se avessi investito tutto il mio tempo nella mia passione avrei potuto vivere di quella… e così è stato. Ho aperto la partita iva, lasciato gli altri lavori e mi sono rimboccata le maniche».
Si dice che se si fosse capaci di trasformarela propria passione in lavoro, non si lavorerebbe neanche un giorno della propria vita: è davvero così? Cosa cambieresti di questa professione? Raccontamene aspetti positivi e negativi ma, in particolare, quelli che hai imparato ad apprezzare di più.
«È così! Sempre che non avvenga l’esatto contrario cioè che trasformare la propria passione in lavoro non la renda più tale, nel mio caso per fortuna non è stato così. L’aspetto negativo è la precarietà, dove bisogna sgomitare per farsi notare e ingaggiare, visto che la concorrenza è tanta e le occasioni causa Covid si sono diradate. Nel mio caso, quand’è scoppiata la pandemia, mi ero trasferita a Milano da un anno dove stavo cominciando a inserirmi e all’improvviso quando il mondo si è fermato ho deciso di tornare a Bologna. Gli aspetti positivi invece sono molteplici: sei il capo di te stesso, ti trovi in situazioni pazzesche dove non saresti mai capitato, conosci persone incredibili, non smetti mai di imparare e sei libero di gestire il tuo tempo come meglio credi facendo una cosa che ami».
Fotografia e musica: come ti sei avvicinata a questo mondo e da cosa nasce il tuo rapporto con la ritrattistica?
«Diciamo che sono una non-musicista frustrata e che quindi ho scelto il mondo della musica come mio campo d’azione primario. Volevo viverlo e respirarlo, farne parte. Quando ho iniziato stavo con un musicista francese che aveva una formazione da fotografo, che all’epoca faceva Dub e poi ha raggiunto il successo coi The Blaze, per il quale realizzai i primi shooting e le prime copertine di album (Mayd Hubb e Teldem Com’Unity) oltre a ricevere indirette ma preziose lezioni di fotografia che mi permisero di affinare la tecnica. Sono un’autodidatta che si è avvalsa dei consigli di due bravi maestri, lui e mio padre».
Che soggetti sono i musicisti da fotografare? E a proposito, chi o quali sono i tuoi soggetti preferiti?
«Per me è più facile con i rapper/trapper in quanto si sentono perfettamente a loro agio davanti all’obiettivo e sanno esattamente cosa fare e come farlo (il top del sogno per quanto mi riguarda). Ma mi affascinano anche i timidi e introversi che hanno bisogno di esser pilotati e coccolati per riuscire a rendere e non rimanere rigidi e impalati davanti alla camera. Infatti un aspetto essenziale di questo lavoro è riuscire a fare sentire a proprio agio anche la persona più fotofobica del mondo».
Com’è riprodurre o estrapolare la copertina di un intero album, sintetizzare in quell’unica immagine rappresentativa l’idea cardine dell’artista? Segui fedelmente il loro ideale o ci metti del tuo?
«Dipende, spesso l’artista non ha ancora un’idea precisa di quello che vuole, quindi mi faccio dare degli indizi sull’album, sul mood e sulle idee che ci sono dietro e lavoro su quelli per trarre ispirazione. Altre volte invece sanno esattamente cosa vogliono e sono loro a guidarmi, ma anche in questo caso ci metto un po’ del mio, è inevitabile. Amo anche improvvisare sul momento, lasciandomi ispirare dalla luce, dalla location e da altri elementi estemporanei».
Hai collaborato anche alla realizzazione di alcuni videoclip per Lanzafame drum makkine aka Marco Donelli (artista bolognese che vi abbiamo presentato su Instagram): qual è stata l’idea matrice alla base?
«È anche grazie a Marco che mi sono lanciata in questo campo, ha creduto in me nonostante fossi alle prime armi. Quello che ho detto in precedenza per la realizzazione delle copertine degli album vale anche per i video musicali».
Di tutte le copertine che hai realizzato e prodotto ce n’è una o qualcuna alla quale sei rimasta più affezionata?
«In particolare sono orgogliosa della copertina del primo album di Fatoumata Diawara (all’interno) e dell’ultimo dei Fuoco negli occhi Full Immersion di cui ho prodotto le immagini di tutto il libretto oltre che della cover».
Quali sono le branche che hai avuto l’opportunità di sperimentare grazie alla fotografia e con la stessa? Parlami di come le hai scoperte e che contributo hai cercato di dar loro e quale pensi loro abbiano dato a te.
«Le ho provate più o meno tutte, sia come fotografa che come assistente, ma quella che ho scelto è la branca dei ritratti, soprattutto di musicisti, mentre quella che mi ha scelto è quella degli eventi che comunque mi entusiasma. Mi è capitato di tutto, dalla robotica agli astronauti, dai festival di ogni genere (musica, cinema, teatro) ai matrimoni, passando da ambasciate e multinazionali, giusto per citarne qualcuno. Mi diverto a rubare immagini di gente che fa cose, a prescindere da cosa. Anche i matrimoni, che amo fare, alla fine sono reportage di gente felice che festeggia l’amore!».
Hai realizzato e preso parte a diversi reportage: quali di questi ti sono rimasti più impressi e di quali vai particolarmente orgogliosa?
«Due su tutti: Eco de Femmes un progetto della Onlus Gvc in Maghreb per introdurre le donne delle zone rurali al mondo del lavoro autonomo. Questo progetto ha girato l’Italia e non solo. L’altro reportage è quello sul progetto Iesa dell’Asl Psichiatria di Bologna, che si occupa dell’inserimento di persone con disabilità mentale all’interno di famiglie che si offrono volontarie, realizzato in collaborazione con Nicola Rabbi e che ci ha dato tantissime soddisfazioni e la possibilità di conoscere persone meravigliose. È stato pubblicato su diverse riviste ed esposto al centro psichiatrico Roncati e Palazzo Re Enzo. Allo stesso tempo come dimenticare quello realizzato On the Road negli Stati Uniti o quello nelle Favelas di Rio?».
Se potessi scegliere o esprimere una preferenza, quale sarebbe il campo al quale ti senti più affine, che più ti appassiona e nel quale ti senti di poter dare il meglio con la fotografia?
«I due campi in cui mi sono specializzata: ritratti e reportage di eventi, anche se, mi piacerebbe lavorare anche nel mondo patinato e creativo della moda e quello avventuroso del reporter d’assalto. Con la musica ho avuto la fortuna di collaborare con tante persone interessanti e più o meno famose, dai più noti Sfera Ebbasta, Noyz Narcos, Rkomi, Ernia o Fatoumata Diawara fino a nomi più di nicchia ma comunque eccezionali come Suz, As Madalenas, Chiara Pancaldi, Barresi Project e tanti altri. Mi entusiasma anche fare la fotografa di scena ma purtroppo è una figura sempre meno richiesta».
Ti chiedo in ultimo, dove ti ha portato la tua passione?
«A viaggiare tanto, a conoscere tante persone interessanti, a trovarmi in situazioni incredibili e a lavorare sempre con creatività e piacere».
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