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Sposato come uomo, incarcerata come donna. “The man woman case”, l’incredibile storia di Eugene Falleni

02-09-2020

Di Pietro Romozzi

Sposato come uomo, incarcerata come donna.

Una storia, quella di Eugene Falleni, che ha dell’incredibile. Da essa, la regista, graphic designer e animatrice 2D Anais Caura ha saputo trarre animazioni evocative e, utilizzando un termine detestabile a causa dell’odierno abuso: potenti.

La miniserie animata di 10 capitoli The man woman case sarà proiettata con la presenza dell’autrice a Le Serre dei Giardini Margherita il 5 settembre alle 21,30 all’interno di Tecnica Mista, in una serata dedicata all’animazione al femminile.

Per chi non avesse ancora partecipato a qualche evento della rassegna (molto male!) ricapitoliamo brevemente di cosa si tratta: Tecnica Mista è il festival tematico di Kilowatt Summer 2020 che esplora il mondo dell’animazione e i suoi linguaggi, incontrando ospiti italiani e internazionali per discuterne gli aspetti tecnici e artistici. Vi abbiamo raccontato già un’altro appuntamento qui.

Questa è la cornice, il quadro è appunto The man woman case che racconta la storia di Eugene-Eugenia Falleni, criminale transgender italiano immigrato a Sidney agli inizi del ‘900, colpevole di uxoricidio aggravato da perversione dovuta, come è facile aspettarsi, alla sua identità personale e sessuale in un’epoca certo non nota per la tolleranza. Una vita rocambolesca, segnata da conflitti familiari, da una figlia avuta in giovane età, da lavori saltuari e da un matrimonio (dall’esito tragico) basato sul nascondere alla propria moglie il suo sesso biologico.

La costante è l’anelito a un’identità maschile; in giovane età forse un gioco o una necessità, come quando, bambina, Eugenia si travestiva da ragazzo per avere un lavoro, poi, in seguito, Eugene (o Henry Leo Crawford, a seconda dei casi) come unico volto nel quale riconoscersi.

Le animazioni sono potenti perché incisive e dal ritmo sì martellante ma sempre fluido, costruito sfumando una scena nell’altra, caleidoscopicamente. Lo spettatore è come catturato nel flusso e non può non restare colpito da un disegno essenziale e dalla marcata fisicità. Tonalità cupe, l’andamento un po’ “traballante” del rotoscopio, il continuo passaggio tra storia e vissuto emozionale del protagonista Eugene che crea un’amalgama di storia “esterna” e “interna”, di concreto e astratto; questi sono solo alcuni elementi che giustificano l’aggettivo “potente” per The man woman case.

Sulle atmosfere tipiche del noir aleggia un effetto astratto-retrò in parte dovuto al contesto storico in cui la storia è ambientata (Sidney, anni ‘20), in parte all’immaginazione e al tratto di Anais Caura che, per sua stessa ammissione, ha creato la sua Sidney senza averci mai messo piede, solo studiando vecchie foto e lasciando che la creatività facesse il resto. Il risultato è un ambiente rarefatto capace di superare una dimensione localizzata in termini di tempo e spazio per avvicinarsi a una dimensione assoluta esaltata peraltro da una colonna sonora premiata a La Cabina Festival 2018.

Doveroso aggiungere che le foto d’epoca, con particolare attenzione ai vecchi volti che ritraggono, sono una fonte d’ispirazione importante per i disegni di Anais Caura e bastano poche scene di The man woman case per averne conferma. La regista ci racconta che l’opera stessa nasce proprio da una vecchia foto di Eugene Falleni, trovata per caso navigando in internet: “sono stata catturata dalla tristezza infinita del suo sguardo, così ho letto i suoi capi d’accusa e successivamente la sua storia, una storia romanzesca, soggetto ideale per una graphic novel”.

Dalla graphic novel si è poi arrivati all’animazione; ci spiega: “Per trasmettere alcune delle emozioni principali del personaggio tratto da Falleni (paura, disforia di genere, incubi, ecc.) l’animazione era il mezzo più opportuno perché con metamorfosi, colori, con l’utilizzo di diversi stili grafici, si può dire molto senza usare le parole”.

Durante l’intervista, Anais Caura rimarca di non voler parlare attraverso il film dell’intera comunità trans, bensì della sua personale interpretazione della storia di Eugene Falleni; una forte rivendicazione di autonomia che affranca l’opera da una questione socio-politica specifica per portarla ad un livello più trasversale o universale: “Mi piace pensare che sia un film sulla tolleranza e l’accettazione, temi attuali che rendono la storia di Falleni molto moderna. Scegliere un ‘anti-eroe’ come lui è un modo per sollevare la questione su chi siano in effetti i veri mostri della storia”.

Riduttivo dunque parlare di “trans movie” o “queer movie” perché The man woman case è prima di tutto una storia e un film di animazione di qualità, non a caso definito dal magazine Zippy Frame come “la prova che il cinema d’animazione d’autore non è (ancora) morto”

Notevole poi il successo internazionale sancito da diversi riconoscimenti tra cui il premio della giuria al festival di Annecy 2017.

Come si vive, Anais Caura, il successo della sua creatura?

“È emozionante per me e per un piccolo team ritrovarsi a lavorare su un grande progetto. Il fatto che il film abbia avuto successo mi permette di condividerlo, presentarlo e poterlo discutere da più punti di vista. Poi si viaggia un sacco…”.

… approdando appunto anche a Bologna. Non potevamo non chiederle qualcosa sulla sua partecipazione a Kilowatt Summer: “Il bello dei festival è la grande diversità di idee e stili, è come viaggiare nella mente di tanti artisti e creativi, davvero affascinante. Bologna era da tempo sulla mia travel-list quindi non vedo l’ora di scoprire un po’ la città, anche se solo per pochi giorni. Un teaser (per restare nel gergo cinematografico, ndr) per poi tornare presto e vederla meglio”.

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