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Children in Sala Borsa. Per la prima volta insieme Elliott Erwitt, Steve McCurry, Dario Mitidieri

23-11-2019

Di Laura Bessega

Elliott Erwitt, Steve McCurry, Dario Mitidieri.

Tre nomi che evocano differenze, tre fotografi molto importanti che si distinguono per il loro linguaggio e il loro modo di raccontare il mondo, ma che hanno in comune una cosa: mettono l’uomo al centro dei loro progetti.

Erwitt lo racconta in un bianco e nero ironico, metaforico. E ogni sua foto è ormai un’icona. McCurry lo dipinge come un quadro dove il colore e la perfezione delle proporzioni restituiscono bellezza in ogni angolo del mondo. Mitidieri ne coglie la spontaneità e racconta la verità dentro eventi e sguardi.

Per la prima volta insieme, hanno messo i “loro” bambini al centro di una mostra, Children.

Promossa da Legacoop Bologna e Legacoopsociali, curata da Monica Fantini e Fabio Lazzari con foto a cura di Biba Giacchetti e la scenografia di Peter Bottazzi, è stata inaugurata in occasione della Giornata Internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e sarà visitabile fino al 6 gennaio all’Auditorium Enzo Biagi in Salaborsa.

 

Foto di Paolo Righi

Il 20 novembre del 1989, per ribadire il superiore interesse del bambino, tutti gli stati membri dell’Onu votarono all’unanimità la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Da allora tutti gli anni è celebrata come la Giornata Internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

“È una mostra non sull’infanzia, ma dedicata all’infanzia. – tiene a precisare Biba – Cerchiamo il dialogo con i “nostri” ragazzi che verranno a vederla, vorremmo sapere cosa ne pensano”.

Le foto sono infatti poste a un’altezza più bassa del solito, con installazioni che richiamano le giostre, “per definizione strumento di passaggio tra la guerra e il gioco nel Medioevo, i cubi, che, come diceva Piaget, sono il primo oggetto che fa incontrare i bambini e l’abaco, forse lo strumento di conoscenza più antico che conosciamo per la matematica” ci racconta Fabio Lazzari.

Foto di Paolo Righi

Per non cadere nella retorica e nel facile pietismo verso i bambini nelle zone di guerra o che vivono in condizioni difficili, l’elemento chiave che è stato scelto è proprio il gioco, come strumento educativo e momento irrinunciabile di crescita.

Per i bambini è un aspetto fondamentale. Per imparare, per evadere, per trasformare ciò che non riescono a sopportare e capire. Ma è un diritto che spesso viene loro negato a causa di guerra, malnutrizione, povertà e malattia. E con esso viene a mancare anche quella spensieratezza che è fondamentale per una crescita serena.

Foto di Paolo Righi

Insieme all’istruzione, il gioco e la spensieratezza rappresentano i tre elementi che “magari non minacciano la sopravvivenza fisica ma sono altrettanto importanti perché rappresentano l’integrità intellettuale degli individui che, oltre un corpo, hanno anche una mente”.

Lazzari ci ricorda che “il gioco si fonda su un contratto di finzione, sul facciamo finta che… che un manico di scopa sia un cavallo, un barattolo vuoto un tamburo, che un oggetto sia completamente diverso da ciò che rappresenta nella realtà. Nelle fotografie in esposizione questo contratto porta spesso a far finta che strumenti di distruzione come cannoni, pistole, bombe diventino strumenti di gioco. Ma i bambini sono resilienti, si ostinano a continuare a giocare anche quando le condizioni in cui vivono rendono impossibile farlo”.

Foto di Paolo Righi

Uno di loro ha un caschetto nero e una maglietta sporca come il muro a cui è appoggiato, le lacrime gli scendono da occhi, naso e labbra. Alla tempia ha una pistola puntata che lui stesso tiene in mano. Il mio sguardo si stacca, si allontana e si appoggia su uno dei cubi bianchi voluti da Bottazzi.

C’è un altro muro, crivellato dai colpi di un’altra pistola da un’altra parte del mondo. Davanti una donna poco più grande di una bambina indossa il kanga, la tipica fascia africana, per portare sulla schiena la sua piccola creatura. Mentre cammino da sinistra a destra dell’immagine, lei continua a guardarmi. Gli ultimi bambini che vedo hanno i musi schiacciati contro il vetro del parabrezza posteriore di un’auto. Ridono.

“L’arte può ancora essere uno dei grandi strumenti in grado di aiutarci a diventare migliori di quello che siamo”, conclude Lazzari.

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