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Vanna Vinci, l’illustratrice outsider che racconta le icone del passato

01-02-2019

Di Beatrice Belletti
Foto di Beatrice Belletti

“Io non sono una grande lettrice di fumetti”.

Questa è l’ultima cosa che ci si aspetterebbe di sentire da Vanna Vinci, uno tra i nomi più noti del panorama fumettistico italiano.

Vanna, cagliaritana classe ’64 ha preso d’assalto il mondo dell’editoria illustrata dagli anni 90, pubblicando storie a fumetti per Bao Publishing, Dargaud, Rizzoli Lizard, Hachette, Planeta, Kappa Edizioni, Kodansha, 24Ore Cultura e Feltrinelli Comics. I suoi libri sono stati pubblicati in Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Spagna, tra i premi vanta Yellow Kid (1999), il premio Comics (2001) e il Gran Guinigi (2005).

La incontro alla galleria Ono Arte Contemporanea, dove ha presentato in anteprima il suo ultimo lavoro, la biografia illustrata Io sono Maria Callas edito da Feltrinelli Comics.

In occasione di Art City, sarà ospite al Premio Renner per il contemporaneo in conversazione con Fulvio Macciardi, moderato dal collettivo Cheap, venerdì 1 febbraio dalle 18 da Ateliersi.

Vanna Vinci

Vanna dice di essere una persona che si approccia “con curiosità anche alle cose che le fanno repulsione”, indossa un blazer a stampa leopardata corredato da una spilla di via del Pratello che lei dice essere una dichiarazione di appartenenza, mi racconta che lavorava come grafica pubblicitaria alla fine degli anni 80 e se non fosse stato per Luigi Bernardini e Roberto Ghiddi (Granata Press) forse sarebbe finita a fare l’odontoiatra… immagino ci sarebbero stati i Ramones di sottofondo nella sala d’attesa.

Come hai iniziato a disegnare fumetti?

“Sono arrivata al fumetto in modo abbastanza selvaggio, dai libri di Pratt che mi venivano regalati da bambina, all’autore inglese Ronald Searle, le sue bambine assassine crudelissime di St. Trinian’s Story, con questo tratto sporchissimo e cattivo mi avevano impressionato moltissimo, la mia Bambina Filosofica è venuta da lì”.

La tua mano, il tuo tratto distintivo, è un talento che hai sempre avuto?

“Per quanto riguarda il disegno più che di talento si può parlare di sistema di espressione. Fin da bambina mi sono espressa con il disegno. Secondo me il fumetto è una specie di malattia mentale, se uno è ossessionato dai fumetti o è un fumettista , non riesce più di tanto a sottrarsi”.

Parlando di espressione, che cosa volevi buttare fuori, su carta, quando hai iniziato e come è cambiato ad oggi?

“Ho iniziato con Lillian Browne e il tema dei vampiri, ad un certo punto della mia vita mi sono stancata di scrivere e disegnare storie di finzione, con ‘Aida al confine’, ‘Sophiae’, ‘Gatti neri, cani bianchi’ ho concluso un universo sull’adolescenza e ho deciso di cambiare completamente e fare biografie, la Marchesa Casati è il primo personaggio che ho sviluppato, da cui è seguito un filone di ricerca e analisi dentro la figura femminile e iconica, con Tamara de Lempicka e Frida Kahlo e ora Maria Callas”.

Io sono Maria Callas, Vanna Vinci

Un processo di documentazione molto lungo, dettato dalla scelta accurata di personaggi iconici, Vanna dice “verso la Casati c’è una fascinazione che resta tutt’ora, dal primo contatto durante una mostra di Boldini a Padova, se un editore fosse così pazzo da chiedermi di rifare la sua biografia in qualche modo la rifarei anche subito”.

Mentre per la Callas si è trattata di una commistione di elementi emersi durante la ricerca, tra la fragilità, “mi interessava questa figura molto elegante, malinconica, con gli occhi vaghi” e la trasformazione, “il suo dimagrimento che reputo un aspetto molto moderno della Callas”.
Continua Vanna: “queste icone sono rappresentative di situazioni estreme, Callas è emblematica nel suo rapporto con la madre, con se stessa e con il maschio”.

Io sono Maria Callas

Che cos’è per te l’essere donna? E come si bilancia con l’essere artista?

“Io vengo da un’educazione femminista quindi la ricerca della struttura femminile e  la sua individualità è fondamentale. Da artista mi viene da dire che la prima cosa che un’artista sente di fare è esplorare la cosa che gli è più vicina”.

Ti ha mai spaventato mettere qualcosa di autobiografico nelle tue opere?

“Sì, molto, ma l’ho sempre fatto. Penso che altrimenti sarei disonesta nel confronti di me stessa, del personaggio e del lettore. Questo essere dentro il personaggio è riscoprire qualcosa in cui io mi riconosco e credo che il lettore lo percepisca, anche se è sotto traccia”.

Che cosa vorresti che leggessero le nuove generazioni di bambine?

“Io penso che la letteratura per ragazzi non sia diversa da quella per adulti, credo che si possa permettere, come è stato permesso a me di leggere cose non strettamente connesse con il loro target. Ho letto ‘Il giovane Holden’ a 10 anni, alle medie ‘Il secondo sesso’, era come leggere un trattato di astrofisica, ma sicuramente qualcosa in testa mi è rimasto”.

Com’è la tua relazione con Bologna?

“Sono arrivata alle fine degli anni 80 inizio 90, c’era un grande fermento quindi c’era un humus particolare che permane. Per quanto mi riguarda, in termini creativi e personali io posso dire che Bologna mi ha fatto, nel bene e nel male sento l’imprinting di quello che è stata e quello che è adesso.
 
Dopo due anni a Milano ho deciso di tornare perché non potevo stare lontana da Bologna, c’è chi ha il mal d’Africa, io mi sognavo Piazza Maggiore”.

Vanna Vinci

Amante dei “periodi di decadenza”, Vanna Vinci è fruitrice di arte antica e contemporanea, di fotografia. Sull’estetica della sua grafica dichiara “ho sempre sofferto la divisione regolare delle vignette, è come essere dentro una gabbia, [la grafica] si è evoluta senza delle impostazioni strategiche, fino alle estreme conseguenze, con il personaggio che è esploso sulla tavola e ne viene fuori”.

Sull’evoluzione del digitale dice che è “fondamentale per la realizzazione del fumetto. Il mezzo è diverso e il supporto non è stato ancora sviluppato nelle sue infinite possibilità”. Vanna è emersa in un periodo di golden age per la graphic novel, seppur in un mondo predominato dagli uomini: “prima eravamo quattro gatte, oggi ci sono molte autrici, e fortunatamente ci sono un sacco di giovani autori che in modo assolutamente professionale pubblicano le loro autoproduzioni se non vogliono seguire i dettami dell’editore”.

C’è un livello di criticità quando leggi qualcosa di un altro artista?

“Ho paura. Paura che mi piaccia troppo e che mi influenzi. Penso alla mia amica Nicoz Balboa, con il suo diario autobiografico ‘Born to Lose’, onesto, ribelle, punk, pieno di amore, ha messo a nudo molte cose. È uno dei libri che mi sia piaciuto di più. Io non riuscirei a farlo. Non mi fa paura l’eccesso, ma ci vado con cautela, per evitare che questa energia che viene dal libro di un altro autore sia così dirompente da stravolgere la mia idea”.

Ti senti ribelle?

“Sono sempre stata un’outsider, non perché lo volessi – dice ridendo – evidentemente non era possibile fare diversamente… È una sostanza pratica di condotta personale e di carattere. La convenzione è una cosa che non sono riuscita a seguire, seguivo me stessa, magari finendo a fare anche cose convenzionali, non lo so. Io non riesco ad essere allineata, sono sempre stata un po’ come la bambina filosofica”.

 

Questo è uno degli eventi che abbiamo inserito nella nostra guida ad Art City.

Scopri gli altri qui: LA NOSTRA GUIDA AD ART CITY. 16 (+1) EVENTI CURIOSI DA NON PERDERE

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