«Noi crediamo nel potere delle idee. Con le idee si cambiano le prospettive e le abitudini. Si può cambiare il mondo perché si può cambiare il modo di vederlo». Ascoltare ideas worth spreading ovvero delle idee che vale la pena diffondere rappresenta «un arricchimento di prospettiva e di visione del mondo che permette ipoteticamente di cambiare un pensiero».
Andrea Pauri, organizzatore di TedX Bologna, risponde alla mia domanda un po’ provocatoria se parlare di cambiamenti climatici serve davvero e può fare la differenza.
In questi giorni di afa e caldo anomalo, l’argomento è quantomeno scottante.
I TED sono conferenze no-profit. Nascono nel 1984 nella Silicon Valley e diventano un riferimento nel mondo scientifico, culturale e accademico. Hanno un format dinamico in cui uno speaker parla per un massimo di 18 minuti, il talk, che viene poi messo a disposizione gratuitamente sulla piattaforma TED.com. I TEDx, che mantengono sempre lo stesso format, sono lo spin off nato per offrire alle persone un modo per ospitare eventi locali e auto organizzati in più di 150 Paesi nel mondo e in 52 città italiane tra cui Bologna.
E proprio qui, domani 30 giugno alle ore 20 al Teatro Manzoni ci sarà l’evento dedicato al climate change, giustizia ambientale e migrazioni condotto da Sambu Buffa e Giovanni Mori.
Qui trovate i biglietti.
Perché c’è ancora resistenza sulla questione climatica? Perché è cosi difficile per le persone comprenderne l’impellenza? Perché è un argomento che entra nel nostro quotidiano e quindi richiede un cambiamento in primis da parte nostra?
È diverso dagli altri social issues come la fame nel mondo e le guerre. Alla gente solitamente viene chiesto di fare una donazione. Nel caso del climate change viene invece chiesto di scendere personalmente in campo, di operare un cambiamento culturale. Bisogna ripensare il modo in cui viviamo il pianeta, cosa compriamo, cosa mangiamo, come usiamo l’acqua. Insomma richiede oltre a una presa di coscienza anche una buona dose di responsabilità da parte delle persone.
«Questo tipo di cambiamenti ha bisogno di tempo. E oltre a quello che riguarda noi, ci sono degli interessi finanziari enormi con una conseguente grande influenza sul mondo politico, scientifico, tecnologico ecc. E poi c’è anche tanta ignoranza».
Ma noi ce l’abbiamo tutto questo tempo? Mentre penso ai discorsi infuocati di Greta Thunberg e all’apocalittico Don’t look up di Netflix, la domanda mi esce senza che quasi me ne accorga.
«Chi lo sa. Alcuni dicono di sì, altri di no. Io non lo so con certezza ma ti posso dire una cosa: mentre 4,5 anni fa ci si chiedeva cos’è il climate change oggi per moltissimi è un dato di fatto.
Penso al nostro TedX: tante persone si rendono conto che il clima è cambiato e questa consapevolezza, benché non sia diffusa al 100%, ci ha fatto passare alla fase 2. Domani i nostri speaker non ci racconteranno che l’acciaio delle Dolomiti sta diminuendo o l’acqua del Po è ai minimi storici. Saranno lì per raccontarci le soluzioni. Soluzioni che si sono già concretizzate. Grazie alla diffusione di idee di valore io vedo un aumento della consapevolezza. Non parliamo più dei problemi ma di come risolverli in modo reale».
Ma in Italia come siamo messi?
«Ti rispondo così: Marica di Pierri, una delle nostre speaker di domani, ci ha fatto causa».
Andrea ride e poi si spiega meglio: «ha fatto causa allo Stato Italiano, cioè a noi, per inadempienza climatica».
Domani ci saranno 9 speaker, 7 donne e 2 uomini, selezionati per le loro idee di valore.
«Non scegliamo qualcuno perché è conosciuto, lo scegliamo per la competenza che ha nel settore di riferimento. In questo caso l’argomento trattato è di nicchia, complesso e ha molte sfaccettature e ogni persona si occuperà di un particolare risvolto, argomento. Economico, finanziario, giuridico, ma anche riguardo l’attivismo e chi ha subito questo fenomeno».
Secondo l’Onu entro il 2050 si prevedono 216 milioni di migranti causati dai cambiamenti climatici o ambientali. Bisogna fare molta attenzione alle parole perché per ambientali si intendono fenomeni come vulcani e terremoti, non riconducibili cioè all’intervento umano.
«Quando i cambiamenti climatici comportano dei cambiamenti sociali, stravolgono la vita delle persone».
Chiosa Andrea, e poi aggiunge una cosa che mi stupisce perché l’avevo sempre data per scontata: «oggi si parla di rifugiati climatici ma in realtà non esistono, o meglio, non ufficialmente».
Da un punto di vista formale, l’espressione rifugiato climatico è impropria poiché non si fonda su nessuna norma presente nel diritto internazionale. Non riflette, inoltre, la complessità con cui il clima e la mobilità umana interagiscono tra loro in un articolato rapporto di cause ed effetti.
Il rifugiato climatico non è riconducibile alla definizione della Convenzione sui rifugiati di Ginevra (1951), che lo individua come qualcuno che ha attraversato una frontiera internazionale «a causa del fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica» (UNHCR).
Ma le persone che varcano i confini del proprio paese e non possono tornare a casa, hanno il diritto di chiedere forme complementari di protezione internazionale. Se si avvereranno le previsioni dell’Onu, le proporzioni di questo fenomeno saranno enormi e anche le conseguenze sulla vita di milioni di persone.
Rifugiato climatico è una parola importante. Le parole sono importanti.
«Ognuno di noi è le parole che sceglie. Conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto ci dà un potere enorme, forse il più grande di tutti» come ci ricorda Vera Gheno.
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