“I poeti dipingono con le parole, i pittori parlano con le opere”. (Annibale Carracci)
È con la forza delle parole del più famoso della Ditta Carracci, trio pittorico che ha rivoluzionato la pittura Seicentesca, che si apre il Concorso ufficiale del Festival cinematografico Mente Locale – Visioni sul territorio. Primo festival tematico italiano interamente dedicato al racconto del territorio attraverso l’audiovisivo.
Giunge così alla sua sesta edizione la fortunata rassegna artistica diretta da Giorgia Boldrini e figlia dell’incontro fra l’associazione culturale Carta|Bianca e il Teatro delle Ariette.
Concentrando le sue proiezioni fra i comuni di Bologna e Modena tra il 13 e il 17 novembre, il Festival porterà quest’anno 14 film (filtrati da ben 3.920 candidature) provenienti da tutto il mondo che si contenderanno due premi, uno per la categoria “non-fiction” e uno per la “fiction”, tra questi si contano 10 anteprime regionali, 2 anteprime italiane e 1 anteprima assoluta. Inoltre, verranno conferite tre menzioni speciali: una dal Touring Club italiano, una dal Mibact Emilia-Romagna e la nuova menzione Parmigiano Reggiano.
Come novità di questa edizione, invece, si ricordano la collaborazione con l’Ausl di Bologna e Modena per portare le proiezioni negli ospedali di Bazzano e Vignola, e l’inserimento di screening speciali dedicati ai pensionati.
A rimanere invariata, tuttavia, sarà la politica divulgativa e sociale che da sempre anima il festival, con riflessioni su tematiche attuali come l’inquinamento ambientale e lo spopolamento dei piccoli centri urbani. Al tempo stesso torneranno le riflessioni sul territorio nostrano, focalizzate nella riscoperta delle bellezze dei piccoli borghi, della memoria nazionale e delle tradizioni locali.
Qui trovate il programma completo delle proiezioni.
Venendo ora ai film in concorso, è interessante osservare come a fare da apripista nella sezione ufficiale vi sarà il documentario Carracci – una rivoluzione silenziosa, il quale, insieme a E poi si vede, rappresenterà in Concorso il meglio della produzione bolognese.
Il primo vedrà la ricostruzione del percorso artistico della famiglia Carracci: gruppo pittorico bolognese formato dai fratelli Annibale e Agostino e dal cugino Ludovico, che fiorì nella seconda metà del Cinquecento. Un “collettivo low profile” (come dirà poi la regista) che rivoluzionò lo stile pittorico nei secoli a venire e che formò grandi discepoli quali Guido Reni, Domenichino e Giovanni Lanfranco.
Il secondo, invece, tratterà il fenomeno dello spopolamento e della migrazione giovanile prendendo come esempio il comune campano di Vallesaccarda. La fredda disamina di una situazione che ormai sta investendo quasi tutti i piccoli centri italiani e che, se non fermata, potrebbe portarne a una futura scomparsa.
Per l’occasione sono riuscito a raggiungere Giulia Giapponesi, regista e co-produttrice di Carracci (insieme a Paolo Marzoni, suo socio di Codalunga e montatore del film), che ha discusso con noi i capisaldi dell’opera e il suo intento divulgativo.
Come è nata la produzione di questo ambizioso documentario artistico?
“Io e Marco Riccomini(ndr. curatore d’arte e co-sceneggiatore del film) abbiamo proposto e vinto la produzione di questo film per Unicredit e Fondazione dal Monte che gestiscono Palazzo Magnani.
Quest’anno ricorrerà il quattrocentesimo anniversario della morte di Ludovico Carracci ed, essendo il Palazzo uno dei punti bolognesi in cui maggiormente si trovano i dipinti dei Carracci, ci è sembrato giusto celebrarli con un progetto che potesse avere una vita duratura, maggiore di un’apertura provvisoria delle gallerie del Palazzo”.
Nel film ci sono riprese effettuate in alcuni dei musei più rinomati al mondo, come il Metropolitan di New York o la National Gallery di Londa. A cosa è dovuta questa fortunata collaborazione internazionale?
“Direi grazie ad un principio ambivalente: da una parte la presenza di Marco che, essendo un ex-dirigente presso Christie’s Italia aveva già avuto modo di lavorare con questi musei. Dall’altra l’interesse anche per questi centri di riscoprire i protagonisti di uno dei filoni pittorici più importanti.
Ci hanno addirittura fatto riprendere gratis all’interno dei loro musei, o chiedendoci solo i diritti di riproduzione.
I veri problemi sono nati in Italia, in quanto i musei nazionali hanno richiesto delle ingenti somme per le riprese al loro interno creando non pochi problemi a una produzione culturale senza scopo di lucro come la nostra. Ragione per cui, ad esempio, siamo stati costretti mostrare il Pantheon (ndr. dove sarebbe collocata l’ipotetica salma di Annibale Carracci) solo dall’esterno”.
Invece a Bologna come credi siano percepiti i Carracci?
“Beh in generale sono poco conosciuti non solo qui a Bologna, ma anche fuori a livello nazionale. Pur avendo avuto una forza di rottura con il passato enorme e avendo completamente rivoluzionato il loro campo, sono noti esclusivamente agli studiosi d’arte con poche eccezioni.
Non sono noti ai bolognesi anche per il loro storico low profile, il loro aver cambiato il mondo pittorico in maniera silenziosa, senza ottenere la fama di altri artisti come Caravaggio o Leonardo”.
Ciononostante perché hai ritenuto importante narrarne le storie mantenendo un legame saldo con il territorio emiliano?
“Perché credo possano insegnare tanto alla nostra società e a Bologna nello specifico. I Carracci furono una delle più note squadre artistiche della storia pittorica, potremmo dire uno dei primi collettivi bolognesi, e sono un ottimo esempio per riprendere quei valori di unione e condivisione che stanno ormai svanendo nel nostro tempo.
In più rispettano quelle caratteristiche umili e semplici che tutt’oggi contraddistinguono i nostri artisti: la loro indole poco autocelebrativa, il mantenere un legame stretto con i luoghi dove sono cresciuti, la coralità d’espressione sono connotati che facilmente riscontrabili anche da noi.
Ritengo, quindi, possano essere non solo fonte di riscoperta artistica, ma anche e soprattutto un’ulteriore punta d’orgoglio per i nostri concittadini”.
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