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Chernobyl Souvenir inaugura il Terra di Tutti Film Festival

07-10-2019

Di Luca Vanelli
Foto di Guido Calamosca

Se la fotografia oggi può ancora aiutarci, lo fa nel mantenere viva la potenza e la forza del ricordo.

Anche da qui nasce la mostra Chernobyl Souvenir, un racconto per immagini e parole sui luoghi del disastro nucleare del 26 aprile 1986: le immagini arrivano dalla macchina fotografica di Guido Calamosca, mentre le parole sono uscite dalla penna della giornalista  Giorgia Olivieri. Scatti e racconto si mescolano in un lavoro dove non ci sono giudizi, ma solo alcuni interrogativi che si uniscono ai ricordi che ognuno ha dell’evento.

La mostra apre la settimana del Terra di Tutti Film Festival 2019, rassegna giunta alla sua tredicesima edizione che raccoglie 40 film da oltre 25 paesi per dare la parola a tanti documentaristi che usano il video come forma di espressione critica e faro sui problemi che colpiscono i molti sud del mondo di ogni Paese.

Verrà inaugurata lunedì 7 ottobre alle 19 negli spazi di Zoo (Strada Maggiore 50/a) e sarà visitabile per tutta la durata del festival e continuerà fino al 10 novembre. Ingresso gratuito

Ho incontrato Guido che, con il suo spiccato accento marchigiano e la sua ironia, mi ha fatto fare un giro fra i suoi pensieri. Racconta com’è lavorare con la propria compagna, il suo scatto preferito che probabilmente non colpirà nessuno e l’importanza di accettarsi, reali così come si è.

Parliamo di Chernobyl Souvenir: da dove nasce l’idea e cosa vi ha spinto a realizzarlo?

“L’occasione è nata quasi per caso. Da qualche anno io e Giorgia abbiamo l’occasione di seguire l’Eurovision Contest. Nel 2017 si svolgeva a Kiev e veniamo a sapere che gli accreditati hanno diritto ad uno sconto per il tour a Chernobyl, cosa che mi ha convinto definitivamente ad andare.

Prima del boom della serie tv, che ha riportato molta attenzione sull’evento, le poche cose che venivano in mente su Chernobyl erano i racconti dei genitori e dei nonni: non si poteva mangiare l’insalata, la nube, l’incidente, basta. Allora mi sono chiesto cosa sapessi effettivamente sulla vicenda. Nei mesi precedenti ho iniziato a studiare e riguardare tutto. Più guardavo, più mi interessavo: scoprivo nuovi elementi che non conoscevo”.

Chernobyl Souvenir | foto di Guido Calamosca

Come la storia di Igor Kostin, il primo fotografo inviato sul luogo del disastro.

“Esatto. Lavorava per un giornale, non era iscritto al partito, e lo mandarono a Chernobyl a fare cronaca. Da lì seguì tutte le vicende per anni: processi, incidenti successivi, vittime.

Più raccoglievo materiale per arrivare più preparato, più capivo che a livello documentaristico la vicenda era stata molto coperta: tante immagini, tanti video. Quando sono arrivato lì ho pensato: ‘E ora che fotografo?’.

Anche per questo in realtà ho fatto pochi scatti: mi sono calato nel luogo con il massimo rispetto e utilizzando luci naturali. Se potessi tornare indietro forse mi concentrerei più sul tour, sulla spettacolarizzazione della tragedia. Ora questo fenomeno, con la serie, si è ancor più amplificato: anche quel giorno c’erano influencer che si facevano i selfie sui luoghi della tragedia. Avrei sflashato questi personaggi, mostrando un po’ il lato ironico e grottesco della situazione”.

Da fotografo com’è lavorare con una giornalista? (E oltretutto con la propria compagna) Com’è creare progetti insieme ed unire immagini e parole?

“Giorgia raccoglie sempre spunti e riflessioni mentre siamo in viaggio. Una volta tornati, Giorgia ha scritto il suo racconto e abbiamo provato a legarci le immagini. Il problema è che siamo fidanzati! (ride). Capita di discutere e litigare, soprattutto quando mi obbliga a fare foto a qualcosa che non colgo.

Spesso mi dice: ‘Fammi quella foto, fidati se ti dico di farla’. Situazione che a me sembra non dire nulla, però alla fine ha sempre ragione. Anche perché lei ha già in mente la traccia del suo racconto, quindi le interessa anche quello che non sembrerebbe importante”.

Quali sono i tuoi ricordi riguardo quel periodo?

“Ricordi davvero pochi, anche perché avevo cinque anni. Ho in mente una scena buffa: mentre eravamo a Roma, mia nonna decide di portarci allo zoo, nel pieno del disastro. Ad un certo punto mia madre disse a mia nonna: ‘Ma cosa diamine ci facciamo allo zoo quando tutti dicono di stare a casa e non in mezzo alla natura?'”.

Qual è lo scatto a cui sei più affezionato di questa raccolta?

“È uno scatto che probabilmente non colpisce: raffigura una radura a bordo strada dove c’è un piccolo cartello di pericolo radiazioni. Mi piace molto perché se uno prova a levare il cartello, anche solo per un attimo con il pollice davanti, vede una foto di una radura che potrebbe essere quella vicina a casa. Infatti Giorgia nel suo racconto associa le strade che portano a Chernobyl a quelle dell’interno senigalliese.

Col cartello, però, le cose cambiano: è un cartello che parla e che racconta. Ogni volta che la rivedo mi ritrovo a fare questo gioco col pollice: prima nascondo il cartello e mi ritrovo in un ambiente familiare, poi faccio riapparire il cartello e mi fermo a riflettere su come sarebbe stato se quel cartello l’avessi trovato nei miei luoghi vicino a casa”.

Chernobyl Souvenir | foto di Guido Calamosca

Diversi tuoi progetti guardano al passato, questo su Chernobyl come anche Golden Memories. Cosa ti porta a proiettarti così spesso verso il passato?

“Da un lato provo un piacere personale nello stupirmi a rivedere foto vecchie. Quando mi ritrovo in mano una vecchia foto di gruppo, mi si risvegliano ricordi nascosti: ero innamorato, stupido, scemo, a sedici anni guarda come mi vestivo! E questo atto di osservare le foto vecchie lo stiamo un po’ perdendo: spesso facciamo foto con gli smartphone che poi perdiamo rigorosamente in hard disk sperduti. Ora le foto si vedono subito, guardo solo come sono venuto, e poi le dimentico.

Mentre uno sguardo verso il passato rivela sempre un carico di emozioni importanti. Mi piace quindi pensare di poter stimolare il ricordo, di sottolinearne la sua importanza e la sua potenza: è divertente risvegliare le sensazioni che non si ricordava di avere. In Golden Memories forse chi non ha vissuto quegli anni può fare più fatica ad immedesimarsi, magari non è detto. Ognuno ritroverà dei suoi ricordi da quei giocattoli, perché un nesso semplice c’è sempre”.

Golden Memories | foto di Guido Calamosca

Quando ti soffermi sul presente, invece, sembra tu ti voglia concentrare sull’immobilizzare l’attuale in tutta la sua verità, senza decorarlo o farlo sembrare migliore. Come nel progetto [fiè-ra], ti occupi di dare uno spaccato del paese reale…

“Questi tipi di progetto sono la mia occasione di mostrare i contrasti del mondo, fra il grottesco e l’ironico. E il mondo delle fiere mi ha sempre affascinato: una sorta di mondo parallelo dove emergono subito questi contrasti, dove quello che sembra finto è reale e altre volte quello che sembra reale è finto.

È incredibile come possa essere più elegante e formale il Tanexpo, festival internazionale del settore funerario, rispetto ad un festival country. Solo in quelle situazioni cogli storture e piccole cose: ad esempio, ti rendi conto che è quasi più trash il selfie di una persona dentro una bara finta al festival country, rispetto al selfie accanto a due bare vere con le modelle al Tanexpo.

In queste situazioni uso molto il flash, quasi a rendere tutto più finto. E anche per mettere in evidenza la mia partecipazione: eccomi io sono qui, ci sono, sto partecipando”.

[fiè-ra] | foto di Guido Calamosca

Mi sembra sempre forte il tuo legame con le Marche. Per questo ho scelto di farti una domanda che parte dalla citazione di una tua conterranea, Letizia Cesarini (in arte Maria Antonietta) che nel suo profilo Instagram di recente ha scritto: “Preferirei essere un fiore, per essere bella senza fatica – nessuno sforzo o mascheramento. Così, un destino – semplicemente. Per questo amo le piante, mi fanno sperare che la bellezza non abbia a che fare con le scelte e le fortune personali, ma sia il destino dei vivi – tutti”. Che ne pensi di queste parole?

“Quando si tratta di ritratti e persone, la bellezza c’è sempre. Però col fatto che oggi sui social appariamo in continuazione e ci vediamo ovunque, facciamo più fatica ad accettarci per quello che siamo.

Ti faccio un esempio su di me: se sui social capita una foto in cui sono mezzo pelato, non mi interessa. Perché io sono quello e va bene così, mi piace uguale. Anzi, mi piace di più perché è molto reale. E preferisco accettare quella realtà lì più di una posa un po’ falsa e una foto migliore. Mi diverte di più, sono più contento. Se uno si accetta, è bello”.

 


Anche quest’anno siamo media partner del Terra di Tutti Film Festival.

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Qui trovate il programma completo.

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