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Otto creative e una domanda. Per l’8 marzo siamo andate dietro le quinte del mondo del cinema e del teatro

08-03-2024

Di Laura Bessega

Dopo le fotografe quest’anno About chiama in causa il cinema e il teatro. 8 donne per l’8 marzo. Otto donne che lavorano dietro le quinte, attraversando una trasversalità di ruoli, dal lavoro manuale e artigianale al creativo, organizzativo fino a ricoprire incarichi al vertice. Sono donne spesso non visibili ma il cui mestiere è fondamentale per la realizzazione di un’opera teatrale o cinematografica.

Otto donne e una domanda:

Oggi è la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Sebbene molti paesi garantiscano formalmente gli stessi diritti e doveri per uomini e donne, persistono notevoli disparità nella realtà. Si pensa ai settori creativi e culturali come a luoghi dominati da ideali di libertà, progressismo e uguaglianza. Eppure questo troppo spesso non si traduce in fatti e numeri concreti. La disparità di genere inizia dalle opportunità, continua nella retribuzione e finisce con una scelta obbligata. Qual è la tua opinione su questo tema? Qual è la tua esperienza lavorativa personale in proposito?

 

Elisa Trento

Consulente nel campo dell’industria audiovisiva e degli eventi culturali
Presidente di Shape Aps, associazione che produce GEMINI Festival e ROBOT Festival
Community Manager di Filmple

Credo che un discorso sulla discriminazione e sulla violenza sulle donne non possa prescindere da uno sguardo più ampio verso un approccio di inclusione, diversità e accessibilità. In termini generali, vedo purtroppo nel nostro paese un percorso ancora molto lungo da compiere. Osserviamo ogni giorno come sia ancora molto forte la cultura del possesso e della coercizione. In Italia abortire è molto complicato. Inoltre, le garanzie all’accesso al lavoro non sono affatto le stesse per tutt3 e chi ha figli fatica moltissimo a gestire vita privata e vita professionale.

Calandomi nel mio contesto personale, lavorando a cavallo tra industria audiovisiva e spettacolo dal vivo, se da un lato grazie alle competenze acquisite ho potuto negli anni ricoprire anche ruoli apicali, dall’altro mi ritrovo ad avere una partita iva e due contratti part time a tempo determinato per riuscire a raggiungere una situazione economica quantomeno dignitosa. Per Shape e per alcune società di produzione audiovisiva mi occupo principalmente di progettazione, per Filmple sviluppo la comunità di riferimento attorno al brand aziendale; a volte seguo dei set come direttrice di produzione e green manager e questo significa cercare di far collimare sempre al massimo tempistiche ed obiettivi in tutto quello che faccio. Curare il tempo libero è una componente fondamentale di quello che sono e del valore aggiunto che posso portare ai progetti che seguo, ma da questo punto di vista sono fortunata e mi rendo conto di quanto non si debba mai dare per scontata tale opportunità.

Pago un’assicurazione sanitaria privata e questo per me è un grande fallimento: non riuscire ad avere più fiducia in un sistema di garanzia del diritto alle cure.

Francesca Rossini

Titolare di Laboratorio delle Parole, giornalista, esperta di comunicazione e ufficio stampa 

Sono stata fortunata. Ho avuto l’opportunità di lavorare in realtà e ambienti in cui la disparità non si sentiva troppo o non c’era.

Nei miei oltre 30 anni di vita professionale, tuttavia, ho comunque visto e vissuto la diversità di trattamento fra uomini e donne, anche in ambienti non sospetti. Tutti abbiamo sentito la frase «so che non si dovrebbe, ma a parità di capacità meglio assumere un uomo così non va in maternità»; o ci è capitato di sentire a proposito del collaboratore che fa battutine, allunga le mani quasi-senza-volere o denigra con finti scherzi le colleghe, «…eh si , non va bene, non dovrebbe… ma è giovane e in fondo è bravo nel suo lavoro, non puoi chiudere un occhio?». Ecco, è quel «so che non si dovrebbe, ma…» che non fa cambiare le cose.

Il cammino è ancora lungo e dipende anche dalle piccole/grandi cose che sapremo fare (donne e uomini) nella vita professionale, rifiutando e sradicando gli stereotipi. Compiere piccoli gesti che possano essere una semina importante: se per esempio una collaboratrice ha un bambino piccolo e non può venire in ufficio, non chiudere il rapporto, ma cambiare  quando possibile le modalità di lavoro. Nella mia esperienza professionale, con le donne che lavorano con me, io ho cercato di farlo.

Il cambiamento passa dai piccoli NO e cambi di registro nel nostro (donne e uomini) modo di porci. E certamente la chiave di tutto sono l’educazione e l’esempio verso i bambini; e per noi adulti (donne e uomini) la tolleranza zero, pur sempre cercando il dialogo, riguardo i “non si dovrebbe, ma….”.

Marisa Villa

Coordinatrice delle aree Danza e Formazione di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Oggi questi ideali pervadono molte opere teatrali, ma siamo ben lontani dal vederli applicati sul lavoro, anche in enti importanti come ERT! le mansioni tecniche cominciano a registrare un’inedita presenza di donne, almeno nel contesto degli spettacoli di giro, ma per un inserimento stabile nelle strutture sarà necessario attendere il ricambio generazionale. Il comparto organizzativo (di cui faccio parte anche io) vede invece una forte occupazione femminile, peraltro di grande competenza e professionalità, ma questa prevalenza è frutto di una discriminazione cognitiva che porta più le donne che gli uomini a occuparsi di cultura, così come di educazione e di sociale: sono lavori, insomma, poco ambiti dal genere maschile e per questo abbiamo un buon margine di inserimento e crescita.. ma solo fino a un certo punto!

Ai vertici, infatti, il potere di prendere decisioni e distribuire risorse resta prettamente maschile (ad es. nessuno dei Teatri Nazionali italiani ha una Direttrice donna ed è difficile trovarne anche a comando dei TRIC). Di conseguenza, sul palcoscenico la situazione non è migliore: la creatività (regia, drammaturgia, ..) è ancora nella stragrande maggioranza maschile, le disparità retributive sono significative, molestie e abusi non sono così infrequenti. Qualcosa sta iniziando a cambiare, dal basso, grazie all’impegno di molte di noi e a movimenti come amleta.org, ma credo che sarebbe opportuna e necessaria l’adozione di strategie per la parità di genere, almeno negli enti a forte partecipazione pubblica. Nel frattempo tutte e tutti possono contribuire: sosteniamo la creatività femminile, affolliamo i teatri quando la regista (o la curatrice) è donna!

Benni Monetti

Scenografa

Lavoro per il teatro, faccio parte di un team in cui le donne impegnate nella scenografia, nella costruzione e nel macchinismo hanno un ruolo di grande rilevanza.

Condividiamo esperienze professionali e personali: questo ci dà forza e ci tutela. Specialmente nell’ultimo decennio anche i più reticenti all’introduzione di figure femminili nei reparti tecnici hanno dovuto accantonare lo scetticismo piegandosi all’evidente efficienza e professionalità delle donne che operano in backstage.

Rimane critico il tema del privato in relazione a lavori come questo che implicano un considerevole dispendio di tempo ed energia e che spesso offrono contratto di scrittura, quindi precario. Ciò rappresenta un tasto dolente per quelle donne che, oltre a essere lavoratrici, sono o vogliono essere partecipi a un progetto famigliare.

Più le donne riusciranno a inserirsi, più le condizioni lavorative e sociali muteranno a favore di queste. Perciò le esorto a lottare per il proprio diritto, a esserci e a cambiare le cose. Buon 8 marzo!

Cinzia Grossi

Direttrice di produzione

Sono una donna che lavora nel cinema, non sono un’attrice, una regista o una sceneggiatrice; appartengo alle maestranze, sono una di quelle figure invisibili che fanno girare la macchina.

Il lavoro che faccio sul set è unico e gratificante, offre varietà, continuo apprendimento e un forte senso di appartenenza ad una squadra che lavora con entusiasmo e passione. Ma dietro le quinte, per noi donne c’è anche una realtà fatta di disparità e di ostacoli; il gender gap è ancora consistente in tutti i ruoli del set, con una netta prevalenza di professionisti uomini in tutti i reparti, dalla regia agli effetti speciali.I pochi reparti con più donne sono costumi e trucco, e in parte sceneggiatura, scenografia e produzione, anche se qui la quota femminile è inferiore al 50%. (fonte: DG Cinema e Audiovisivo – MIC – Elaborazione Centric Università Cattolica).

Gli ostacoli che incontriamo noi donne vanno dal “pregiudizio culturale” che rende alcune professioni invisibili e meno accessibili, alla precarietà e conciliazione vita-lavoro, alla disparità di compenso. Ci sono però alcuni segnali positivi: la presenza di donne alla regia aumenta anche il numero di presenze femminili in altri reparti; e c’è una crescita, seppur lenta, di opere a direzione femminile.

Colmare il gender gap anche nelle maestranze del settore è un imperativo. La nostra presenza è preziosa per arricchire il cinema con nuovi punti di vista e competenze, per migliorarlo e renderlo più inclusivo. Perché la magia del cinema è di tutti e tutte!

Chiara Liberti

Co-direttrice artistica Biografilm Festival, consulente freelance di distribuzione e outreach per film documentari, speaker, autrice

La disparità di genere è una costante che osservo e nel mio piccolo cerco di trasformare da circa vent’anni, lavorando nei settori creativi e culturali in Italia e all’estero. Credo tuttavia che sia un elemento che si intreccia con altre problematiche, come le dinamiche di potere – che mi hanno spesso messo di fronte a figure femminili che riproponevano comportamenti maschili e patriarcali. O le dinamiche delle opportunità sociali.

Quando ho lavorato in Danimarca in produzione ero circondata da molte più donne (soprattutto produttrici e in ruoli dirigenziali): un ecosistema di diritti e rappresentazione che mi restituiva un senso di empowerment incredibile, ma che si poggiava su un’architettura di benefit sociali verso tutte e tutti. Abolire le disparità – non solo di genere – può sembrare un’utopia, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

Loredana Vitale

Sarta

Oggi, 8 marzo, siamo noi donne a dover ricordare la nostra presenza nel mondo del lavoro come  forma di emancipazione, fonte di reddito e di autonomia, come luogo in cui possiamo esprimere le nostre capacità creative. Il posto di lavoro nel corso della storia ha rappresentato troppo spesso lo spazio in cui si manifestano discriminazioni e dove i diritti vengono calpestati. Succede anche nel settore culturale, nonostante abbia dato un notevole contribuito alla divulgazione di ideali di libertà, progressismo e uguaglianza.

Io faccio la sarta per il cinema. Modifico e creo gli abiti scelti dal Costumista, gestisco il guardaroba dei vari attori. Compongo elementi che vestono le immagini e diventano linguaggio.

Nel mio reparto le figure professionali sono, nella maggior parte dei casi, donne. Tante volte mi è capitato di avere uomini come capo reparto e non ho mai subito discriminazioni. La differenza di genere mi ha portato anzi ad esplorare diverse sensibilità. Invece, rispetto ai reparti composti prevalentemente da uomini, come i macchinisti e gli elettricisti, che sono sicuramente più rispettati nelle loro istanze, quando si tratta di rivendicazioni salariali o relative agli orari di lavoro, per noi è sempre più difficile ottenere quanto chiesto. D’altronde il reparto costumi viene penalizzato fin dall’inizio: in fase di contrattazione, quando viene proposta una squadra, il numero è sempre più ridotto rispetto ai reparti maschili. Questo si traduce in una mole di lavoro superiore alle proprie reali capacità. Si lavora in fretta con un aumento della probabilità di infortuni.

Ho scelto questo dignitoso e bellissimo mestiere perché mi piace. L’essere sarta mi ha fatto constatare che il lavoro artigianale ancora oggi non si conosce, non si apprezza ed è considerato inferiore a quello intellettuale.

È fatto anche di continui spostamenti e questo implica purtroppo dover prevedere con attenzione tante cose, inclusa la maternità: un’opportunità che si trasforma in una difficile organizzazione. Occorre inserire la gestazione nel percorso di vita professionale per conciliare le esigenze lavorative di una vita nomade con un evento naturale e gioioso.

Helena Di Fatta

Truccatrice

Condivido le cose che dici e purtroppo è una realtà che non si manifesta solo in quei Paesi dove le donne sono state defraudate dei loro diritti, hanno subito discriminazioni di ruolo e violenze. Anche qui da noi, dove si professano eguali diritti e doveri, avrei molto da ridire su quello che succede. Ne siamo consapevoli. Ne veniamo a conoscenza continuamente, negli ambienti lavorativi, sociali, familiari. Gesti estremi e soprusi sottili. Eppure il venirne a conoscenza non si traduce in un miglioramento della situazione.

Posso dirti invece che la mia esperienza è positiva. Sono una truccatrice ormai da tanti anni, ho lavorato in diversi ambiti, dal teatro al cinema alla moda. Voglio fare una premessa: alcuni contesti possono risultare più maschilisti di altri ma fortunatamente, almeno per la mia esperienza, niente di così grave.

Nel tempo mi si sono presentate diverse opportunità con retribuzioni per lo più appropriate ma non sempre, e questo a prescindere dal mio essere donna. È un aspetto più legato a un modo di lavorare che tende sempre al ribasso, indipendentemente dal gender.

In base alla mia esperienza, alcuni ruoli che fino a poco tempo fa sono stati appannaggio di uomini, adesso vedono emergere lentamente anche alcune donne, e ne sono felice. È proprio per questo che spero si uniscano, che ci uniamo. Per i nostri diritti. E per quelli delle altre donne.

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