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Il sesso è (anche) cultura. Inside Porn, tre ricercatrici studiano le nostre fantasie

14-01-2019

Di Luca Vanelli

Ha chiesto a persone comuni e ad attori di confessarle le proprie fantasie erotiche. Vere, reali.

Lei è la regista svedese Erika Lust e nel 2013 ha lanciato il progetto artistico collettivo XConfessions, da cui sono nati cortometraggi realizzati a partire da sceneggiature basate su fantasie reali, inviate alla regista dal suo pubblico. Erika Lust XConfessions Selection ne raccoglie una selezione, che lunedì 14 gennaio alle ore 21 arriva al Cinema Europa per aprire il nuovo anno di Kinodromo.

Non ve lo spoilero, ma c’è chi gioca con le proprie fantasie sessuali attraverso la creatività dell’illustrazione, chi i reciproci desideri attraverso la venerazione dei piedi. Due donne che si amano per una notte sola nel bagno di una discoteca. E chi guida il nostro occhio ad osservare la bellezza estetica e le piccole imperfezioni nascoste di orifizi e genitali.

A portare Bologna il porno alternativo di Erika sono state le ragazze del collettivo Inside Porn  insieme ai ragazzi della rassegna di cortometraggi Ce l’ho Corto.

Ink is my blood – Erika Lust

Ho deciso di incontrare Arianna Quagliotto, Maria Giulia Giulianelli e Giulia Moscatelli di Inside Porn. Sono tre ricercatrici e loro il porno l’hanno studiato.

Anzi, di più, ne hanno fatto un progetto di ricerca etnosemiotica, partito a giugno 2016, che ha visto la raccolta di dati, interviste a organizzatori, registi, attori e produttori e l’osservazione sul campo di varie produzioni pornografiche. E ora lo stanno portando nel mondo reale attraverso incontri aperti e alcuni sogni nel cassetto.

Sono agguerrite e mi hanno sbattuto in faccia una dura verità: questo paese deve fare i conti con il sesso, perché è l’unica cosa che ci rende davvero uguali su questo mondo.

Da dove nasce l’esigenza di andare ad indagare il mondo del porno? Cosa vi è venuto in mente?

“Tutto è nato in maniera abbastanza casuale. Non siamo mai state grandi consumatrici di materiale pornografico ai fini dell’eccitamento, però tra di noi parlavamo di argomenti affini, come la sessualità o la pornografia performativa e fotografica.

Nel 2016 stavamo collaborando con un laboratorio di etnosemiotica e uno dei fondatori abitava con Raul Costa, pornoattore del mondo mainstream. Lui stesso ci ha messo un po’ la pulce nell’orecchio, spronandoci ad iniziare una ricerca se ci interessavano davvero questi argomenti. E così nel 2017 abbiamo presentato ‘Inside Porn – Dentro il porno’, una lezione esposta nell’ambito di ‘Fare Ricerca’, ciclo di incontri organizzato dal Cube (Centro universitario bolognese di etnosemiotica)”.

Cosa ha evidenziato la vostra ricerca?

“Principalmente la palese impossibilità di poter reggere l’intera definizione di porno sullo stato di eccitamento del fruitore. In parole semplici: si può riconoscere un video come porno pur non venendo minimamente eccitato dalla sua visione.

Partecipando ai festival abbiamo capito di dover ampliare il nostro campo di ricerca al porno alternativo e approfondire la struttura del suo immaginario. Questa corrente alternativa nasce in contrapposizione al mainstream, inserendo discorsi al di fuori del puro atto pornografico legati a tematiche sociali, politiche ed etiche”.

Quindi esiste un vero e proprio mondo parallelo ai soliti siti pornografici?

“In realtà non è così semplice distinguere fra ciò che è mainstream e ciò che è alternativo. Il mainstream è legato alla spettacolarità, alle celebrità ed è più incentrato sul fruitore; infatti spesso lo teniamo presente solo come opposto rispetto a quello che facciamo vedere e studiamo. Mentre nell’alternativo si trovano le idee di un soggetto veicolate attraverso la pornografia: nasce più dalla parte di chi lo crea rispetto a chi lo fruisce.

I registi da noi incontrati e intervistati creano dei contenuti alternativi e rivendicano una posizione contrapposta al mainstream. Molti danno vita a qualcosa di diverso perché non si sentono rappresentanti da quello che vedono in un normale sito mainstream (da PornHub a Youporn) o perché credono che quel porno non veicoli contenuti interessanti. Si capisce che è qualcosa di estremamente diverso perché quello che mostriamo noi solitamente è un porno che non eccita, ma che magari genera dibattito”.

Queen Kong – Monica Stambrini

Però avete capito che serviva portare tutto questo anche fuori dall’ambito accademico. Come ha risposto il pubblico in questi anni?

“A noi è sempre interessato creare un lavoro pubblico e fruibile a tutti, non puramente semiotico, e tutt’ora ci interessa creare spazi in cui non si guardi la pornografia fine a se stessa, ma si guardi la pornografia per stimolare discorsi sulla sessualità.

Nel tempo abbiamo notato un’evoluzione delle serate e del pubblico, che è cambiato nel suo atteggiamento e nella sua composizione, sia a livello di età che di genere. Nelle ultime uscite ci sono stati dibattiti veramente ricchi, questo perché si è creato un ambiente dove non ci si sente giudicati e ciò ci rende orgogliose.

Evidentemente non è un desiderio solo nostro quello di affrontare questi temi apertamente e con tante persone: finalmente possiamo parlare di sessualità con dei perfetti sconosciuti e questo ci piace tantissimo. Si nota l’esigenza da parte di certe persone di trovare situazioni in cui parlare liberamente senza essere giudicati, per quanto sia paradossale visto che il sesso è qualcosa che condividiamo tutti e ci rende davvero uguali: è un argomento universale e rivoluzionario se riesci ad abbandonare i tuoi preconcetti”.

Dirty Feet – Erika Lust

A voi cos’ha regalato il porno?

“Prima di tutto ci siamo liberate dell’imbarazzo di fronte certi argomenti e abbiamo acquisito una maggiore naturalezza nell’affrontarli, non solo fra amici ma anche con tante persone diverse. Ora siamo in grado di parlare di porno e sesso mostrandone i lati più interessanti, anche sociali e politici, senza farci sconvolgere se una ragazza è a culo aperto.

Studiando la pornografia ci siamo rese conto di quanto possa avere una valenza ulteriore alla semplice eccitazione, riuscendo a trasmettere messaggi politici e sociali come la relazione con il proprio corpo. Quello di cui non ci capacitiamo è che sui social non sono mai vietati i contenuti di pura violenza, però guai se c’è un capezzolo femminile! Il punto è che viviamo in un’epoca in cui si sessualizza tutto pur di venderlo, come succede nelle pubblicità dei profumi, delle macchine e degli yogurt; però poi quando bisogna mostrare il sesso vero, cioè quello che alla fine facciamo tutti a casa nostra, allora diventa un problema. Questo è davvero assurdo”.

Sonata – David Bloom

Quindi come siamo messi in Italia su questi argomenti?

“Esiste un forte interesse da parte delle persone, come dimostrato dai progetti finanziati attraverso crowdfunding molto partecipati, ma quello che manca è il sostegno attivo delle istituzioni agli spazi per affrontare queste tematiche.

C’è bisogno di cambiare la cultura pornografica in Italia, ma se non vengono dati soldi ad un certo tipo di pornografia, che potrebbe creare qualcosa di diverso, allora questa rimane sempre legata a prodotti malfatti e scadenti. La verità è che non abbiamo fatto i conti con tutto questo e lo capiamo dalle piccole cose, come ad esempio l’inammissibilità dei prodotti pornografici nei bandi istituzionali. Questo perché si è rimasti bloccati solo ad una certa concezione ludica del porno”.

Gira voce che ci sarà un “pornoconcorso”.

“È vero! A Natale abbiamo lanciato Inside Your P, il primo pornoconcorso in cui chiediamo al nostro pubblico di mandare i propri porno amatoriali, ma senza che i soggetti siano riconoscibili. Per noi è molto interessante perché ci permette di entrare realmente nella loro privacy e capire come ognuno mostra e vive la propria sessualità.

Ma la nostra fantasia non si ferma qui, perché abbiamo parecchi sogni nei cassetti: un festival, dei laboratori, uno spazio tutto nostro, l’educazione e andare a scuola. Diventare sempre più attive e presenti per essere un punto di riferimento su questi temi”.

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