Andrea Appino e band non sono per le formalità. Sono le 12,30, li aspetto nella hall dell’hotel dove hanno passato la notte dopo l’instore in Feltrinelli a Bologna. Scendono uno dopo l’altro, si scusano per il ritardo. Cappello, giacca di pelle, occhiale scuro e una risata collettiva travolgente. Ci sediamo sul divano, si sono svegliati da poco.
Andrea Appino (voce e chitarra), Massimiliano “Ufo” Schiavelli, (basso), Karim Qqru (batteria), Francesco Pellegrini (chitarra) sono appena tornati da Sanremo. Per la prima volta, quest’anno, gli Zen Circus sono saliti sul palco dell’Ariston. E l’hanno fatto portando una ballata complessa, senza ritornello, un lungo flusso di coscienza che va dentro un sentimento poco esplorato, quello per chi ancora non si conosce. E che come una matrioska ne contiene molti altri.
“Ricordo qualcosa. – dice Appino – Vagamente (ride). Ero a Berlino, a mangiare mezzo panino, in vacanza. Aspettavo Francesco Motta e una notte in un bar, sulla carta igienica del bagno scrissi ‘l’Amore è una dittatura’. In un’ora credo, di getto, pensando che prima di conoscere una persona, quella è un’estranea”.
L’amore che canta la rock band pisana è quello che arriva prima dell’amore romantico; è condivisione, apertura, empatia, dare spazio agli altri e quindi a se stessi. Dall’altra parte la paura di smarrirsi nella folla, la paura di ciò che non si conosce.
“Mi sono domandato cosa vuol dire allontanare gli estranei – dice Appino-. Se il prequel dell’amore romantico non sia in fondo amare gli altri, perchè lì ci potrebbe essere qualcuno che poi diventa…”. Poi si ferma. Sorride. “Così è detta male perchè mi sono appena svegliato, non ho preso il caffè, ma soprattutto non ho ancora fumato. Però è così”.
Diretti come la musica che da vent’anni portano su ogni tipo di palco; undici album, oltre mille concerti. Ci parli e solo dopo realizzi che non li conosci da sempre, ma da appena mezz’ora.
Il brano è all’interno Vivi si muore 1999-2019 (Woodworm Label/La Tempesta/distr. Artist First), uscito ad inizio febbraio; album che riassume una storia ventennale in 17 tracce rimasterizzate e due inediti, tra cui il brano che hanno portato all’Ariston. Hanno iniziato con un disco autoprodotto, in cui raccontavano un disagio sociale ed esistenziale, fatto di prove in macchina o per strada, con strumenti acustici improbabili e le mani gelate. Era il 1999. E oggi continuano a ricordarci che “Sì, si muore. Ma prima si vive”.
Sono invece passati dieci anni dall’album che ha segnato la svolta: Andate tutti affanculo, il primo in italiano, a cui prese parte anche Nada, inserito da Rolling Stones tra i 100 migliori album italiani. Un decennale che festeggiano a Bologna, con un concerto-evento, il 12 aprile al Paladozza.
Vent’anni per palchi di tutto il mondo. Come vi siete sentiti su quello dell’Ariston?
“In realtà noi guardavamo cosa faceva Nek ed eravamo a posto. Sembra uno scherzo ma non lo è. Era prima di noi, era tranquillo, suonava… non vedo perché noi non dovessimo essere tranquilli e suonare. A parte tutto, siamo stati bene, il cast ci ha aiutato, un sacco di amici. Devi andare lì e suonare, che fondamentalmente è quello che facciamo da una vita. Poi chiaro che è Sanremo e non è uguale ad altri palchi però bene o male all’ultima volta sembrava già di essere a casa”.
Promossi e bocciati del Festival
“Noi bocciamo tutti perchè a noi piacciono le persone che bocciano!”.
Il vincitore, per gli Zen. A parte voi, naturalmente.
“Doveva vincere Mahmood, l’abbiamo detto dal primo giorno. Ci sembrava la cosa che potesse davvero portarci in Europa”.
Questo Festival è stato un pò uno spartiacque, c’è stato un prima e ci sarà un dopo.
“Lo spartiacque per il Festival, la musica è da tempo che è andata avanti. Però sicuramente è un segnale per quello che riguarda il nazionalpopolare. Ora bisogna capire cosa succederà l’anno prossimo o se è stato one shot. Ci andremmo calmi con tutto questo entusiasmo conoscendo il Paese Italia e la storia frammentata delle dirigenze Rai. Quest’anno il direttore artistico era Baglioni. Tutto questo c’è stato perché Baglioni è musicista”.
So che siete stati colpiti dalla “Sanremite”…
“Sì, un virus che dura una settimana ma poi passa. Vederci con un mazzo di fiori in mano è stato potente (ridono). È il fenomeno di costume che incrocia la musica, c’erano 24 musicisti più tutto il contorno. Sul palco pensi di essere ad un concerto tuo, poi vedi che c’è Valeria Marini e ti fa una certa differenza rispetto al tuo concerto standard.
Avevamo un camerino zeppo di musicisti e si notano quelle piccole differenze, c’è il personal, lo stylist, figure più istituzionali che ti fanno rendere conto che è un evento musicale di produzione culturale ma in cui c’è anche una parte di costume, mondano, di rotocalco. Adesso però basta Sanremo, è finito. Ora c’è la musica (sorridono)“.
Solo un’altra. Avete portato un brano complesso, non propriamente sanremese. Ce lo spiegate voi?
“Spiegare le canzoni è veramente drammatico. Poi questa non è la Canzone del Sole, è un flusso di coscienza e dentro ciascuno ci ritrova significati diversi, è un brano sociale. Ci occupiamo spesso di empatia collettiva, del sentirsi parte di una comunità, o di disempatia collettiva. È un urlo, una ricerca e intorno c’è la fotografia del Paese visto da un bar di Berlino, ma potrebbe essere da ovunque.
C’è l’acqua bassa, melmosa e le zanzare, che sono fastidiose. E quando cominci ad inchinarti alle zanzare vuol dire che è un problema, che in qualche modo ti inchini a quello che volendo potresti distruggere e non lo fai. Diciamo che ogni frase ha un senso”.
Vent’anni di canzoni. Vi chiedo di sceglierne quattro: una per la malinconia, una per la rabbia, una per l’amore e una per il futuro
“Per la malinconia ‘Non voglio ballare’, per la rabbia ‘Gente di merda’, per l’amore ‘L’anima non conta’ mentre per il futuro ‘Nati per subire’. Tutti d’accordo”.
Il 12 aprile sarete al Paladozza per festeggiare 10 anni dall’uscita di “Andate tutti affanculo”. Cosa dobbiamo aspettarci e perchè Bologna?
“Perché si parte sempre da Bologna nei nostri tour, anche se questo non è un tour ma un compleanno. È nel mezzo e poi è diventata quasi una cosa scaramantica, la data zero deve essere a Bologna”.
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