Musica & Libri

Nella Bologna degli anni ’90. In giro con lo scrittore Vasco Rialzo, dal Pratello al Soda Pops

27-03-2025

Di Beatrice Paganelli
Foto di Laura Bessega

Cosa voleva dire abitare via del Pratello, negli ormai lontani anni Novanta? Cosa voleva dire respirare il febbrile ribollimento di un luogo che, solo una manciata di anni prima, aveva accolto movimenti politici e incisive iniziative culturali? Penso all’esperienza di Radio Alice, considerata una delle prime radio libere in Italia che ha avuto sede qui dal 1974 al 1977, anno in cui venne chiusa dalla polizia.

Questo mi domando, mentre passeggio in un pomeriggio soleggiato lungo una silenziosa via del Pratello: le saracinesche abbassate, qualche bicchiere e bottiglia qua e là, superstiti della sera prima.

Sono in compagnia di Vasco Rialzo (alias Emanuele Cimatti), biologo e scrittore bolognese che mi racconta del suo ultimo libro, “Hola”, frutto del riadattamento di sezioni concettuali estrapolate da lavori precedenti insieme a parti scritte ex novo. Un progetto editoriale indipendente. Indipendente, sì, “altrimenti avrei riso meno” mi confida divertito. Ben poco spazio è infatti riservato alla pudicizia e alla moderazione nelle avventure di Olindo, di nuovo protagonista delle vicende: un uomo di 40 anni, inquieto, costretto nella noia della sua vita abituale e oziosa. Piaceri, pochi. Qualche bevuta e un po’ di sesso, insieme alle serate musicali in cui si diletta nella sua passione di dj con risultati discutibili. Sono gli anni ’90 e Bologna, Barcellona e Ibiza sono i punti di snodo di questa storia. Da una parte la casa, la culla. Dall’altra la promessa, il riscatto. È un inaspettato ingaggio da vero dj nei locali notturni della bella città catalana, infatti, a segnare per Olindo il punto di non ritorno, quello che fa saltare in aria il circolo vizioso dell’abitudine. Davanti a lui si staglia allora un mare di infinite ed elettrizzanti possibilità.

Ma facciamo un passo indietro. Stiamo percorrendo via del Pratello, ricordate? Sì, perché questa è un’intervista itinerante e Vasco ci conduce nei luoghi di Bologna che sono stati determinanti per la scrittura di “Hola”; nel costruire, cioè, un retaggio di luoghi, sensazioni e atmosfere che condiscono appieno la narrazione delle vicende del suo protagonista.

Scopriremo una città letta attraverso la lente della sua movida, del suo divertimento e della sua “sregolatezza”: tra alcool, musica forte, convivialità e libertà.

Alle spalle c’è la Birroteca Bukowski, locale che omaggia il famoso scrittore americano dal realismo crudo, il cui stile è stato, ironicamente, accostato da alcuni a quello di Vasco. È “una scrittura legata all’attualità, all’oggi”, mi spiega quando gli chiedo che cosa intenda per “narrativa contemporanea”, difficoltosa risposta alla domanda “che cosa scrivi?”.

Ci allontaniamo dalle strade e dai locali che hanno accolto un giovane Vasco nelle loro braccia sensuali, producendo su di lui lo stesso effetto che Barcellona produce sull’estasiato Olindo. Imbocchiamo via Rizzoli, le due torri avanti a noi immobili, come immobili le vede Olindo scrutando dall’alto la città.

Perché proprio la Bologna degli anni ’90? Cosa vi ha trovato di pertinente per il suo racconto? Due sono i motivi principali: uno è autobiografico, l’altro è legato alla scena musicale. Sono gli anni della sua giovinezza, anni difficili, mi racconta, a seguito dei quali incomincia ad approcciarsi alla scrittura come a “una forma di divertimento nuova”. Scopre che scrivere di sé e degli altri, mescolare vissuti ed esperienze gli piace. E lo fa ridere moltissimo.

D’altra parte, negli anni ’90 esplodono la techno e il genere trance, particolarmente amati da Vasco. Questi rappresentano una forte influenza delle sue serate giovanili e lo spingono a mettere su dischi in chiusura delle feste.

“In via Altabella sorge una storica osteria fondata nel 1924. Da Olindo Faccioli. Che le ha donato il nome. È una indiscussa istituzione bolognese”.

Ci fermiamo di fronte all’Enoteca Storica Faccioli in Via Altabella, seconda meta del nostro itinerario. Qui, di fronte all’iconica insegna, Vasco mi parla di un luogo eretto a ricordo dell’antica e autentica esperienza da osteria bolognese, “un’osteria da notti brave, alcoliche e fumose. Si beveva molto vino. Pensa, alla cassa potevi trovare le uova sode per accompagnare un buon calice”.

Nel frattempo, gli domando chi sia l’Olindo del racconto. Goffo, impacciato, annoiato, maldestro, stanco, raccoglie in sé tutte le sfumature più fragili al punto di generare fastidio nei lettori uomini. Secondo Vasco, manca in essi una grande dote: quella dell’autoironia. La figura di Olindo vuole dare voce a questo e lo fa attraverso lo strumento della satira. Una satira tagliente indirizzata proprio al maschio medio, la quale genera un riso amaro. Vasco dice di essere profondamente affezionato a questo personaggio. “Olindo sono io” ammette infine, sollecitato dalla mia domanda su che relazione intercorra tra Vasco Rialzo e il suo personaggio. Ecco svelate le molteplici e mai casuali ricorrenze autobiografiche che costellano l’intero racconto: dalle città, Bologna e Barcellona, nelle quali Vasco vive a tempi alterni alla passione per la musica, i locali, la vita notturna fino alle inclinazioni più personali del suo personaggio. “E’ una narrazione onesta e sincera, fatta di elementi che sono sinceramente miei: fragilità, sensibilità, pigrizia, amore per la donna”, è la sua risposta alla mia domanda “che racconto fa di te questo libro?”.

“Passeggiando senza meta, m’infilo in un gomitolo di piccole stradine, strette e poco luminose (…). Trovo un piccolo negozietto. Anzi, è un bar o qualcosa del genere. Dentro intravedo qualcuno che sbevazza. Vi penetro. Con rispetto. Un vecchio banco di legno, pesante e stanco, mi offre ospitalità. Mi accomodo”.

In questa citazione tratta dal romanzo “Hola”, Olindo è a Barcellona. Ci descrive un’atmosfera che trovo si addica perfettamente al terzo luogo del nostro percorso: un piccolissimo bar, in una silenziosissima via del centro. Intimo. Accogliente. Familiare. È il Rapsodia in Via Bertiera. Non a caso Vasco mi spiega che gli ricorda un bar medio di Barcellona, con la sua “situazione sincera e chimica” fatta di aperitivi forti ed economici. “Così, ben rimpinzati di alcool, si andava al Soda Pops”. A far festa, sostanzialmente. A immergersi in quel sotterraneo abitato da musica assordante e tanto fumo, anzi, “un muro di fumo” dato che era ancora possibile fumare al chiuso.

Riallacciandosi al discorso su Olindo, Vasco sostiene che l’approccio schietto con cui viene trattato, che esclude mezzi termini e ritegni di ogni sorta, ha a che fare con la forte carica di iperrealismo che pervade l’intero racconto. Dal linguaggio ai contenuti a tratti di una crudezza eccessiva fino alle relazioni umane. Esse sono catturate in tutta la loro fragilità, nel loro susseguirsi di alti e bassi. Insomma, nella loro realtà alle volte dura.

L’amore, grande protagonista delle vicende di Olindo, assume una fisionomia più dolce e speranzosa rispetto ai racconti precedenti. Le figure femminili sono portatrici di un valore sentito visceralmente. Amore non più solo carnale, amore che arricchisce. Quando dice: “i miei lettori mi dicono che sto invecchiando perché mi sto ammorbidendo”, mi conferma che è vero, perché crede moltissimo nelle relazioni umane nonostante la loro vulnerabilità.

È ormai orario di un aperitivo e Camera a sud, traguardo della nostra ricerca, ci invita ad entrare e a prendere posto. Questo locale è un luogo solitamente frequentato da Vasco e che ha ospitato, nella piazzetta adiacente, tante presentazioni dei suoi romanzi. Qui, tra poster, libri e musica, la nostra chiacchierata giunge verso il suo termine. Prima però, gli chiedo qual è il suo sguardo sulla Bologna di oggi. Mi risponde che, come per Olindo, la trappola tesa dalla “scivolosità del bolognese” è sempre dietro l’angolo: il rischio di una continua critica legata ai classici stereotipi, eppure in fondo la consapevolezza di sguazzarci benone negli stessi.

Decidiamo di ordinare. Vada per un buon calice, dico io. Per me solo un caffè, ribatte Vasco. In risposta alla mia sorpresa dice con un sorriso: “Ho smesso con l’alcol”.

 

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