...E Altre StorieEventi

Edoardo Ferrario show al teatro Dehon. Il primo stand-up comedian italiano su Netflix

09-03-2019

Di Brando Sorbini

Ormai è ufficiale: la stand-up comedy sta prendendo decisamente piede in Italia. Ve ne abbiamo già parlato in varie occasioni (ad esempio qui e qui) di questa particolare forma di monologo comico che prevede la rottura della quarta parete trasformando la performance in una sorta di chiacchierata col pubblico. Di chiara tradizione americana e inglese, in Italia ha sempre fatto fatica ad imporsi, abituati come siamo a identificare il comico come figura legata alla commedia dell’arte, all’avanspettacolo e al cabaret. Ma qualcosa è cambiato nell’ultimo decennio grazie a internet.

Dal lontano 2008, anno in cui il leggendario sito Comedy Subs (ora Comedy Bay) iniziò a creare sottotitoli per spettacoli di comici stranieri, sono successe tante cose in Italia. Oggi i giovani conoscono Louis C.K. e guardano serie televisive come The Marvelous Mrs. Maisel e I’m Dying Up Here. Per non parlare poi degli stand-up comedian affermatisi sul suolo italico a partire da Giorgio Montanini e Filippo Giardina e del circuito underground che si è creato: serate open mic, rassegne, tanti giovani che provano a salire sul palco armati solo di microfono. E realtà importanti interessate a tutto questo: Zelig, Comedy Central, Le Iene, RaiTre e ora finalmente anche Netflix.

Da sempre il catalogo della famosa piattaforma video on demand offre una ricca scelta di spettacoli di stand-up comedy sottotitolati, provenienti da quasi tutte le parti del mondo. Ebbene, dal 15 marzo anche l’Italia sarà della partita con lo special di Edoardo Ferrario, al quale seguiranno quello di Francesco De Carlo (12 aprile) e di Saverio Raimondo (17 maggio). Dal palco del Santeria Social Club di Milano, i tre show prodotti da Dazzle in collaborazione con Aguilar Entertainment saranno visibili nei 190 paesi in cui Netflix è disponibile.

Abbiamo incontrato il primo dei tre comici ad approdare sulla piattaforma: Edoardo Ferrario, che domenica 10 marzo, sarà al Teatro Dehon di Bologna con lo spettacolo Diamoci un tono. Classe 1987, romano doc e un curriculum vitae di tutto rispetto: Un, due, tre, stella! su La7, La prova dell’otto su Mtv, #Aggratis su RaiDue, Neri Poppins su RaiTre, l’esplosione con la webserie Esami su YouTube (della quale è ideatore, autore e interprete), Staiserena su Radio2 e dal 2016 è nel cast di Quelli che il calcio su RaiDue.

Cosa si prova ad essere il primo stand-up comedian italiano ad andare su Netflix?

“Direi una bella responsabilità! (ride) Però al tempo stesso provo una grande soddisfazione e una certa sicurezza, grazie alle persone che mi hanno supportato nel corso degli anni. Col tempo il pubblico mi ha sostenuto al punto da farmi fare serate molto importanti: due volte al Brancaccio, uno dei teatri più grandi di Roma, sold out entrambe le volte (e a maggio ci tornerò), andrò al Puccini a Firenze, tornerò per la terza volta al Franco Parenti a Milano. Ecco, in un certo senso mi viene da pensare: se finora mi hanno seguito con questo entusiasmo facendomi crescere sempre di più, perché non dovrebbero apprezzare il mio spettacolo su Netflix? Quindi c’è la responsabilità però al tempo stesso anche la sicurezza e non nascondo che mi ha fatto molto piacere l’accoglienza alla notizia. C’è stato molto affetto, tanti commenti entusiasti, sia dal pubblico che dai colleghi”.

Ha detto bene il tuo collega Filippo Giardina, su Facebook: “Oggi tutti quelli che hanno sempre creduto in un certo tipo di comicità devono festeggiare”.

“Assolutamente, infatti lo ringrazio tanto e speriamo che sia l’inizio di un periodo molto virtuoso, di voltare pagina e vedere che succede. Io faccio stand-up da ormai nove anni e ho sempre cercato di essere originale, fedele a me stesso e di innovare il linguaggio comico. Ho iniziato a esibirmi avendo come unico riferimento la comicità che mi divertiva, perlopiù americana o inglese. Allo stesso tempo però ha sempre avuto molta importanza per me lo studio dei personaggi alla Carlo Verdone, alla Corrado Guzzanti, quindi il mio stile è un mix tra le due cose. Il linguaggio è quello del monologo ma molto spesso i contenuti guardano alle maschere comiche, aspetto che ritroviamo in gran parte della tradizione italiana. Anche se non nel cabaret. Perché quello del cabaret è un personaggio estremamente più stereotipato, spesso accentuato da forzature come parrucche, costumi, tutte cose che non ci sono assolutamente nel mio spettacolo”.

Quello che andrà in onda su Netflix dal 15 marzo, Temi caldi, è il tuo penultimo spettacolo, di qualche anno fa. Quello che invece porterai a Bologna al Teatro Dehon questa domenica 10 marzo, Diamoci un tono, è il tuo nuovo spettacolo. Differenze?

“Quando ho iniziato a scrivere i pezzi parlavo sempre degli altri, un po’ per timidezza e un po’ perché mi ritengo un ottimo osservatore, quindi la gente rideva perché magari riconosceva nei personaggi dei miei monologhi il fratello, l’amico, il compagno di classe. Maturando poi ho spostato il punto di vista dagli altri a me stesso e ora ho realizzato che la cosa che mi diverte di più in assoluto è parlare di me sul palco. Lo spettacolo nuovo, ‘Diamoci un tono’, è molto più intimo, pieno di cose che mi sono successe in prima persona: mi sono sposato quasi un anno fa, quindi molto del materiale che vedrete è figlio del periodo che ho vissuto.

Invece quando ho registrato ‘Temi caldi’ avevo appena compiuto 30 anni e si può dire che questo sia il filo conduttore dello spettacolo: considerazioni su tutte quelle cose che facevo prima dei 30 e che passata la soglia inizio a vederle in un altro modo. L’essermi stufato di tante cose che avevo amato per una vita, tipo l’amore spassionato per le birre artigianali e tutta la filosofia che c’è intorno, il non poter ammettere che le birre commerciali spesso sono molto più buone (ride), il prendere sempre voli low-cost per risparmiare e ritrovarsi a fare viaggi disastrosi, l’esterofilia, insomma la mia vita alla soglia dei 30 la troverete tutta nello spettacolo su Netflix”.

C’è una caratteristica costante nel tuo percorso che tieni ben salda per non perdere la rotta?

“Continuo a credere, come quando iniziai, che la matrice fondamentale sia parlare ad un pubblico che possa condividere con me degli argomenti. Argomenti che magari spettatori più adulti o comunque estranei al mondo che racconto possono trovare poco interessanti, ma che io considero fondamentali, perché evidentemente lo sono per la nostra generazione. Certo, trovo importante anche riuscire a parlare ad un pubblico più vasto possibile, allo stesso tempo però non credo all’approccio generalista della comicità, non ho mai voluto voler parlare davvero a chiunque per farmi capire da tutti. Questa ‘missione’ della comicità nel corso degli anni ha secondo me creato molte distorsioni. Per anni in televisione c’è stata una comicità che doveva piacere sia ai nonni che ai nipoti, che è una cosa estremamente impossibile, se non con argomenti sempre uguali o molto semplici. Io ho sempre voluto aggiungere qualcosa in più e parlare di cose che davvero mi divertirebbero da spettatore se le vedessi in uno spettacolo comico”.

 

 

Come ho accennato all’inizio, tante cose sono cambiate negli ultimi 10 anni. Come la vedi la situazione? La rivoluzione è alle porte? L’armata delle tenebre è pronta?

“Direi proprio di sì. Ma anche senza viversela in maniera troppo belligerante, semplicemente i tempi cambiano e con essi anche i linguaggi. Il cabaret era un linguaggio figlio dei posti in cui è nato e delle piazze in cui si è sviluppato. Nasce nell’intrattenimento popolare e si sviluppa in arene estive, in piazze, in sagre, situazioni in cui il pubblico richiedeva di essere intrattenuto. Poi è successo che il cabaret televisivo ha distorto quello tradizionale perché, vedi, io non sono un fondamentalista, credo che sia esistito ed esisterà sempre dell’ottimo cabaret in Italia, il problema è che la televisione generalista ha spremuto quel linguaggio come un limone. Per cui il cabaret era diventato battute comprensibili da chiunque ogni sette secondi con un personaggio che dovevi capire chi fosse prima di cambiare canale, anche se tua moglie ti stava chiamando dalla cucina. E gli spettatori a un certo punto non ne potevano più di tutto ciò”.

 

 

C’è una differenza sostanziale tra stand-up e cabaret?

“La stand-up comedy nasce in contesti molto diversi, nei comedy club, locali anche piccoli dove il pubblico va appositamente per ascoltare i comici, sedendosi a dei tavolini posizionati a un metro dal palco. È molto diverso dall’essere intrattenuti in una piazza con altre 800 persone. Non dico che sia migliore, sono semplicemente due cose diverse. Nella stand-up comedy il comico ha molta più possibilità di farsi ascoltare e di esprimere il suo punto di vista, c’è una dimensione intima che nel cabaret necessariamente manca. Il comico, a dirla tutta, può anche scegliere di non far sempre ridere, può anche prendersi un minuto in più per far arrivare il pubblico al ragionamento che gli interessa. La sua voce diventa quasi uno sfogo. E ora evidentemente le persone si riconoscono molto in questo linguaggio.

L’unica cosa che mi dispiace è che in Italia si sia creato l’equivoco secondo il quale la stand-up comedy debba essere a tutti i costi un linguaggio irriverente, provocatorio, scioccante. Non è così. Gente che ha visto solo Bill Hicks e George Carlin e pensa che la stand-up sia solo quello. No, esistono anche Jerry Seinfeld e Eddie Izzard”.

Progetti per il futuro?

“Sto scrivendo dei nuovi progetti per delle serie televisive ma ancora è presto per parlarne. Ora il mio più grande impegno saranno i live perché sto per partire con una tournée organizzata in Italia da Altra Scena e all’estero da Aguilar Entertainment, nei prossimi mesi mi esibirò in Europa e negli Stati Uniti, tant’è che l’abbiamo chiamata Edoardo Ferrario World Tour 2019. Dopo le date italiane infatti ci sarà Amsterdam, poi Berlino e nei prossimi mesi andrò anche in America. In tutte le città farò due esibizioni: una sera con il mio spettacolo di un’ora in italiano per gli italiani residenti all’estero e una seconda invece con un quarto d’ora in inglese insieme ad altri comici.

Quindi possiamo concludere dicendo che porterai la stand-up comedy in America?

“Assolutamente sì! (ride) Nel mio ambiente si sente spesso la frase: ‘Ho portato la stand-up comedy in Italia!’, io darò il mio contributo per portare quella italiana all’estero”.

Condividi questo articolo