Ci sono i sogni nati in un chiosco di gelati in Saragozza e frantumati contro le curve della vita, il tempo che passa e ti chiede il conto, l’amore e la gelosia, quella feroce, distruttiva e da cui non si “guarisce” mai. Quella che fa perdere l’amore. C’è l’abbandono in tutte le sue forme e c’è la meraviglia dei rincontri inaspettati, che possono riscattare una vita.
È un viaggio lungo la linea del tempo quello in cui ci porta Pupi Avati. Amaro, sincero, potente.
Lo incontro insieme al fratello e produttore Antonio Avati al Grand Hotel Majestic (già Baglioni) in occasione della prima nazionale del suo nuovo film, La quattordicesima domenica del tempo ordinario.
«Sa qual è una delle cose che mi piace di più? – mi dice -. Le persone che si risposano con le persone dalle quali si erano separate. Credo sia uno degli atti più romantici che possono contrassegnare la vita di una persona».
La voce è rassicurante, a tratti nostalgica. In questo film Pupi ha messo molto di sè e dei luoghi della sua vita, riportando il drone indietro al suo giorno più bello, quello del suo matrimonio, celebrato proprio la quattordicesima domenica del tempo ordinario. Ma poi ne ha cambiato la traiettoria rispetto alla sua vita, portando i protagonisti a perdersi e rincontrarsi 35 anni dopo, non senza fare i conti con il proprio percorso.
Il film che vede tra i protagonisti Gabriele Lavia, Edwige Fenech, Massimo Lopez, Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo, Nick Russo e Cesare Bocci è ambientato nella Bologna degli anni ’70. Marzio, Samuele e Sandra sono giovani e pieni di sogni. Marzio e Samuele fondano il gruppo musicale I Leggenda e sognano il successo ma una lettera di rifiuto li fa naufragare e allontanare. Sandra invece, vuole diventare indossatrice. Marzio sposa Sandra ma la vita non sarà quella che avevano immaginato. Samuele invece sceglie un lavoro sicuro ma la vita sarà tutt’altro che clemente. Tutto si sgretola e li trascina giù, da dove è difficile risalire. Si perdono, ognuno prosegue la strada da solo, inciampando tra un passato che non c’è più e un presente che non è riuscito ad imporsi.
In un tempo in cui le separazioni non sono rare e in cui l’imperativo è mostrare sempre e solo i propri successi, Pupi ci porta a riflettere su cosa significa usare il tempo per amarsi, poi per combattersi e infine per ritrovarsi. Cambiati, diversi, non necessariamente migliori, con un pugno di sogni infranti tra le mani, facendo i conti con la durezza della vita e con il proprio riflesso stropicciato.
Tutti seduti al tavolo della vita, dopo aver perso la partita.
Ma il film ci lascia con un sentimento di riscatto e tenerezza. Marzio e Sandra, soli e senza più nulla a cui aggrapparsi, si ritrovano, si “riparano”e ricominciano ad amarsi. «Volevo provocare una nostalgia nelle persone sole nei riguardi delle persone dalle quali si sono separate», spiega Pupi.
Prodotto da Duea Film, Minerva Pictures con Vision Distribution in collaborazione con Sky, La quattordicesima domenica del tempo ordinario è stato definito il suo film più bolognese. «Quella che viene mostrata è una Bologna diversa, sganciata da quella che abbiamo raccontato tutte le altre volte – ha spiegato Antonio Avati, produttore e fratello di Pupi -. Non c’è nessun fotogramma girato fuori dalle mura, i portici sono presenti quasi continuamente, ma questa è una storia di grande durezza. Una storia molto vera, umana. È un film molto più rischioso degli altri, che racconta una verità che non avevamo mai ammesso che esistesse in una città come Bologna».
Novantotto minuti in cui i messaggi arrivano dritti dove devono, mentre la struttura del film ti costringe a guardare indietro e poi avanti, ancora indietro e poi avanti. I piani si sovrappongono. In ciascuno dei protagonisti c’è qualcosa che ci riguarda e una domanda ti rincorre, anche dopo aver lasciato quelle poltrone rosse. E ti chiedi se un giorno, guardandoti allo specchio, quella persona fallita e sola potresti essere tu. Ma Pupi ci rassicura: «Io penso di aver conosciuto solo persone che hanno fallito. Il mistero e il segreto della vita è tutto qui, che fortunatamente non ti senti mai totalmente realizzato.
Vuole un consiglio? Non sposi mai un uomo appagato».
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