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Free Man chiude il Terra di Tutti Film Festival. Kenneth Reams dal braccio della morte

16-10-2019

Di Edoardo Novello

“Questo film è per chi ha pensato almeno una volta di arrendersi”.

Si apre con questa dedica il documentario Free Men di Anne-Frédérique Widmann. Racconta la prigionia di Kenneth Reams, una vita lunga 25 anni in una cella d’isolamento nel braccio della morte statunitense. Un uomo su la cui testa pende una sentenza capitale.

È il vincitore del premio Lo Porto alla tredicesima edizione del Terra di Tutti Film Festival, rassegna di film a tema sociale organizzata a Bologna e Firenze la scorsa settimana.

L’opera della regista e giornalista svizzera inizia con una serie di inquadrature provenienti dai sobborghi di Pine Bluff, Arkansas, luogo di nascita del protagonista. Tra le strade deserte e malconce di quella che in America viene definita anche “Crime Bluff” a causa dell’alto tasso di criminalità, Kenneth cresce in una famiglia povera, vive un’infanzia fatta di miseria e liti con la madre, che riversa su di lui le sue frustrazioni.

Riproduzione al computer della cella

Non potrai vedermi in faccia ma ti racconterò la mia storia dice una voce fuori campo. E lentamente inizia a parlarci di sé e di quell’episodio che gli cambierà la vita.

È il 5 maggio del 1993 quando, neo-diciottenne, si reca insieme all’amico d’infanzia Alford Goodwin presso uno sportello Atm della città, con il proposito di derubare un passante per racimolare i soldi che servono a comprare gli abiti da diploma di Alford. Kenneth rimane in macchina a fare da palo, mentre l’amico scende puntando la sua calibro 7,65 contro un certo Gary Turner. Durante il colpo, tuttavia, Alford si innervosisce e spara involontariamente contro Turner, uccidendolo.

Una piccola finestra verticale, uno sgabello e un tavolino, un water-lavandino e il letto. Questi sono i soli oggetti che Kenneth Reams vede da quel lontano 1993.

La regista incede spesso sul piccolo spazio vitale dove il protagonista passa le sue giornate. La possibilità di effettuare delle brevi chiamate telefoniche e una visita settimanale di massimo tre ore sono gli unici momenti in cui può venire a contatto con altre persone. Le registrazioni delle telefonate di Kenneth guidano lo spettatore all’interno di un limbo che da decenni lo tiene prigioniero.

“Non dico di non essere colpevole, di non meritare una punizione, ma penso che questa punizione sia troppo dura per me”, confessa. Il tono è cupo e l’atmosfera si fa via via sempre più opprimente.

All’improvviso appare uno spiraglio, inquadratura inaspettata, un quadro dipinto da Kenneth. Col passare degli anni infatti sviluppa una passione per la pittura, la poesia e la modellistica, imparando a far convergere su di esse paure e tormenti. Come promette l’incipit, questo è un documentario sulla speranza.

Le sue opere iniziano a fare il giro di tutto il mondo in esposizioni appositamente dedicategli. L’interesse e il coinvolgimento che produce la sua arte richiamano negli anni un’attenzione sempre maggiore, tanto che Kenneth decide di fondare l’associazione no-profit Who Decides per diffondere e istruire il popolo americano sulle implicazioni etico-morali della pena di morte. Viene istituita la campagna di solidarietà Free Kenneth Reams, ente che raccoglie donazioni per supportarlo. In prigione Kenneth conosce anche l’amore e nel 2017 sposa Isabelle Watson. C’è una vita che lo aspetta, là fuori.

Kenneth Reams con la moglie Isabelle Watson

Si aprono le luci in sala, si percepisce la tensione tra il pubblico. Passano pochi secondi e arriva il momento che tutti attendono: la telefonata in diretta di Kenneth dal braccio della morte. Risponde Costanza Francavilla, compositrice delle musiche del film e coordinatrice europea della sua campagna.

Non possiamo sempre scegliere il nostro martirio, alle volte è lui che sceglie noi”. Racconta come ogni giorno sia un nuovo attimo di vita, come la sua opera più grande sia il percorso che ora condivide con il mondo, come riesce a resistere alle avversità.

Ci spiega con una pacatezza raggiunta con pazienza e sofferenza che quello che lui sta vivendo ora è solo uno dei tanti frutti che l’ingiustizia del codice penale americano sta seminando ormai da anni, ma si dice pronto a lottare fino al suo ultimo respiro contro questi ostacoli. Non siamo stati creati per piegarci sotto la tirannia e l’ingiustizia”.

Una delle opere di Kenneth

Fra Kenneth e il pubblico si crea una sorta di comprensione, sintonia. Man mano che la conversazione prosegue, lascia spazio anche ad alcuni momenti di risata, come quando ammette che il libro che più l’ha appassionato in questi lunghi anni di carcere sia il dizionario. La gente in sala è attenta, curiosa, ma il tempo a disposizione sta terminando. La chiamata finisce. Silenzio.

Kenneth è uno che non molla, combatte ogni giorno per il proprio destino, ma basterà questo a salvargli la vita?

“Alle volte la grandezza non sta in ciò che compiamo, ma in ciò che superiamo”.

 

Si aprono le porte, il pubblico esce. Kenneth rimane seduto nella sua cella.

 


Anche quest’anno siamo media partner del Terra di Tutti Film Festival.

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