C’è un luogo a Bologna chiuso fra mura alte, una città dentro la città che si visita in punta di piedi: il cimitero monumentale della Certosa, dove non ci si aspetta di poter vivere momenti emozionanti, di autentica teatralità, fra chiostri e statue alate nella sua sezione più suggestiva ed antica.
Qui prende vita Animenude un progetto ideato da Alessandro Tampieri, ormai giunto alla sua quinta edizione, di un cartellone teatrale estivo nato dalla collaborazione fra l’associazione culturale Rimarchèride , il Museo del Risorgimento e Bologna Musei, possibile anche grazie al prezioso ausilio dei volontari dell’Associazione amici della Certosa di Bologna.
È un vero e proprio spettacolo itinerante, un teatro notturno, basato su testi della letteratura classica e contemporanea di epoche e generi diversi: da Jacopone da Todi fino a Dario Fo, passando per i capolavori di Leopardi, Verga, Manzoni o Pirandello. Dalle suggestioni del cimitero di Bologna si trae lo spunto per mettere in scena le storie di uomini e donne, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, uniti da una sorte comune: ritrovarsi soli davanti alla morte. Essere, appunto, anime nude.
Quest’anno Alessandro Tampieri ha deciso di offrire agli spettatori un paio di tematiche sulle quali riflettere, in due diversi percorsi: Umani troppo umani partito a giugno, con repliche il 24 luglio e il 30 agosto, dove si raccontano storie di re, giullari, pastori e soldati, tutti troppo umani di fronte alla morte; e Donne rosso sangue, che invece parla di madri, figlie e amanti unite da un destino crudele, i cui prossimi appuntamenti sono il 7 agosto ed il 15 settembre.
Incontriamo Alessandro e la curiosità prende il sopravvento.
Quando è iniziata la collaborazione con la Certosa di Bologna? Quando l’hai scelto come palcoscenico?
“L’avventura è iniziata da spettatore; un’estate di qualche anno fa ho assistito proprio qui ad uno spettacolo in notturna che univa reading di testi poetici, danza ed effetti pirotecnici e ne sono rimasto fortemente colpito, avevo intuito da subito il forte potenziale di questo luogo, così ho coinvolto gli amici e colleghi di Rimarchèride ed abbiamo pensato a creare un percorso itinerante per cercare quella triangolazione perfetta e sempre mutevole fra il luogo, gli spettatori ed i testi”.
Come si ottiene a livello scenografico questo risultato?
“Cerco una mediazione fra vari fattori, e considerando lo stato della Certosa, evito di scegliere, per motivi di sicurezza, punti che possono essere poco agevoli, cercando però di avere con il pubblico una prospettiva sempre diversa, mantenere una relazione dinamica spostandomi fisicamente fra loro”.
Durante la sua performance Alessandro non resta infatti quasi mai fermo: lo si vede sfrecciare in bicicletta fra i cipressi e salire su una panchina a declamare passi da opere di Dario Fo, oppure salire in cima ad una scala, mentre il suo pubblico viene invitato a sedersi sull’erba di uno dei chiostri, circondati dalle luci tenui delle lampade a memoria dei defunti; o ancora li tiene tutti lontani al di là di un filo spinato, come la poetica cruda di Ungaretti suggerisce parlando di guerra di trincea, affinché il brano permei più profondamente nell’immaginario dello spettatore. In questo modo “il teatro esce dal teatro” e la messa in scena cambia di volta in volta, perché in interazione con il paesaggio e con le reazioni del pubblico.
Come costruisci lo spettacolo?
“Sono guidato da un ‘sesto senso’ verso i luoghi che più si adattano alle suggestioni evocate dal testo che ho scelto. Anni fa, per un brano sul dramma dantesco del Conte Ugolino, rinchiuso con i figli, è scaturita la decisione di passare attraverso zone più anguste e claustrofobiche, oppure fra statue dai panneggi che ricordano il movimento e la leggerezza per quello dedicato a Paolo e Francesca”.
La Certosa è ancora legata al concetto tetro di cimitero, vissuto principalmente come luogo di lutto. Si può andare oltre questa immagine?
“Alle origini, nell’ ‘800, questi luoghi non suscitavano alcuna angoscia o tristezza, erano anzi considerati luoghi di incontro dell’alta società, dove i più grandi artisti si contendevano la presenza e la visibilità con il meglio delle proprie opere. A fine spettacolo mi piace sentire i commenti di chi ha partecipato, spesso ne escono incuriositi a vistare la Certosa di giorno”.
Se dovessi dirmi cos’è la Certosa per te?
“Non è come recitare in un teatro, non ci sono prove generali ed ogni volta è un debutto in un luogo che mi restituisce sempre nuove emozioni: poter vedere la Certosa di Bologna in orari non accessibili al pubblico è per me un privilegio”. Ciò che ha cambiato definitivamente il suo modo di percepire questi luoghi è stata forse quel discorso introduttivo a cui ha assistito da spettatore tanti anni fa, quando Roberto Martorelli, il direttore artistico della rassegna, disse: “la Certosa di Bologna non è solo un cimitero, un luogo da vivere in modo intimo e personale, ma anche un patrimonio collettivo, è un luogo per i vivi”.
E perché non si perda tutto questo, la memoria va tenuta in vita.
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