Non si rimane particolarmente sorpresi e stupiti di fronte alla notizia dell’apertura di un nuovo locale dove potersi concedere uno spritz o un piatto di tagliatelle a Bologna. Questo succede invece quando ad aprire le porte è un luogo completamente nuovo, che ribalta le dinamiche a cui siamo abituati e offre una soluzione alternativa. In pieno centro ha aperto infatti Capire, un caffè letterario che si trova in via Borgonuovo 3c. Invita al confronto e alla condivisione e lo fa attraverso il cibo, i libri e una lunga tavolata.
Capire si presenta con due semplici spazi inseriti all’interno di un condominio: un salottino con piante, libri e un pianoforte e una sala con un lungo tavolo di legno che culmina con la presenza maestosa e gentile della cucina. Ci si può fermare per studiare, lavorare o fare due chiacchiere con il personale o gli altri clienti e anzi, è un invito caloroso a farlo. Ci si sente a casa, qualunque sia l’idea di casa che si può avere in mente.
Sono tante le attività che vengono proposte: noi di About abbiamo partecipato alla rassegna di incontri Il giardino segreto.
Ci siamo poi fermati a fare qualche domanda a Petra Dotti, una delle fondatrici di Capire insieme a Bernardo Bolognesi, Antonio Lena, Federico Calabrese.
Cosa vi ha spinto a chiamare questo posto Capire?
Capire è un verbo che ci piace molto perché in realtà quello che vogliamo fare qui è approfondire le nostre conoscenze insieme alle altre persone su qualsiasi tema che ci venga proposto o che nasca da noi come iniziativa. Vogliamo farlo attraverso le arti, che sono il filo conduttore che ci accomuna, (io sono cantautrice, scrivo libri, mio marito è un cuoco ma anche un attore e regista, i due ragazzi hanno passione per la fotografia e per l’arte). La parola Capire ci sembrava ideale perché per noi è un percorso, nessuno di noi si sente arrivato da nessuna parte; attraverso il conoscere le altre persone, aprire un libro, fare un’esperienza artistica, vogliamo capirci di più.
Ci sono tante iniziative legate alla tradizione bolognese. Che rapporto avete con la città?
Gli altri tre componenti sono tutti bolognesi. Mio marito si chiama anche Bolognesi di cognome ed è il più bolognese di tutti, lui ama questa terra, è nato a Bologna, conosce la città nei suoi aspetti più segreti, è un’ottima guida. Io mi sono trasferita da Bolzano a Bologna 25 anni fa per fare l’università e sono rimasta qui. Diciamo che c’è un concetto alla base di questo, partire dal più piccolo, da quello che ti circonda, perché siamo in piena era di globalizzazione, parola inflazionatissima che significa tantissime cose, significa che noi ci adattiamo a mode globali e perdiamo un pò di vista la bellezza di quello che abbiamo intorno. Il ragionamento viene quindi proprio da questo: guardiamoci intorno, creiamo un luogo dove le persone possono incontrarsi, parlare del più e del meno senza obblighi. Ad esempio nelle Letture condominiali del lunedì, vengono le vecchiette del quartiere e ci facciamo raccontare le loro vite e le loro storie. Ci piace partire dalla valorizzazione del piccolo, dal quartiere, per vivere Bologna nel modo più autentico possibile. Ci hanno spinto l’amore per questa città e il terrore che spariscano una serie di abitudini che una volta c’erano. Cerchiamo di ricreare l’atmosfera delle osterie, senza il glamour contemporaneo oppure organizziamo le serate in cui si gioca al Tarocchino bolognese.
Vi definite come caffè letterario, laboratorio di idee e cucina. Come si combinano queste tre cose?
Partiamo da un’idea culturale: cosa vogliamo fare? Se fai una bella attività dove ti diverti e il tuo cervello è nutrito e metti nella pancia anche qualcosa di buonissimo, torni a casa felice. Rendiamo l’ambiente familiare, proponiamo attività culturali e c’è il cibo perché il cibo fa parte della nostra cultura. Gli appuntamenti in cui ti metti a tavolo sono i più gioiosi di tutti. Quindi per noi questo è mangiare, non è tanto venderti il prodotto super confezionato ma è la convivialità. Organizziamo ad esempio il Cenacolo Ulisse, una cena in cui proponiamo un tema, mangiamo e parliamo con libertà assoluta, raccontandoci le nostre esperienze personali.
Che funzione ha quindi la cultura per voi? Ci salverà?
Assolutamente si. Chi vorrà essere salvato, sarà salvato dalla cultura. Noi ci rivolgiamo soprattutto ai giovani e vediamo che hanno diverse difficoltà. Purtroppo l’iper tecnologizzazione della comunicazione distanzia dai processi di approfondimento, quindi se tu vuoi davvero capire qualsiasi cosa, non puoi solo coglierla con i sensi ma la devi approfondire con la lettura, l’ascolto, l’esperienza diretta e questo è difficilissimo per tutti, anche per noi più grandi. Secondo me però fa gola ai ragazzi la cultura, io lo vedo, c’è tanta sete e fame di andare oltre, di non essere chiusi dentro questa generazione del cellulare. La nostra soluzione è un grande contrasto ma, secondo noi, tanti stanno cercando di fare questa rivoluzione, tanti ragazzi hanno scelto ad esempio di non avere lo smartphone, i nostri silent party letterari sono molto richiesti dai giovani. Visto che c’è una moltitudine di cose che si possono fare, proviamo a fare anche altro, se vuoi farti lo spritz lo puoi fare ovunque, qui vieni a fare qualcos’altro. Questa è un’alternativa, visto che ci sono tanti che vogliono fare altro, noi cerchiamo di rintracciare questi.
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