Design & Moda

Lo Spazio b5 apre le porte al Cile. La cultura e la moda Aymara arrivano a Bologna

04-12-2020

Di Laura Bessega

C’è un posto a Bologna dove si vendono oggetti che raccontano storie, progetti, culture. Nei vicoli vicino alla conosciutissima finestra di via Piella, lo Spazio b5 con i suoi due piani, negozio e galleria, ha raccolto in pochi anni una variegata clientela di appassionati di fotografia, design e curiosi in genere. Ma soprattutto ha cercato, e continua a farlo, di rendere lo spazio un punto di incontro tra clienti e  artigiani, provenienti da tanti luoghi diversi, mantenendo  uno sguardo sempre attento alla produzione cittadina.

L’unione inizia dai due proprietari, soci e sposi, Michele Levis, veneziano, e Lorena Zuniga Aguileira, cilena.

Ed è proprio in questo periodo di chiusura forzata che Lorena apre le sue porte e porta il Cile a Bologna. Per farci conoscere, attraverso scialli, ponchi e altri manufatti di Aymara Sawuri, brand tutto al femminile, le donne e la cultura Aymara.

 

Foto di Michele Levis

 

Nella regione settentrionale del Paese, gli altipiani del Norte Grande sono per lo più desertici. 

Ma non è il deserto a cui facciamo riferimento solitamente. Dal marrone all’ocra passando per l’arancione, il rosso e il beige, gli occhi contano mille sfumature. Si fermano di fronte a lagune dalle acque colorate, brulicanti di fenicotteri e strani cespugli verdi che assomigliano ad avvenieristiche poltrone da Salone del Mobile. Verso l’alto lo sguardo spazia in un cielo che sembra non finire mai. 

In queste terre dove sole e vento scolpiscono paesaggi e volti, abita la popolazione Aymara, la cui origine risale all’epoca preispanica. 

Due milioni le persone che parlano Jaqi Aru, la lingua degli umani e vivono distribuite fra le sponde del lago Titicaca, il nord del Cile e l’Argentina.

 

Foto di Michele Levis

 

Gli Aymara credono nella Pachamama, la Madre Terra, a cui fanno offerte e cerimonie che includono balli e canti. Credono anche che nelle montagne che circondano i loro villaggi ci siano  spiriti che li proteggono. Tutto questo si traduce in un rispetto per la natura e i cicli della terra che noi sembriamo aver dimenticato da tempo.

Le donne partecipano al lavoro agricolo, si occupano delle sementi e trasmettono le proprie conoscenze di generazione in generazione. Insieme al saper tessere, un tempo questo era uno dei requisiti per il matrimonio. Inizialmente se ne occupavano gli uomini perché i tessuti erano più grossolani e si faceva più fatica, ma poi le cose sono cambiate. In famiglia, hanno sempre gestito il denaro, senza dover consultare il marito. Questo le ha rese anche abili commercianti.

Nel modello sociale andino, insomma, non c’è discriminazione. È arrivata dopo, con i conquistatori spagnoli. 

Oggi le donne Aymara si incontrano spesso nei mercati dove vendono i propri prodotti agricoli e artigianali. Si riconoscono dall’immancabile cappello, scialli e ponci coloratissimi sulle spalle, gonne larghe e sandali ai piedi.

I manufatti che producono racchiudono un universo simbolico. Il suo significato, attraverso figure iconografiche legate alle specie animali e vegetali presenti negli altopiani, forme e uso del colore, esprime i miti e le caratteristiche della loro cultura. I tessuti sono l’identità di questo popolo e portano con sé usanze e tradizioni. Sono fatti al 100% in lana di alpaca, con colori naturali che vantano una trentina di tonalità e sfumature. Il procedimento di colorazione è anch’esso interamente naturale e vede l’utilizzo di piante autoctone come la sipotola (Parastrephia quadrangularis) per il giallo, l’omatola (P. lucida) per il verde, la lampaya (Lampaya medicinalis) per il beige.

Dalla lavorazione della lana alla fabbricazione dell’indumento, ogni gesto si compie nel rispetto della natura. Il procedimento è completamente manuale e dura giorni. Quando raccolgono le piante per la colorazione dei tessuti, lo fanno in un particolare periodo dell’anno, chiedendo il permesso alla Pachamama.

Per la filatura usano un telaio a quattro pedali di origine coloniale dal quale si ottiene un tessuto doppio. Questa tecnica è poco usata e per questo molto preziosa. Viene trasmessa di generazione in generazione, soprattutto alle donne, che imparano a tessere quando sono ancora bambine.

Yenny Garcia, presidente della cooperativa Aymar Sawuri, ha imparato da sua madre a realizzare i tessuti tradizionali fin dall’età di dieci anni. Per lei è molto importante continuare la tradizione. “Dopo aver realizzato che molti artigiani erano nelle mie stesse condizioni – racconta – ho deciso di riunirli per formare questa cooperativa. Cerchiamo di essere un riferimento per la cultura Aymara nel mondo e allo stesso tempo, attraverso la vendita dei nostri prodotti, cerchiamo di sostenere le nostre famiglie”.

“Negli scorsi anni, con l’aumento della produzione industriale, gli artigiani erano in difficoltà e i loro prodotti stavano pian piano sparendo – mi fa presente Lorena – ma grazie a una riscoperta del settore moda e design, oggi per fortuna le cose stanno cambiando”.

Foto di Michele Levis

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