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“LEI”: alle Serre la rassegna dedicata a 9 registe contemporanee. Intervista a MUBI

08-06-2022

Di Laura Bessega
Foto di Lorenzo Burlando

«”I film sono una macchina che genera empatia. Ci aiutano a identificarci con le persone che condividono questo viaggio con noi”. Questa frase di Roger Ebert, famoso critico cinematografico statunitense, è forse la più intelligente che io abbia mai sentito sul cinema» mi racconta Irene Musumeci, direttrice marketing di Mubi Europa. Bolognese di origine, dopo diversi anni vissuti in UK ritorna a vivere in città e qui crea sinergie interessanti.

Fino al 21 settembre è in corso una collaborazione tra le Serre dei Giardini Margherita e Mubi, piattaforma streaming, archivio di film d’autore e social network, che vede nascere LEI, Libere, Emancipate, Indipendenti, una rassegna di 9 appuntamenti dedicati alla nuova generazione di registe contemporanee (il link alla programmazione qui).

«Ci interessava lavorare con le Serre perché attrae un pubblico che è molto in linea con noi e poi ci piace l’idea di un posto che è organico, il contrario di un innesto nella città. Partendo da Taming the garden della regista georgiana Salomé Jashi, voluto per il festival Resilienze, ci siamo chiesti: cosa stiamo guardando in questo periodo che ci ha davvero colpito? E ci siamo accorti che 8 film su 10 erano di registe donne. Da qui l’idea di dare lo spazio che si merita ma che non c’è sempre stato a una vitalità cinematografica femminile particolarmente intensa e interessante». Alla mia domanda su cosa significa oggi dare visibilità e attenzione a registe donne in un mondo raccontato storicamente da uomini, Irene mi da una risposta che non può che  essere personale.

«Non l’abbiamo pensata come una rassegna femministaNon esiste il cinema degli uomini, il cinema delle donne, il cinema della comunità LGBTQ+. Le arti devono comunicare le esperienze altrui per portarti in un mondo in cui non vedi validati solo i tuoi punti di vista. È una questione di espressione personale».

Come fai a capire cosa significa per un migrante attraversare il Mediterraneo rischiando la vita o nascere in Italia e parlare italiano ma non averne la cittadinanza? O per una persona LGBTQ+ vedere discriminati i propri diritti? Cosa provano quelle persone le cui incredibili vite sono lontane dalla tua?

Se quelle storie non le vivi direttamente qualcosa puoi fare di sicuro: sederti e guardare quelle degli altri. E provare empatia. «La favola è da sempre un modo per portarti fuori dal tuo quotidiano. Le narrazioni sono fondamentali per capire il mondo».

E il cinema in questo ha un canale di accesso agevolato.

Nel continuo proliferare di nuove piattaforme del web, contenitori di un numero infinito di film consigliati tramite algoritmi, che segmentano cioè selezionano prodotti esattamente simili a ciò che hai già visto, Mubi, in controtendenza, mette al primo posto l’uomo. Si distingue per un team di curatori e curatrici che selezionano personalmente i registi e le registe più interessanti del mercato cinematografico. «Sul nostro sito non c’è niente che non abbiamo guardato prima. La curatela umana è la cosa più importante che facciamo e rappresenta un punto di differenza rispetto a tutti gli altri contenitori digitali». 

Attivo da quasi 15 anni, Mubi non nasce come piattaforma ma come un social network per cinefili con un forum dove si possono creare liste, dare voti e scrivere recensioni in uno scambio continuo tra utenti. La voglia di una piattaforma per lo streaming c’era già, la tecnologia non ancora.

Come tutte le grandi idee inizia da un’esigenza personale. Inizia con un’alternanza di rosso e colori acidi, con sguardi che si sfiorano e corpi che si cercano, vuoti riempiti di ricordi e segreti sussurrati nei tronchi degli alberi. Inizia con un viaggio a Tokio, un imprenditore super cinefilo con un problema di cuore e una gran voglia di vedere In the mood for love per consolarsi. Inizia come un film ma per Efe çakarel, fondatore di Mubi, diventa presto realtà.

Originariamente viene chiamata The Auteurs e successivamente come una città nigeriana situata nel Nord-Est del Paese. Perché questo nome? chiedo incuriosita.

Irene mi confessa che anche per lei è un mistero ma sicuramente l’assonanza con la parola movie, specie se pronunciata dal comparto dei colleghi latinoamericani, sembra avere un ruolo determinante.

Vi è mai capitato di voler guardare un film a casa e a fine serata siete ancora lì che scrollate lo schermo invece di averlo visto? 

Mubi fino al 2020 si presenta come un cinema d’essai programmato in continuazione: ogni giorno entra un nuovo film e ne esce uno vecchio, in una rotazione che dura 30 giorni. «Questo ha fatto sì che le persone lo guardassero subito per paura di perderlo». Ma con la pandemia le cose cambiano. La gente sta in casa, la fruizione di prodotti digitali schizza e la piattaforma si adegua. Nasce una library, una sorta di videoteca con scaffalature guidate. Non seguono però un ordine alfabetico ma sono pensate per argomenti con focus su registi, tematiche o momenti particolari dell’anno. A giugno per esempio il catalogo si infittisce di film queer grazie alla storica vicinanza ali valori del Pride.

Mubi si espande anche geograficamente.

Disponibile in 190 Paesi nel mondo, grande esclusa la Cina. Disponibile però non significa che ovunque la cura della programmazione sia la stessa e vi sia un team dedicato. Al momento i Paesi forti sono Uk, Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Italia e, naturalmente, Turchia, terra con una forte cultura cinefila nonchè patria del fondatore. In grande crescita Benelux, America Latina, Brasile in primis, Malesia e l’immancabile India.

Ma la più importante espansione di Mubi si gioca su un terreno fatto di emozioni, sentimenti e interessi. Come? Allargando l’universo di cosa guardano le persone e dando visibilità a prodotti che non passano dai soliti circuiti. Non vuole educare ma condividere, fare rete.

Collabora con cinema, festival e rassegne perché non vede competizione. «Dove c’è concomitanza tra VOD, Video On Demand, e sala, è stato dimostrato che più una persona guarda video in piattaforma più va al cinema e viceversa». Dà voce a nuovi punti di vista e talenti emergenti come Francesca Mazzoleni col suo Punta Sacra in proiezione oggi, mercoledì 8 giugno, alle Serre dei Giardini Margherita alle 21.30.

Ultimo triangolo di spazio abitabile alla foce del Tevere, Punta Sacra rappresenta uno sguardo fresco e diverso su una zona già molto raccontata di Roma, seguendo la vita di una delle 500 famiglie della comunità dell’Idroscalo di Ostia. La visione è ovviamente gratuita. Guardare un film senza pagare non è un fatto scontato e non è solo una questione di accesso.

Irene mi ricorda come a Bologna ci sia una passione incredibile per questa arte. «A giugno tra il Biografilm, il Cinema Ritrovato e altri festival e rassegne come LEI, minori per quantità ma non certo per qualità, questa città è il posto più cinefilo d’Italia. Io sono cresciuta con il Cinema Ritrovato. Poter guardare un film in piazza è un dono enorme fatto a questo territorio. Se non avessi avuto questo tipo di esperienza da bambina, non credo che oggi sarei qui».

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