(A) Spasso - cosa fare in cittàVisual

Cos’è il cinema senza la fotografia? Le immagini del World Press Photo sullo schermo di Piazza Maggiore

15-07-2019

Di Laura Bessega

È il 2015 e Fulvio Bugani partecipa al contest del World Press Photo con il progetto Waria: being a different muslim sulla prima e forse unica scuola coranica per transgender in Indonesia. Un grande maestro della fotografia lo aiuta nella selezione delle 10 foto da presentare. Ma per lui ne manca una. Non è convinto. Aspetta, ci pensa, non riesce a decidersi. E poi quale foto potrebbe togliere per inserirla? Poco prima della scadenza, probabilmente è l’ultimo del 2015 a spedire il materiale, fa un salto nel buio e la sostituisce. E vince. Proprio con quella come foto singola.

Scegliere un’immagine non è banale. Ne sa qualcosa la giuria del contest di fotogiornalismo più famoso del mondo. 78.801 fotografie, 4.738 fotografi internazionali, 129 differenti paesi.

Ne restano solo 43, i vincitori, con 140 immagini portate in mostra in oltre 100 città in 45 diversi stati. Questi i numeri del World Press Photo 2019, che Bugani, per il secondo anno consecutivo, porterà sullo schermo di Piazza Maggiore a Bologna, grazie alla collaborazione con la Cineteca di Bologna e la World Press Photo Foundation.

Tra tutti, gli italiani premiati sono tre: Lorenzo Tugnoli, con un lavoro sulla crisi umanitaria in Yemen, che vince, insieme al Washington Post, anche il Pulitzer per la fotografia, Marco Gualazzini, con un reportage sul lago Ciad e Daniele Volpe, con una foto singola sull’eruzione del vulcano Fuego in Guatemala. I primi due, entrambi emiliano-romagnoli, saranno presenti in Piazza Maggiore questa sera alle 21,45 per una serata, e questo è il caso di dirlo, unica al mondo. Non c’è infatti un altro posto tra quelle 100 città dove le immagini saranno proiettate.

Presente anche Lars Boering, il presidente del World Press Photo Foundation.

World Press Photo of the Year, Crying Girl on the Border di John Moore

Fulvio crede tenacemente nella fotografia, nel suo potere informativo e nella sua bellezza e per lui è anche “una scusa fantastica per conoscere le vite degli altri”.

La voce delicata, i modi gentili e la passione in ogni singola parola che pronuncia, mi racconta di come una vacanza sia diventata un’occasione per ritornare negli anni a raccontare i cubani, la loro società, il loro modo di interagire, scevro di quelle sovrastrutture di cui noi oggi non riusciamo più a fare a meno, “convinti che non stiamo recitando e che quel mostrare che tutto va sempre bene sia una realtà nelle nostre relazioni o, meglio, nei nostri profili social”.

Seduta su una fila di sedie in legno che mi ricordano quelle del Teatro Anatomico di Bologna, davanti agli occhi mi scorrono proprio quelle immagini dai colori accesi e i toni caldi. I confini netti tra luce e ombra creano paesaggi e figure inaspettate.

Questa proiezione genera un contrasto con l’enorme numero di fotografie stampate, immobili, appese fuori, in tutta la città, tra palazzi, sedi istituzionali, botteghe e spazi improvvisati.

Ritrovarsi ad Arles, in Francia, al festival di fotografia più antico d’Europa, Les Rencontres d’Arles, con Fulvio Bugani, che vive a Bologna, dove vivo anch’io, per guardare il suo progetto fotografico su Cuba e fare due chiacchiere con lui sulla serata che vedrà il World Press Photo in Piazza Maggiore, è una piccola magia. La fotografia è un viaggio dentro un viaggio e crea occasioni irripetibili e insolite.

Com’è stato passare dall’aver vinto il più importante premio di fotogiornalismo al portarlo nella tua città?

“Tutto è cominciato nel 2015 quando Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, mi ha invitato sul palco di Piazza Maggiore durante la rassegna Sotto Le Stelle Del Cinema come omaggio al fatto d’aver vinto il World Press Photo. Ero parecchio emozionato e un minuto prima di salire sul palco, forse per tranquillizzarmi, mi ha detto: ‘Sai Fulvio, questa è la prima volta in assoluto che qui proiettiamo delle fotografie‘. Naturalmente ho ringraziato Gianluca di avermelo detto proprio in quel momento. – Ridiamo – Ma quando sono sceso da quel palco ho pensato: è fighissimo! E non perché c’ero io ma perché, a prescindere che le immagini fossero mie o no, là sopra facevano scena. È stato emozionante vederle. Contrariamente a una mostra, non le andavi a cercare, erano loro che arrivavano a te. Il secondo passo è stato coinvolgere Lars Boering, il presidente del World Press Photo”.

La fotografia è un linguaggio povero, nel senso che è “still”, non si muove, non parla, non ha suoni. Giocare con questo suo limite, coinvolgere l’osservatore in quello che una foto ti lascia intendere ma senza spiegarti è una sfida.

World Press Photo of the Year Nominee, Almajiri Boy di Marco Gualazzini

“Portare il premio in piazza, grazie alla Cineteca, significa dargli visibilità e avvicinare le persone al linguaggio fotografico. Molti credono di conoscerlo ma ti assicuro che non è così. C’è moltissimo studio dietro. Nonostante siamo immersi in un mondo di immagini, chi la fotografia non la studia ma pretende di capirla è come una persona che non sa l’inglese ma va al cinema a vedere un film in lingua originale. Non ne può cogliere le sfumature.

Inoltre la nostra informazione, visiva e non, e con nostra intendo quella di massa, punta sempre di più alla spettacolarizzazione. Cerca di coinvolgere le persone attraverso temi che vendono. E così diventa superficiale. E fake, organizzata in base a ciò che agli editor interessa presentare. È il vecchio refrain che dice: diamo alle persone quello che vogliono. Ma nel momento in cui tu offri alla gente diverse possibilità, può capire di volere anche altro”.

Quest’anno il World Press ha introdotto una nuova categoria che punta molto sulle storie con editing eccellenti. Vuoi spiegarci meglio, e tu ne sai qualcosa, l’importanza dell’editing, ovvero dello studio, della selezione e della sequenza delle foto di un progetto?

“Ti provo a rispondere con una domanda. L’ho fatta tanti anni fa a un photo editor della rivista National Geografic. Gli ho chiesto, in una sequenza di una quindicina di immagini per un progetto, non importa che fosse stato fatto in 3 giorni o 10 anni, cosa fosse più importante, la foto che racconta, che veicola un messaggio o quella esteticamente forte. Mi ha risposto: è semplice, tutte le foto devono essere importanti ed esteticamente fortissime.

Spostarne una da una posizione a un’altra o decidere quale inserire e quale no può cambiarti una storia”. E la vincita del premio più prestigioso nel fotogiornalismo, penso io. “Quelle che noi chiamiamo foto virgola, per esempio, anche se non sono fondamentali, sono funzionali al racconto e non puoi non averle – Proprio come quando scrivi, aggiungo – Ma le foto molto potenti dal punto di vista estetico servono a catturare le persone. Non si può scindere l’estetica dal messaggio“.

World Press Photo Story of the Year Nominee, Yemen Crisis di Lorenzo Tugnoli

Chiedo a Bugani qual è lo step successivo, dopo aver portato il World Press Photo nella sua città, proiettato come un film. In fin dei conti Bologna ama il cinema, questo è innegabile. E d’altronde, cos’è il cinema senza la fotografia?

Penso al titolo di un articolo del Time: Photography and cinema: a tale of two closer-than-you-think siblings (Fotografia e cinema: un racconto di due fratelli più vicini di quello che tu credi). Entrambi dipendono uno dall’altra in un continuo e mutuo scambio. Estetica, atmosfera, angolatura, personaggi e uso della luce. È un prendere a prestito, un dare e avere, una contaminazione. È ormai difficile capire come quale forma d’espressione visiva influenzi l’altra.

“Ci sono collegamenti incredibili tra questi due mondi. Chissà che non si arrivi un giorno anche a un Sotto le Stelle della Fotografia”. O a un Rencontres de Bologne. Un’altra piccola magia.

World Press Photo Story of the Year, The Migrant Caravan di Pieter Ten Hoopen

Condividi questo articolo