Immaginate di approdare a Bologna da giovane fuorisede e di diventare un giorno il direttore di produzione di una multinazionale che opera nel campo della musica live, di essere collaboratore e manager di importanti artisti e che, dopo anni di lavoro ben remunerato passati a macinare chilometri in autobus e salire e scendere da un palco all’altro, innamorandovi di un altro lavoro decidiate di abbandonare tutto e darvi anema e core proprio a quella vostra nuova passione, pur sapendo che in tasca avrete molti meno spiccioli. Di sicuro, amici e familiari direbbero che state dando di matto.
Ma a volte, cambiare rotta e reinventarsi è semplicemente la cosa migliore da fare.
Ecco, la storia dell’uomo di cui stiamo per parlare è andata esattamente così.
Il nome del protagonista di questa storia calzerebbe perfetto addosso a un eventuale personaggio di Star Wars, ma in realtà Oberdan Cappa (al secolo Mario) non ha nulla a che vedere con spade laser e galassie lontane.
Di sicuro a vederlo nessuno immagina che, in quel laboratorio a vista dove si impasta e si sfornano prodotti da forno con un metodo antico di cento anni fa, ci sia una persona che ha collaborato con artisti come Caparezza, 99 Posse, Ron, Neffa, Malika Ayane, James Senese, Fabri Fibra e molti altri per oltre vent’anni e che è stato produttore di molte band indipendenti con la sua Kappa Distribution, figlia dell’agenzia di management e booking Kappa Management nata negli anni ‘90, oggi una delle etichette per produzioni indipendenti e autoprodotte del panorama rap e nell’organizzazione dei live, ancora in attività grazie al fratello Leo.
Con la divisa da panettiere si materializza e ci accoglie nel suo Molino Urbano, un panificio-laboratorio in via XXI Aprile 1945 25/C, un ragazzotto dall’aria scanzonata, sorriso smagliante e mani impolverate di farina, che ha raggiunto la metà di secolo giusto qualche mese fa ma che in realtà dimostra almeno dieci anni in meno. E una voglia di mettersi in gioco da far invidia ai ventenni.
Approfittiamo di una sua breve pausa caffè, accompagnati dal sottofondo della sua personalissima playlist, per farci un po’ raccontare del suo mondo dai palchi alle baguette.
Giustamente mi chiedo, perché questo cambio di rotta decisivo nella tua vita?
“Il mondo della musica è cambiato” – esordisce Oberdan, non senza una leggera nota di malinconia nella voce.
“Dagli anni Novanta, quando ho iniziato, fino a una decina di anni fa era tutto diverso in meglio, era diverso tanto l’ambiente musicale quanto il mercato, come la gente che ci bazzicava dentro. Da un po’ di anni invece, prima di lasciare quell’ambiente intendo, avvertivo dei cambiamenti abbastanza drastici dovuti a mille fattori, come l’influenza dell’arrivo di internet e il crollo delle vendite nel mercato discografico, insieme ad altri motivi per cui quel mondo iniziava a starmi un po’ stretto. Essendo stato inizialmente tour manager poi direttore di produzione nel circuito indipendente rap e hip-hop in Italia, oggi non nascondo il mio debole per la scena artistica indie e alternativa, decisamente meno formale e più divertente di quella di gruppi e artisti di alto livello con cui ho lavorato in seguito”.
Nonostante l’abbandono del vecchio lavoro nel mondo musicale, ci racconta di aver mantenuto i contatti con molti, artisti e gente del settore.
“Sono stati bei tempi e ho avuto l’onore e il piacere di lavorare con moltissima gente valida del settore, e non parlo solo degli artisti. Con alcuni di loro ci sentiamo ancora e se riusciamo ci vediamo pure, ma penso che pochi siano all’altezza di Caparezza, che tra l’altro è un mio carissimo amico. E per altezza, intendo anche quella fisica! Nella confusione musicale creata dai vari talent show, verso cui non nutro troppa simpatia, lui è uno che ha talento vero e sicuramente spicca. Ha iniziato avendo tanto da dire e ne ha ancora adesso. Anzi, a dire il vero penso proprio ne abbia ancora per molto tempo”.
E l’approdo all’idea di dedicarti al tuo nuovo mestiere da panettiere e aprire il Molino Urbano?
“L’idea di entrare nel mondo della panificazione è nata quasi per caso, quando un giorno scoprii di avere casa un libro sul pane fatto in casa. Iniziai a leggerlo e ad appassionarmi, per poi fare stage e corsi specializzanti e finire per aprire insieme alla mia socia il Molino Urbano, a febbraio 2016, dove io e gli altri ragazzi utilizziamo la pasta madre invece del lievito di birra e la tecnica del freddo. Per intenderci, ci vogliono 18 ore a pagnotta al posto delle classiche tre ore di lievitazione, ragione per cui anche i ritmi di lavoro sono diversi da quelli di altre panetterie.
Il valore aggiunto dei nostri prodotti da forno sta nel fatto che usiamo farine di produttori locali, decisamente migliori anche da digerire rispetto a quelle raffinate. È come se fossimo tornati indietro con questa tecnica “vintage” di panificazione, ma la qualità risente di tutto questo.
È stato un ottimo passo, assaggiare per credere”.
Oberdan coglie l’occasione per mostrarci e farci assaggiare pizze, biscotti, torte e diversi prodotti dolci e salati fatti insieme alla sua attuale socia, Sanja.
Fortunatamente, è anche l’ora di pranzo e un piccolo brunch, da che mondo è mondo, non presenta effetti collaterali.
Cosa ci racconti dei tuoi primi anni da fuorisede a Bologna?
Un accenno di sorriso e Oberdan continua: “All’inizio, prima di entrare nel vortice di quello che sarebbe stato il mio lavoro, ero iscritto a Giurisprudenza. Peccato solo che abbia capito a pochi esami dalla laurea che non era quello che avrei voluto fare.
All’epoca c’era un gran bell’ambiente, qui a Bologna. Non voglio fare il nostalgico, ma si viveva davvero bene, soprattutto musicalmente. Adesso quell’atmosfera che si respirava è scemata, è cambiato tutto anche in quel senso lì, mi rallegra però che la città abbia mantenuto quello spirito underground che la caratterizzava anche ai miei tempi”.
“La cosa buffa in tutti questi anni è che i miei genitori, un po’ integralisti in fatto di mentalità, hanno sempre voluto che mi laureassi e mi vedevano già a sgobbare in qualche ufficio. Si sa, in una famiglia numerosa come la mia, un figlio laureato fa curriculum. Poi va beh, il destino è stato diverso e fatto sta che non hanno mai capito cosa facessi veramente” , scherza.
“Mi ricordo che mia madre in particolare, quando mi chiamava, mi diceva che era sempre in difficoltà quando le sue amiche nel nostro paesino giù in Calabria le chiedevano cosa facessi.
Alla fine però mi sono laureato davvero in Scienze Politiche, giusto qualche anno fa. Mia madre forse non ci crede ancora”.
Dopo quattro anni dalla nascita del Molino Urbano, rifaresti le scelte che hai fatto finora?
“Certamente. Anche se la mia vita non è più un passare tanti mesi fuori casa o salire e scendere da un palco o un pullman, sono davvero contento così. Avrei continuato ancora per anni perché mi piaceva farlo, ma sicuramente ne avrei risentito parecchio. Ho voluto reinventarmi facendo altro e con la consapevolezza sicuramente meno zeri sul conto corrente, e va bene così.
Sono rimasto quello di prima, alla fine, ma certe volte cambiare fa bene e non può che essere la cosa più positiva da fare”.
A proposito di positività, è proprio questa la cifra che contraddistingue il Molino Urbano. E a fine chiacchierata, anche Sanja non si risparmia e mi racconta entusiasta di cosa hanno fatto e come hanno vissuto la quarantena:
“Siamo rimasti positivi, solari e operativi nonostante la quarantena e la situazione Covid riuscendo a fare anche della beneficienza, a cominciare dalla raccolta fondi con cui abbiamo acquistato uova di Pasqua, colombe e dolci per i bambini e i dottori del Sant’Orsola. Inoltre, oltre a dare il nostro pane, abbiamo raccolto generi alimentari fuori dal nostro negozio per chiunque ne avesse bisogno, lasciando fuori una scatola tutti i giorni. Una volta a settimana diamo il nostro pane anche alle Staffette Partigiane, legate ai gruppi di Làbas e TPO, e due volte a settimana alle Cucine Popolari. Quando ne rimane tanto, a volte lo diamo persino al canile di Sasso Marconi.
Cerchiamo di non tirarci indietro mai e di fare del nostro meglio, specie in un periodo come quello attuale”.
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