51000 fotografi raggiunti da più di 600000 visitatori ogni anno. La potenza della rete, dei social. «Instagram ha depotenziato il gusto visivo però ha portato tutti noi a scattare e questo crea, volente o nolente, cultura» racconta Giuseppe Oliverio che nel 2012 ha iniziato un’attività che è una scommessa.
Prima museo virtuale, poi spazio/laboratorio e da settembre anche festival internazionale di fotografia per fare di Bologna una città di riferimento per la fotografia contemporanea.
Questo è il suo PHmuseum con le declinazioni PHmuseum Lab, aperto in piena controtendenza nel 2020 durante la pandemia, che ieri, 24 giugno, ha inaugurato la mostra della fotografa finlandese Maria Lax col suo lavoro Some Kind Of Heavenly Fire, che resterà aperta fino al 30 settembre, e un’anteprima del programma di mostre del Festival PHmuseum Days che si terrà dal 23 al 26 settembre al Binario Centrale di Dumbo.
Sul sito trovate il programma.
Quattro giorni di mostre individuali, un’installazione collettiva, workshop, revisioni portfolio, proiezioni, performance e uno spazio dedicato all’editoria indipendente. Esporranno il fotografo argentino Alejandro Chaskielberg con il suo progetto Natur-e che riflette sul rapporto fra uomo, natura e tecnologia e la fotografa brasiliana Angelica Dass con Humanae, un lavoro decennale per dimostrare che ciò che definisce l’essere umano è la sua ineluttabile unicità.
Sarà presente anche l’italiana Silvia Rosi che, attraverso performance e autoritratti, ripercorrerà le storie di migrazione e diaspora partendo da un album della sua famiglia e il francese Vasantha Yogananthan col suo Afterlife. E ancora su 700 progetti presentati tramite open call ne saranno scelti ed esposti tre: Human dell’ecuadoriana Fabiola Cedillo, Fading Senses della polacca Ligia Poplawska, C-R92/BY dell’inglese Samuel Fordham. Nei giorni del festival verrà a presentare personalmente il suo progetto Maria Lax.
Giuseppe Oliverio è un economista. E cosa c’entra un economista con la fotografia?
«L’idea iniziale era creare un posto culturale online accessibile a tutti. La fotografia è la forma di espressione artistica più congeniale all’ambiente online, si presta bene alla possibilità di viaggiare veloce e indubbiamente, in un sito, può essere più apprezzata di una scultura. Quando mi venne quest’idea avevo quattro mesi a disposizione e in quel periodo in Italia era tutto chiuso. In Argentina c’era un bell’ambiente culturale e i programmatori costavano poco».
Così durante l’estate di otto anni fa a Buenos Aires nasce PHmuseum. Non un semplice sito di fotografia ma un museo online dove la fotografia è curata e la parola d’ordine non è fruizione ma partecipazione. Un incubatore di nuovi talenti, numerose partnership con Vogue Italia, TIME Magazine, World Press photo e Financial Times, un ambiente dove si uniscono tecnologia, arte e conoscenze condivise.
E un nome che continua a generare un mix di curiosità e stranezza, Museo dell’umanità (la H sta per Humanity).
«È una provocazione – continua Oliverio – Non ci piacciono troppo quei musei dove entri e ti senti un ospite. Guardi e vai a casa. A noi piacciono quegli spazi di cui ti senti parte. Guardi e puoi condividere. Humanity perché è di tutti».
Il secondo step è stato come guidare contromano in autostrada. In pieno Covid e restrizioni, dove per tutti l’unica possibilità era il web, Giuseppe apre uno spazio fisico a Bologna, in via Paolo Fabbri 10/2a. Uno spazio polifunzionale con l’idea di portare ciò che ha fatto e imparato all’estero nel nostro territorio perché «l’esperienza della fotografia, dal vivo, è materia». Così lasciati gli argentini, nel team entrano Rocco Venezia, curatore, e Alex McFarlane, programmatore. Vengono però mantenute le collaborazioni internazionali con ragazzi che scrivono da Parigi, Hong Kong e Buenos Aires.
Il museo approda a Bologna. La città è perfetta perché è di media grandezza ma ci sono eventi di qualità ed è in una posizione strategica, al centro dell’Italia. Inoltre «ha un humus culturale che si sposa bene con un festival – aggiunge Giuseppe -Bologna può solo beneficiare di un festival e oggi, grazie all’online, una realtà bolognese può diventare un punto di riferimento internazionale».
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