...E Altre Storie(A) Spasso - cosa fare in città

Fuori dal museo. Taz trasforma ogni luogo in una zona d’arte temporanea

22-03-2019

Di Luca Vanelli

Spesso ci si dimentica che dietro ogni tela, ogni scatto e ogni scultura esiste un essere umano che ci ha infilato dentro la propria passione e i propri drammi; le gioie e le paure. Nello sforzo egocentrico di trovare qualcosa che consoli noi e i nostri problemi, ignoriamo chi quell’opera l’ha creata.

Ecco allora che qualcuno prova a mostrarti quel lato umano e conviviale dell’arte, ed è lì che si posiziona Taz, acronimo di Temporary Art Zone. 

È un’associazione culturale, creata da Giancarlo T. Marangoni, Alessandra Tescione e Denise Nigro, che racchiude al suo interno tre progetti, distinti ma allo stesso tempo intrecciati tra di loro: “Te la devi immaginare come una casa a tre stanze: ognuna ha la sua funzione e collabora con le altre”, mi dice Giancarlo. Queste tre stanze sono: Ad (Arte a Domicilio), CoLa (Conferenze e Laboratori) e Collettivo #Acad (A Casa Arte a Domicilio). Attraverso queste attività Taz propone di vivere e conoscere l’arte in modo sperimentale, organizzando eventi che si svolgono in luoghi comuni e privati, trasformati temporaneamente in presidi artistici e sociali.

Foto di Theater 7/2 Productions

Ed è proprio Ad che domenica 24 marzo dalle ore 18 presenterà Alter(ed) Ego, una nuova installazione casalinga organizzata in collaborazione con Theater 7/2 Productions e TipsTheater che vedrà come protagonisti il fotografo Houtan Nourian, con il progetto fotografico Plastic Portrait e l’inedito video ispirato ad esso Persōna. Il musicista Sebastiano Rossi sonorizzerà in diretta il video attraverso le (im)possibilità sonore dei supporti analogici obsoleti. Per scoprire il luogo dell’evento è necessario prima prenotarsi inviando una mail a info@casataz.it entro sabato 23 marzo.

Giancarlo e Alessandra mi hanno raccontato qualcosa in più su Taz e su cosa significa spostare l’arte e portarla nelle case.

Parlatemi di queste “stanze” che compongono Taz

G: “’Ad’, nata da un’idea mia e di Denise Nigro (precedente collaboratrice di Taz), dal 2016 porta eventi culturali nelle case private: svolge quindi il ruolo di promozione dell’arte in tutte le sue forme espressive ed è sicuramente la ‘stanza’ più attiva. ‘CoLa’, invece, è la stanza del ragionamento: senza ricerca non potremmo capire quali temi affrontare. L’intenzione è quella di dare vita, in futuro, a laboratori in cui attraverso l’arte cerchiamo di raccontare la società e riflettere, dando spazio a più punti di vista possibili. Mentre il Collettivo #Acad è la stanza della produzione artistica: cerchiamo di far incontrare artisti diversi per raccontare la società di oggi”.

Qual è quindi l’idea che anima Taz e soprattutto Arte a Domicilio?

A: “Ci piace pensare che ogni luogo possa trasformarsi in una zona d’arte temporanea. Spostiamo l’attenzione in un contesto più intimo, dove si crea un’atmosfera diversa rispetto ai circuiti artistici tradizionali. Entrare nelle case private delle persone non è semplice, ma ogni volta la sfida per noi è rispettare l’anima della casa e insieme valorizzare le opere degli artisti”.

G: “La filosofia della zona d’arte temporanea è proprio questa: vivere zone che per un certo periodo limitato cambiano modalità di fruizione e sovvertono le regole standard. Questo pensiero lo applichiamo alle case, contestualizzando le opere nello spazio in cui siamo, lavorando con gli oggetti della casa e dando un significato o una posizione particolare a quello che già c’è”.

Foto di Theater 7/2 Productions

Qual è quindi il valore aggiunto di questo pensiero?

A: “Secondo noi, l’ambiente casalingo più intimo permette sia all’artista di avere contatto diretto con il pubblico, perché le distanze si annullano, sia al pubblico di confrontarsi con l’artista. Vederlo, parlarci e, dopo aver fruito dell’opera, stabilire un rapporto umano per chiedergli chi è, cosa fa e com’è nato il progetto”.

E questo agli artisti piace?

G: “In realtà, tra gli artisti, abbiamo colto una vera esigenza di trovare nuove modalità di avvicinarsi al pubblico. Per tutti oggi è difficile arrivare alle persone e quindi si cercano nuove strade per presentarsi senza filtri. Portando l’arte nelle case le restituiamo una dimensione umana e conviviale, più vicina alle persone”.

Foto di Teather 7/2 Productions

Il pubblico è abituato a spazi fissi dedicati all’arte: mostre, musei etc. Come si abitua un pubblico così ad un arte in movimento e temporanea? Non avete paura di spaventarli?

A: “Il tentativo è quello di richiamare l’attenzione del pubblico che non si emoziona nelle gallerie o sente la voglia di immergersi in una realtà diversa. Nella nostra esperienza, da quando abbiamo cominciato, abbiamo trovato un pubblico che si è affezionato a questo tipo di fruizione: il contesto casalingo elimina la distanza asettica del museo e genera un confronto umano che mette a proprio agio. Noi lo vediamo come punto di forza, più che come limite: magari i primi cinque minuti ci si sente bloccati, ma durante l’evento si capisce che è un luogo dove non ci sono filtri, maschere o artefatti. E davanti ad un bicchiere di vino nascono sempre i progetti migliori”.

Foto di Teather 7/2 Productions

Non si rischia però di far sparire qualcosa prima che abbia esaurito la sua potenza artistica?

G: “Da un lato la temporalità parziale dell’esposizione è necessaria, perché non possiamo invadere le case private per molto tempo. Sicuramente cerchiamo di scegliere opere ed eventi che abbiano un respiro di questo tipo. Però non abbiamo questa paura, perché sia il pubblico che l’artista sanno che tutto quello che succede quella sera è solo l’inizio di un rapporto e di uno scambio”.

Insomma, non avete paura di smantellare, sparire o morire. No? Credete nella fine?

G: “Sì, ma soprattutto crediamo nella immediatezza del ‘carpe diem’. Devi esserci, perché l’evento è unico e irripetibile. L’arte e la relazione sono anche questo: è quella cosa istantanea che ti capita, che se arrivi un momento dopo o un momento prima non succede”.

Foto di Marco Mastroianni

Secondo voi i musei hanno qualcosa che non funziona più?

A: “No, noi non critichiamo i luoghi più istituzionali dell’arte, anche perché collaboriamo con gallerie, però offriamo un’alternativa: un modo diverso di approcciarsi all’arte e diffondere cultura. Non ci siamo inventati nulla, perché fino al secolo scorso le case e i salotti erano i luoghi dell’arte. Questa è un’occasione per riappropriarsi di qualcosa che si è perso: vogliamo ritrovare la possibilità di vivere la casa più come una fucina sociale, un luogo vivo dove si creino relazioni”.

Domanda stupida: ma le case come le trovate?

A: “Ecco, trovare le case non è semplice: noi siamo aperti a tutto, anzi è ben accetto chiunque voglia partecipare. A volte persone hanno messo a disposizione la propria casa dopo essere stati agli eventi. Spesso anche noi siamo a caccia di case: magari andando da amici entriamo e pensiamo a quale artista potrebbe starci bene”.

G: “Ci teniamo a sottolineare che noi non stravolgiamo o riarrediamo le case, ma l’obiettivo è quello di rispettare lo stile del luogo: tranne alcuni sopralluoghi tecnici per capire gli spazi disponibili e presentare l’idea e l’artista agli inquilini, nel giro di un giorno allestiamo, facciamo la serata e poi smontiamo tutto”.

Foto di Teather 7/2 Productions

Quindi per voi fare rete diventa fondamentale?

A: “Assolutamente sì, ma soprattutto quando si tratta di artisti. Cerchiamo di creare connessioni anche al di fuori di Taz. Ad esempio, artisti che magari non sono stati selezionati per ‘Ad’ li teniamo sempre in considerazione per proporli ad altri eventi. Non crediamo che tenerceli tutti per noi, con l’esclusiva, ci aiuti. Noi cerchiamo di dare spazio a tutti o di portare gli artisti dove ci sono spazi”.

G: “Sarebbe una cavolata tenere nascosti artisti solo per poterli presentare noi. Collaboriamo sempre, in forme diverse, anche perché siamo tutti sulla stessa barca e ci manca solo che non ci diamo una mano. Taz vuole essere il più possibile un NOI, non un IO”.

Che rapporto avete con Bologna?

G: “Bologna ci stupisce sempre perché ti permette di entrare a contatto con uno spaccato della società molto eterogeneo, non solo da tutta Italia, ma da tutto il mondo. Ti dà la possibilità di scoprire il mondo senza spostarti, anche solo con i racconti delle persone. E per noi che amiamo le reti di relazioni è la città perfetta”.

Condividi questo articolo