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Thauma, il podcast che indaga l’animo umano attraverso l’arte

05-08-2023

Di Noemi Adabbo

Thauma è il podcast che a gennaio 2023 nasce per indagare l’animo umano attraverso l’arte, spronando chi ancora non è avvezzo al mondo del teatro, e che porta ad accostarsi alla quotidianità con stupore e meraviglia, e un pizzico di terrore.

Dietro ci sono Beatrice Bertesi e Davide Reggiani. Tra confronti ravvicinati e consigli culinari, Thauma utilizza un linguaggio semplice e diretto con l’intento di arrivare allo spettatore in maniera concreta a dispetto dell’intangibilità del podcast, poiché, come ci dice Beatrice «il teatro è alla portata di tutti, un’arte assolutamente necessaria».

È disponibile su Speaker, Spotify e Apple Podcast.

Li abbiamo raggiunti per sapere quali temi affrontano e che format utilizzano per farlo.

Thauma: che significa? È un acronimo? Una metafora? A primo acchito mi dà la sensazione di un trauma appoggiato ad un umano dove l’h aspirata fa da collante, una sorta di sineddoche, una parte per il tutto.

Beatrice: «Thauma è un termine greco, viene solitamente tradotto con il termine meraviglia ma in realtà la sua origine etimologica ha un significato più profondo, il suo vero significato è terrore: un angosciante stupore per questa nostra esistenza, per la vita in cui ci troviamo e la cui durezza raggiunge tutti e tutti fa soffrire. È come se dovessimo conoscere le paure, accettare le ansie della vita e della nostra sofferenza esistenziale per poter essere vivi. Quindi solo attraverso un’immagine tormentata, allarmante possiamo veramente meravigliarci della vita, e trovo che il teatro sia un’arte che si pone ancora oggi questo obiettivo, di creare un’immagine che da familiare passi a non familiare».

Davide: «Thauma è qualcosa di intangibile, come viene poi rappresentato anche nel visual del nostro progetto. Come rappresentiamo e raffiguriamo una meraviglia, uno stupore? Noi lo immaginiamo come flusso, che cambia, muta, e si plasma su quelli che sono i nostri argomenti principali di conversazione con i nostri utenti».

 

Ogni volta che si parla di figure retoriche mi viene in mente Synechdoche, New York del 2008 di Charlie Kaufman con un impareggiabile Philip Seymour Hoffman, non per niente il vostro ultimo episodio ha trattato della dimensione del teatro, o meglio, del microteatro: cosa intendete con teatro breve?

D: «Interessante, come questi temi e argomenti, aprono scenari a diversi mondi, e vadano a toccare in modo differente la sensibilità dell’ascoltatore, stimolandone la fantasia. Facciamo un po’ di chiarezza, le nostre puntate parlano molto di figura, e poco di retorica. Figura intesa come rappresentazione, immagine e riproduzione, e infatti, la “figura” del teatro breve non è altro che una delle tante sfumature di quello che si intende far teatro. Nell’immaginario comune di chi non frequenta il teatro, lo spettacolo viene percepito in modo anacronistico, come un evento che per forza di cose, deve rispettare certi aspetti tecnici. In realtà non è per forza così. In questa puntata nello specifico, si parla di “teatro breve” perché abbiamo avuto modo di assistere e vivere il teatro, in un luogo che non era un teatro, ma lo rappresentava».

B: «Il MicroTeatro, è un format: una struttura flessibile che consente di creare storie di natura molto diversa e avvicinare il pubblico a un mondo teatrale originale, dove si raccontano varie narrazioni, si presenta un nuovo modo di performare e il limite è fissato solo dall’immaginazione e l’obiettivo è quello di stupire lo spettatore. Ci sono attori e attrici che si esibiscono in performance di 5-10 minuti ciascuno, mettendo in scena monologhi, scritti inediti o scene d’autore. Per teatro breve si intende quel teatro che ha una durata inferiore di tempo rispetto a uno spettacolo normale, forse in linea con l’attuale stato di attenzione delle persone, ma non per questo ha meno efficacia. Come se fossero delle piccole tapas da gustare dove lo spettatore riesce a fruire nella stessa serata più modi di performare».

Tornando un attimo agli inizi, ci raccontate com’è nato il podcast? Raccontateci di voi e dell’idea che vi ha portato alla creazione di questa piattaforma.

B: «Il nostro podcast è nato a gennaio 2023. Avevo la necessità di divulgare cosa fosse l’arte performativa e sdoganarla dal pregiudizio di essere un’arte elitaria dalle commedie in rima e dove si descrivono emozioni in modo farsesco. Il teatro è alla portata di tutti, un’arte capace di suscitare emozione e di metterti in connessione con la vita. Un’arte assolutamente necessaria visti i tempi. Da questa idea ho deciso di coinvolgere Davide, che prima di conoscermi non era mai andato a teatro. In questo modo lo spettatore riesce ad avere due punti di vista sulla stessa cosa: uno sguardo più esperto e uno più abituale».

D: «La voglia di dire la nostra, è stata la scintilla che ci ha fatto dire: Perchè non iniziamo a raccontare, a far immaginare e ad emozionare l’ascoltatore, facendo cultura? Beatrice, operatrice e insegnante teatrale, mentre io designer, abbiamo unito le forze, creando il nostro Podcast, dove in un qualche modo queste due figure professionali apparentemente lontane, possono avere tanto in comune. Lei, esperta di teatro, con un occhio clinico per i nuovi spettacoli e compagnie interessanti, io invece mi baso su come il linguaggio visivo viene tradotto sul palco. Unendo appunto questi due aspetti, riusciamo ad avere una visione più ampia di quello che raccontiamo».

 

Sono curiosa di sapere come scegliete i temi da affrontare di volta in volta: da cosa vi lasciate ispirare e con che cadenza li pubblicate?

B: «Cerchiamo spettacoli e artisti che ci possano sembrare interessanti, sia dal punto di vista figurativo sia da quello argomentativo. Cerchiamo di approfondire brevemente il background del regista o della compagnia che vediamo in scena, un percorso che restituiamo nella descrizione della puntata. Decidiamo anche dove passare il dopo cena, che nel nostro podcast diventa il consiglio culinario; in questo modo forniamo un’esperienza totale da far attuare in prima persona all’ascoltatore, consigliando a chi non mastica il teatro un’“appetitosa” scusa per andare. Girando per le varie vie del centro di Bologna ma non solo, indichiamo dei locali dove poter discutere di fronte ad un buon calice di vino quello che si è visto a teatro e creare conversazione. Infine, Davide ed io discutiamo insieme dello spettacolo creando il processo creativo che porterà alla recensione».

D: «Il nostro tema fondamentale è il teatro, e da qui, partono una miriade di strade che portano in altrettanti posti, suscitando emozioni sempre diverse, e angoscianti stupori. Ci lasciamo ispirare dai nostri gusti personali, cercando di assorbire e raccontare quante più sfumature possibili del teatro: dalla prosa, alla tragedia, passando per il teatro di figura, performance ed installazioni. Lasciandoci trasportare da quello che la scena offre, e dalle nostre emozioni, cerchiamo di pubblicare sempre il prima possibile dopo lo spettacolo, per non perdere tutte quelle sensazioni e dettagli che ci hanno lasciato su di noi, per trasmettere al meglio al nostro ascoltatore tutte quelle immagini che lo rendano partecipe con noi».

 

Potersi meravigliare e angosciare della vita: date al vissuto la possibilità di un’accezione tanto positiva quanto negativa dunque la capacità, il dovere e la necessità di emozionarsi a prescindere è, appunto, il modus o il motto vivendi del vostro progetto. Come reagiscono gli ascoltatori? Come interagiscono con voi e con gli argomenti trattati? Riscontrate maggior interesse per alcuni piuttosto che per altri? Se sì, quali?

B: «Gli ascoltatori sono pronti ad emozionarsi e a conoscere artisti e modalità performative nuove, si dilettano nell’ascoltare e nell’immaginare le messe in scena delle varie performance. Trovano molto interessante quando da una performance teatrale arriviamo a parlare di argomenti attuali: come la paura del diverso nell’episodio Scandalosa diversità e la trasposizione dai quadri visivi a quelli performativi in Condizione umana».

D: «Il nostro tessuto di ascoltatori, è vario. Da chi è navigato dal teatro, a chi è totalmente nuovo a questo mondo. Il nostro approccio, e la nostra visione cerca di avere un’ampiezza totale. Non c’è una vera reazione dell’ascoltatore, se non quella di porgli e porsi delle domande. Di fargli crescere il germoglio del dubbio, di stimolarli in visioni immaginifiche. Questi sono gli interessi di chi ci ascolta, interazioni latenti e silenziose, ma che, con alcuni feedback ricevuti, abbiamo capito esserci».

Sulla base di questo, qual è la fotografia che ne traete di chi vi ascolta e, più in toto, pensiate sia un quadro fedele della società odierna?

B: «Sono persone digiune dal fruire abitualmente il teatro ma che hanno l’interesse di emozionarsi e di fare esperienza di qualcosa di nuovo, di originale. Penso che racchiuda il moto interiore che risiede nelle persone di questa società: come poi si vede nella vita di tutti i giorni, solo pochi eletti prendono la decisione di fare veramente qualcosa, che nel mio podcast si traduce nell’andare a teatro».

D: «La società di oggi a volte è molto difficile da comprendere, però sappiamo che fuori dal teatro, c’è tanta superficialità su alcune tematiche, non ci si sofferma ad ascoltare e non c’è cultura. Il teatro non è uno spettacolo fine a sè stesso, ma ci parla, si vuole raccontare. Ecco a volte abbiamo la sensazione che la società sia sorda e cieca di fronte a questo. Nel nostro piccolo movimento io e Beatrice vogliamo avvicinare e abbattere queste distanze ideologiche, utilizzando un linguaggio, se vuoi, anche giovane e diretto, ma che riesca ad incuriosire».

 

Il vostro podcast indaga fortemente la società che permea l’ascoltatore e quindi l’individuo che crea la comunità e risiede infatti nella società. Quali sono gli aspetti a vostro parere su cui bisognerebbe lavorare e indagare di più, quelli un po’ più scomodi, non tabù ma di cui ancora si fatica un po’ a parlare, sui quali non si è sempre d’accordo sul confrontarsi e sui quali, invece, bisognerebbe farlo?

B: «Il creare scandalo è qualcosa che a me affascina tantissimo e lo reputo fondamenta del cambiamento. In Thauma affrontiamo temi tra loro disparati: il problema generazionale, il diverso, la guerra, la morte, l’amore, il potere, il femminismo, l’illusione, la malattia mentale e la risata. L’arte ha la capacità di farti trovare di fronte a tematiche scomode quando meno te lo aspetti e ti ritrovi a fare i conti con una parte di te stesso che non conoscevi e ti mette nella posizione di fartela conoscere. Ti lascia qualcosa addosso e tu sei inerme. Il negare la possibilità di parlare di certi argomenti addormenta gli animi e l’arte ha il compito di risvegliare. Noi, nel nostro piccolo, puntiamo a questo».

D: «L’arte in generale, declinata poi al teatro, è sempre stato oggetto di discussione. Si entra in una sfera soggettiva dove ognuno di noi convive. Questo aspetto dove l’arte deve sempre per forza essere capita, è un dogma che andrebbe sciolto, o comunque alleggerito. Le espressioni artistiche non sono leggi matematiche, non vanno risolte, vanno però studiate. L’arte crea confronto, e questa dinamica tra la società deve essere costruttiva. Andate alle mostre, dipingete, scrivete, recitate, andate a teatro. Accogliete l’arte, fatela vostra e restituite senza troppe domande e paranoie».

 

C’è, invece, una qualche tematica della cui risposta siete rimasti sorpresi? Sia piacevolmente che non ma semplicemente un riscontro che non vi aspettavate, a cui non eravate pronti ma che ha dato un ulteriore nuovo spunto e che è stato motivo di arricchimento e ulteriore indagine?

B: «Siamo stati felicemente sorpresi dall’episodio Improvvisazione, in questa puntata parliamo del format Match di improvvisazione teatrale. Penso abbia incuriosito la modalità performativa in cui lo spettatore può decidere le sorti della improvvisazione ed essere lui stesso protagonista della scena. Questo ci ha spinti nel cercare modalità performative che si distacchino dal solito platea-palco. Mentre ho notato che la tematica arte e salute non ha riscontrato l’interesse che mi aspettavo: le tematiche affrontate sono interessanti, forse la modalità performativa non ha suscitato interesse».

D: «In questa prima stagione, stiamo raccontando le nostre esperienze teatrali. Siamo rimasti piacevolmente colpiti e contenti, quando interfacciandosi con artisti e organizzazioni hanno dimostrato un forte entusiasmo verso il progetto che non ci aspettavamo. Queste vibrazioni, queste emozioni, ci hanno dato la carica per andare sempre di più alla scoperta dello stupore e della meraviglia».

 

Come, quando e quanto l’arte e la quotidianità possono legarsi? Quanta arte c’è nella quotidianità e quanta quotidianità nell’arte?

B: “Partiamo dal presupposto che la fonte di ispirazione dell’arte è la vita stessa, i suoi meccanismi, le sue emozioni. È impossibile vedere le due cose separate, almeno per me. Penso che il quotidiano sia molto presente nell’arte, anche nel quadro più astratto e nella performance più enigmatica. Mentre quanta arte c’è nella quotidianità porta verso una riflessione più ampia: riesco a notare l’arte nella sua semplicità nella vita di tutti i giorni? riesco a distinguere cosa sia veramente di valore dal marketing?».

D: “Viene prima l’uovo o la gallina? Credo che sia una situazione di stallo, ma lo stallo, è allo stesso tempo equilibrio. Si crea una condizione minima necessaria di esistenza. L’una non può esistere senza l’altra. La quotidianità di quello che facciamo è arte, ma allo stesso tempo l’arte è un allenamento quotidiano. In un mondo dove la società è assuefatta da miliardi di input che ci vengono sparati addosso, a volte basta solo fermarsi un attimo su un dettaglio, osservarlo e viverlo, per far sì che quel particolare diventi per noi arte. Un colore, una forma di una nuvola che ci ricorda qualcosa, un profumo che ci porta indietro nel tempo. L’arte non è solo appesa circondata da cornici, ma l’arte è tutto ciò che siamo noi».

 

Tornando al discorso di prima, l’emozione ci fa sentire vivi, non per forza bene, non necessariamente felici, ma vivi: che cosa significa per voi? Quanto è importante per l’essere umano meravigliarsi? Siamo ancora capaci di farlo? I vostri spettatori lo sono?

B: «Ci troviamo inermi di fronte all’esistenza e il provare qualcosa è l’unica cosa che ci rimane. Non siamo consapevoli di questo. Di avere delle emozioni e di poterle provare intensamente, senza sentirsi a disagio e distaccati da ogni situazione che questa vita ci mette di fronte. Il dovere stare dentro le emozioni è qualcosa che ci rende consapevoli di cosa sia questo corpo, di chi sono io e le persone che stanno intorno a me. La necessità di trovare nuovi stimoli porta l’essere umano a non stupirsi più di nulla. Trovo che il teatro sia un’arte capace di portare le persone a sentirsi appagate in questo senso. I nostri ascoltatori sentono anche loro questo bisogno e spero che il nostro podcast faccia da Virgilio per qualcosa di più grande».

D: «Per alcuni purtroppo, meravigliarsi al giorno d’oggi è utopia. Un po’ come cercare di rincorrere la linea dell’orizzonte, per altri, invece è un’emozione dimenticata da tempo, invecchiata e abbandonata. Per noi meravigliarsi significa provare un’emozione eccezionale e inattesa. Qualcosa che ti lasci il segno. La meraviglia non ha unità di misura, non ha tempo e forme. La meraviglia la si può trovare anche assaporando un buon calice di vino, oppure passeggiando in mezzo alla natura. Facendo un parallelismo culinario, se la meraviglia fosse un piatto, sarebbe una mousse d’arte con scaglie di vita quotidiana, topping di stupore su un letto di emozioni. Quindi auguriamo a tutti, buon appetito».

 

Il vostro prossimo argomento su cosa verterà? Dateci un indizio.

B: «La prossima puntata, la 15, dove cercheremo di capire cosa ci è rimasto addosso da tutte queste esperienze, sarà l’ultima puntata di questa prima stagione di Thauma».

D: «Stiamo costruendo anche la seconda stagione di Thauma, con qualche novità, contenuti extra, ma alcuni dettagli verranno svelati a chi sa ancora meravigliarsi. Ci vediamo li».

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