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“Figli delle Stelle”, un viaggio dagli anni ’80 a 2000. Quando il Kinki arrivò a Domenica In

07-07-2025

Di Micaela Zanni

Non dormivamo mai. Eravamo sempre in giro, assetati di vita e affamati di scoperte. Come potevamo dormire, del resto? Ovunque ti giravi cerano cose da fare, situazioni da vivere, persone da incontrare. Cera una Bologna che non voleva – e forse non poteva – stare ferma.

Questa rubrica nasce da lì. Dalla voglia di raccontare a chi non cera cosa significava vivere in questa città tra gli anni Ottanta e i primi Duemila. È un viaggio nella Bologna che ho vissuto da dentro, come testimone privilegiata della sua scena notturna, culturale e musicale grazie al Kinki, uno dei club più iconici della città. Il mio club. Un posto che era molto più di una semplice discoteca: era un osservatorio, un laboratorio, un microcosmo.

Nel 1998 il Kinki Club, simbolo della nightlife bolognese più alternativa, viene invitato a partecipare a Domenica In, lo storico contenitore domenicale di Rai1. Un momento surreale, una sfida tra libertà estetica e censura televisiva.

Siamo alla fine degli anni ‘90. I locali trendy” in Italia stavano ormai diventando mainstream. Linteresse generale era alto come alta era la curiosità di sapere cosa succedeva all’interno dei club dov’era difficile passare la selezione per entrare.

Domenica In andava in onda dal ’76, quindi da più di vent’anni. Era il programma di punta della domenica pomeriggio. Domenica Insieme, poi abbreviato, era una trasmissione nata per inchiodare le famiglie italiane alla tv e limitarne l’abitudine alle gite domenicali in auto in un periodo di rincari dei prezzi petroliferi. Sei lunghissime ore di programma: era una vera e propria maratona televisiva.

Nel ’98 la Rai stava cercando di avvicinarsi a un pubblico giovane e per farlo aveva deciso di raccontare luniverso dei locali di tendenza” italiani. Il Kinki, essendo tra i più noti, con la sua carica creativa, queer e visionaria, non poteva certo mancare.

Erano ancora anni meravigliosi dove esistevano movimenti e mode d’avanguardia, nicchie che il mainstream stava scoprendo pian piano impossessandosene e decretandone – di fatto – la fine.

E come ogni cosa mainstream che si rispetti, anche a noi arriva la chiamata dalla televisione: la redazione di Domenica In ci vuole in trasmissione.
Ledizione era condotta da Giancarlo Magalli e Tullio Solenghi, con Valeria Mazza e, per il pubblico giovane, la figlia della Venier, Elisabetta Ferracini, insieme a Jovanotti alla direzione artistica. Ai tempi Lorenzo Cherubini frequentava assiduamente una serie di locali e club, Kinki compreso, e li voleva portare in TV.

Quando diamo la nostra adesione, ci spiegano, con larghissimo anticipo, come avrebbe funzionato il tutto: due locali per puntata per un totale di 7/8 puntate e una manciata di minuti ciascuno nei quali dare vita a una performance live aderente allimmagine del locale. Ci mandano una lista infinita di istruzioni: dj, vocal, animatori, tema, orari, pasti… Tutto preciso, Tutto scadenzato.
Per settimane ci siamo scambiati un numero interminabile di fax fino a quando arriva l’ultimo, lungo due metri, con il riassunto generale e una specifica inaspettata:

Siccome la trasmissione va in onda in orario protetto e il pubblico sia in presenza negli studi che a casa è formato anche, e questo me lo ricordo benissimo, da persone di Chiesa” – si, avete letto bene – “è assolutamente VIETATO portarsi personaggi ambigui e transessuali.” Testuale. Come dire: vi vogliamo in tv, ma solo se vi mascherate da ciò che non siete. Altro che rivoluzione, qui era l’ora della benedizione.

Era l’Italia a cavallo tra i primi timidi segnali di apertura – come le apparizioni di Platinette o alcune scelte di rottura del Maurizio Costanzo Show – e una televisione ancora ingessata, dove l’identità di genere o tutto ciò che usciva dai binari convenzionali veniva spesso censurato, soprattutto se associato a contesti liberi e festivi. Ma noi non potevamo e non volevamo rinunciare alla nostra identità.

È stato un duro colpo e forse sarebbe stato meglio non accettare linvito. Ma come si fa a chiamare un club come il Kinki in trasmissione e pensare di non invitare quelle anime varie e variegate che ne sono sempre state lessenza?

Ci abbiamo ragionato tutti insieme, lo staff delle serate infrasettimanali, più fighette, e quello del weekend, più trendy e variopinto, e abbiamo deciso di accettare la sfida. Perché di questo si trattava. Andare rimanendo fedeli a noi stessi.
Come quando si organizza un party esplosivo, abbiamo scelto il tema: Argento. Chilometri di tessuto luccicante e il tocco magico degli stilisti che orbitavano attorno al Kinki hanno fatto il resto: ognuno brillava a modo suo. In totale eravamo in più di una ventina: la Cristiana, trans bellissima e iconica vocalist degli anni ’90, due dei tre Pasta Boys, e il corpo di ballo. Siamo partiti da Bologna, facendo “il dritto” dopo una serata di lavoro. Sembravamo usciti da un film di Almodóvar: tre minivan, venti anime colorate e zero ore di sonno.

Arriviamo a Roma nel pomeriggio. Appena scesi dai van, ci piazziamo davanti all’ingresso degli studi RAI come una tribù variopinta. Il ragazzo della sicurezza, un adone strepitoso, ci guarda con aria imbarazzata a causa di 20 persone che lo fissano facendo apprezzamenti affettuosamente espliciti.
Abbassa lo sguardo, inizia a controllare i documenti, uno alla volta, fino ad arrivare a quello di Antonio. Che però è una bionda prorompente.                          

Ma qui c’è scritto Antonio”.                                                                                                                                                               “Si sono sbagliati”, ribatte frettolosamente La Cristiana, rubandoglielo dalle mani.

Ha inizio così uno dei weekend più surreali che abbia vissuto. Mentre le prove scorrono con locchio severo dei produttori, nel backstage si accende il vero spettacolo: un andirivieni sostenuto dai camerini è il primo segnale che erano scattati dei flirt tra alcuni dei nostri e i ballerini del programma. Contemporaneamente il D.A. – sempre dei nostri – e una conduttrice di cui non farò il nome sembrano vivere la sceneggiatura di una fiction, al punto che in certi momenti siamo quasi imbarazzati. E per imbarazzare noi…

La sera andiamo tutti al Piper e nessuno dorme, per la seconda notte di fila. Domenica mattina arriviamo agli studi di buon ora. Nei corridoi, mentre aspettiamo il momento di andare in onda, c’è un viavai di persone famose con le quali ci intratteniamo come se ci conoscessimo da sempre.
Finalmente è il nostro momento: io e il D.A., presi dall’ansia, prima di andare in scena, facciamo a testa e croce su chi avrebbe parlato al microfono. Vinco io, e quindi tocca a lui. Non male visto che gode anche dellocchio di favore di una delle conduttrici.
La performance in sé è stata il classico prodotto televisivo. Se non fosse stato per gli abiti, non ci avrebbe minimamente rappresentato. Ma alla fine dello spettacolo” succede qualcosa di inaspettato. Nello studio girava voce che tra noi ci fosse una trans. Il giornalista e conduttore Giampiero Galeazzi crede di averla individuata nella Cindy, la nostra iconica cassiera, femmina e etero.
Mentre tutti stanno ancora ballando, entra in scena, insieme alla figlia della Venier, proprio lui, Bisteccone, così soprannominato per la sua corporatura, che inizia a ballare con la Cindy.
Finisce la musica ed Elisabetta Ferracini le chiede il nome. Mentre lei risponde, da dietro Galeazzi, dice con voce gutturale: “UGO!”
È imbarazzo generale. Non contenta, Elisabetta Ferraccini, rivolta a Giampiero, aggiunge: “ma se Cindy ti invitasse a ballare, tu te la caveresti?”                     

Lui, laconico, risponde: “no, grazie, vado al ristorante”.

Si chiude questo triste siparietto che oggi probabilmente sarebbe costato la carriera a Bisteccone. Forse in pochi, a parte noi, hanno colto la battuta fuori luogo. Ma alla fine abbiamo preferito esserci, divertirci e andare oltre  piuttosto che fare polemica.
Ancora oggi, quando ne parliamo, ridiamo a crepapelle per la figura di merda che ha fatto Galeazzi in diretta nazionale, davanti a un pubblico “protetto” dalla Chiesa.

E comunque, le trans presenti in trasmissione erano tre e lui non ne ha individuata neanche una.

A distanza di anni, rimane emblematica la collisione tra due mondi, quello ingessato della TV generalista e quello libero, fluido e creativo della club culture.

Oggi certe battute farebbero scandalo. Allepoca, a noi bastava esserci e resistere. Con stile.

🎞️ Guarda il video completo della nostra performance su YouTube

Se volete respirare quella atmosfera, vi consiglio:

🎞️ Film: Disco Ruin di Lisa Bosi
🎧 Podcast: Sparkling Glamour – Ep. 2:

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