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Su carta igienica, nei freezer dei supermercati, sui muri della città. Le “poesie erranti” di Ma Rea

17-09-2018

Di Bruna Orlandi
Foto di Andrea Masiero

Porta sempre con sé uno zaino al cui interno ci sono forbici, scotch, puntine, filo di ferro, patafix e mollette. Il suo tempo lo passa scrivendo, ritagliando e plastificando versi che, senza chiedere permesso, sparge in giro per Bologna. Per trentanove ore a settimana guida autobus e alla domanda “cosa fai nella vita?” risponde senza indugi “il poeta errante”.

Andrea Masiero scrive dal 2010 e le sue parole le ha lasciate impolverare in un cassetto sino al 1° maggio 2014, giorno in cui, per la prima volta, ha attaccato su un cestino della spazzatura una sua poesia, per l’esattezza un distico: “Da questo momento, un bacio memento”.

E quel gesto ha inaugurato la sua assidua attività di poeta errante su cui, come mi racconta davanti a un caffè, ha iniziato a investire in modo “prepotente” e anche un po’ inconsapevole, tanto che in casa ha allestito un vero e proprio laboratorio professionale attrezzato di stampante, plastificatrice e taglierina.

La prima doverosa domanda: Cosa è la poesia errante?

“È un’evoluzione della poesia di strada, ma la poesia errante va anche negli spazi pubblici o privati. Rappresenta ciò che sono io: non so stare fermo e sono irrequieto. La poesia errante, come me, vaga alla ricerca di un posto nel mondo e non vuole solo ridare dignità alla poesia in chiave ironica, ma anche riscoprire il valore poetico degli oggetti più banali”.

Il poeta, infatti, affida le sue parole agli oggetti più disparati che riveste di nuova identità, rendendoli dei veicoli comunicativi molto potenti: i suoi versi si possono trovare stampati su carta igienica per pulirsi dalla volgarità e dalla meschinità, oppure su un pezzo di carta tra le pagine di un libro in una biblioteca o su una bancarella. Possono assumere la forma di biancheria intima appesa a un filo, gioco ironico che stempera i toni più amari dei testi o, ancora, si possono intrufolare nei freezer dei supermercati, dove l’artista lascia delle confezioni di pesciolini plastificati, proponendo a chi le trova di portarle a casa, surgelarle e tirarle fuori dal congelatore nei momenti di tristezza.

Le sue fermate poetiche sono un esplicito rimando al lavoro di autista di autobus e alla consuetudine di fermarsi di continuo: un foglio attaccato a un palo accoglie una poesia sotto la quale vi è un invito “Bastano pochi secondi e ti farai un viaggio gratuito e inedito. Un viaggio tra le strofe della poesia. Questa è una fermata poetica utile a fermare il tempo e ad intraprendere un’esperienza inusuale. La destinazione è la poesia errante qui sopra. Leggimi e rimarrò con te fino a quando lo vorrai”.

I suoi versi ingannano la mente, non palesano verità ma distillano poche certezze intrise di paradosso e ironia, e sebbene siano un puro flusso di coscienza, nulla è lasciato al caso e dietro a ogni progetto vi è una volontà programmatica da rintracciarsi con sguardo attento.

“Lavoro per strati. Chi vuole mi segue solo in superficie, chi ha gli strumenti va a scavare e scopre i riferimenti che faccio e i suoi riferimenti, affatto banali, spaziano dalla letteratura alla psicologia sino all’arte: Maja Bajevic, Efraim Medina Reyes, Howard Gardner, Christo e Jean-Claude, Joseph Kosuth, Félix González-Torres, Yayoi Kusama, con citazioni all’ossessione per la ripetizione di Sol LeWitt e alle opere di Daniel Buren.

Andrea Masiero sulla panchina “smart poetry” interamente rivestita di puntine. Piazzetta Morandi

Da cosa nasce il bisogno di scrivere e diffondere i tuoi versi?

“La poesia è una parte così forte di me che non posso farne a meno. È una ricerca di me stesso, attraverso la quale penso di poter dare un contributo sociale. Se tu non vuoi la mia poesia, vedrai che io arrivo a te in qualche modo, magari incontrandoti all’angolo di una strada”.

Credi che le tue poesie possano cambiare qualcosa?

“Sicuramente me stesso, quindi possono cambiare anche gli altri. Io vent’anni fa ero un’altra persona. Voglio smuovere ciò che è addormentato. Non posso portare a un cambiamento ma posso contribuire a creare un elemento affinché quel cambiamento avvenga. Mi diverto molto e, secondo me, potreste dirvi anche voi perché faccio cose che richiedono l’intervento degli altri”.

Le sue prime poesie portavano la firma di Stendiversomio e Ma Rea, contrazione del suo nome nonché metafora della sua identità che segue le lune, si alza, può essere ovunque e poi ritorna dove è.

Mi spieghi cosa è lo Stendiversomio? (E qui ci impiego un po’ per capire)

Lo Stendiversomio è il titolo di una mia poesia mai messa in circolazione e rappresenta il mio inconscio, il deus ex machina. Ma Rea è solo un esecutore, una persona fisica che agisce. Lo Stendiversomio è nato come poesia, poi è diventato una pagina Facebook, ma anche la mia firma. In rete mi firmo anche Ma Rea

Il giorno della sua laurea, nel 2015, ha deciso di abbandonare l’anonimato in modo quanto meno stravagante. Non è uscito dall’Università accompagnato dal solito “dottore, dottore, dottore del buco del…..” ma con in mano una pentolaccia rivestita di suoi versi e contenente un migliaio di poesie adesive. I suoi ospiti e la gente che incrociava ne pescavano una e gliela attaccavano addosso, dando vita a una vera performance di body art.

L’ultimo progetto cui sta lavorando è quello dei “deodoerranti”, deodoranti per wc che intervengono sull’aspetto olfattivo profumando un mondo “diventato una latrina, sia a livello culturale che ambientale”.

Prima di salutarci me ne regala uno. Un dolce omaggio.

Arrivo a casa, mi metto comoda, lo sfoglio come so fare io e dentro trovo una poesia.

La rimetto nel suo contenitore, spruzzo sopra del buon profumo, esattamente come avrebbe fatto lui, e porto il deodoerrante in un posto di Bologna dove sono solita andare che, in verità, odora già di buono.

Chissà se è ancora lì o già altrove!

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