Immagina una community, un luogo che si estende oltre i confini fisici, i cui valori predominanti sono l’inclusione e la libertà di espressione; portavoce di una sottocultura capace di unire substrati sociali, tessere reti interpersonali e unire individui socialmente marginalizzati e oppressi in una richiesta di emancipazione e riconoscimento.
Utopia? No. È la ballroom culture.
Ci siamo sedute a parlarne con Lampoon, Xaxa e Alpha, che hanno dato vita a KikiBolo, la community che porta la ballroom culture tra le strade di Bologna, «una città che ha una sua forte cultura underground, molto queer, che è terreno fertile. Una delle prime ball in Italia è stata fatta proprio al Cassero nel 2015» racconta Alpha.
KikiBolo torna stasera al Centro Sociale della Pace, dalle ore 21. L’evento anticipa la mostra Bolo Is Posing, organizzata in collaborazione con New Era of Queer Space, dal 25 febbraio al 14 marzo, da Senape Vivaio Urbano.
Prima di approdare tra i vicoli bolognesi, tentiamo di riassumere oltre mezzo secolo di Cultura Ballroom dalle sue origini: si forma alla fine degli anni ’60, inizio ’70 nel quartiere newyorkese di Harlem, in risposta alle discriminazioni razziali presenti anche nei concorsi per drag queen, prevalentemente formati da giurie caucasiche. Dalla necessità di trovare rappresentazione e inclusività, in linea con i movimenti sociali dell’epoca, nascono le ball a cui ci si riferisce oggigiorno come simbolo mainstream: la dinamica di aggregazione per i gruppi di individui ostracizzati dalla società, nello specifico afroamericani, latini, queer e transgender.
La Ball non è un luogo, ma un evento, per la precisione una competizione che si articola in diverse categorie e che si basa in parte sulla danza attingendo dalle arti marziali fino alla breakdance, ma anche su sfilate di moda. Storicamente le ball si istituiscono per le house, vere e proprie sotto-comunità precedenti alla cultura stessa che ne costituiscono la struttura in senso ampio.
La cultura ballroom è diventata mainstream con il video Vogue di Madonna e più recentemente con la serie tv Pose, includendo una rappresentanza di artisti e attivisti come Indya Moore, Billy Porter, FKA Twigs e Rihanna, eppure pochi ancora conoscono l’intricata storia di questo eco-sistema, la cui genesi è dovuta ad un movimento sociale e politico, ancora attuale e necessario da cui possiamo imparare molto.
KikiBolo, precisiamo, non è una ball, almeno non in senso canonico. Che cos’è? E come nasce?
Alpha: «è uno spazio queer accessibile e aperto a tutte le soggettività senza discriminazioni, ed è dedicato alla diffusione della cultura Ballroom a Bologna. Si colloca in una posizione intermedia tra una classe di danza e una Ball vera e propria».
Come si differenzia da una classe di danza e dalla classica Ball?
Alpha: «la classe di danza è dedicata solitamente al voguing, mentre la cultura ballroom è molto più ampia, ha una storia più profonda e racchiude più categorie che spesso non riesci a cogliere se ti ci approcci attraverso una scuola. Il nostro intento è di catturare quelle sfumature. Inoltre, rispetto alla Ball, che normalmente richiede un budget e quindi un biglietto, abbiamo voluto creare qualcosa di accessibile anche in termini economici, per questo spesso i nostri eventi sono gratuiti».
Lampoon: «tutto è partito con le lezioni di danza, ma il mood che ti lasciano addosso è quello di implementare e sperimentare una tecnica, di percepire il voguing come una mera performance quando in realtà ci si accorge che molte persone hanno bisogno di viverlo: KikiBolo nasce da quella esigenza. Abbiamo voluto creare una situazione in cui le persone possano immergersi ed esprimersi rendendolo accessibile. Da un lato è un modo sicuro per esercitarsi, dall’altro va oltre la community ed è rivolto anche un po’ alla società, inteso come un messaggio: fermati e ascolta. Se c’è qualcosa che vuoi imparare in questo frangente noi te lo possiamo dare, in termini di cultura».
KikiBolo si svolge al Centro della Pace, al Pratello, però non nascono chiusi tra quattro mura, se non per necessità climatiche, bensì dalla strada.
«È stata una scelta precisa e puntuale – dice Lampoon. Per noi inizialmente era un modo per allenarci fuori, ci serviva una spazio free. Quello che è diventato ora è lo specchio della necessità delle persone».
Alpha continua: «[La Ballroom] rischia di diventare elitaria: se ti puoi permettere la scuola di danza puoi farne parte, ma molti non hanno questa possibilità e rischiano di rimanere tagliati fuori. Volevamo proporre uno spazio gratuito a Bologna in cui mostrare la cultura per come è, senza la pressione di una ball e senza il livello di giudizio della competizione, e aprirlo alle soggettività che non sono rappresentate all’interno della nostra scena».
La natura di KikiBolo è open to all: aperto a tutti, indipendentemente da genere, aspetto e orientamento sessuale, il requisito è uno: rispetto.
Perché dobbiamo parlare di rispetto trattando un argomento nato dalla necessità di inclusione, che ne è poi divenuto il catalizzatore e simbolo per decadi e generazioni?
Perché «oggi la ballroom è diventata trendy – ci dice Alpha – Pose, RuPaul’s DragRace, Legendary, fanno capire che adesso è un trend, come fu negli anni ’90 dopo Madonna. È importante diffondere la cultura, ma è un’arma a doppio taglio: più una cosa diventa mainstream più c’è il rischio che venga travisata e appropriata. Invece la cultura e la community vanno tutelate.
Se una persona viene per sfilare, prendersi gli applausi con quattro mosse di voguing per poi portarle in una discoteca e non supporta più la community, onestamente cosa ci rimane? Per la comunità è sempre uno scambio, la ballroom ti restituisce sempre qualcosa, ma devi essere una persona che ne ha bisogno e non che la usa solo perché va di moda».
Lampoon: «La gente esterna quando si approccia alla ballroom dovrebbe farlo con l’idea di supportare.
Le Ball non sono solo uno spettacolo, le persone che ci sono dentro la vivono la comunità, oltre alla performance del momento. Ci sono mesi di preparazione, dietro c’è vita, condivisione, famiglia. Storicamente era un modo per elevarsi, la ballroom ti dice: questo è il tuo campo di battaglia, è qui che fai vedere se nella società puoi sopravvivere.
Non è più estremo come negli Stati Uniti degli anni ’80, in cui eri costretto a prostituirti e spacciare droga, ma è rimasta quella chiave e quel messaggio, la ballroom tende a educarti a non rimanere in una situazione di stallo, tende a volerti portare a un livello superiore».
«La cultura ballroom è presente in Italia da una decina d’anni – ci spiega, e continua – non c’è mai stata in realtà una community abbastanza stabile, e soprattutto così aperta. KikiBolo è stato fatto in modo gratuito anche per investire nelle persone che volevano veramente farne parte».
Com’è arrivata in Italia?
Alpha: «A livello storico a portare la cultura in Italia sono state le ballerine, in particolare possiamo citare La B. Fujiko Ninja, che ha poi acquisito il titolo di Legend. Lei, come altre, è andata negli Stati Uniti e ha conosciuto la ballroom e il voguing da personalità di spicco, quali Archie Burnett, Javier Ninja e Benny Ninja. Una volta tornata in Italia, lei come altre, hanno diffuso quanto imparato attraverso canali che, all’inizio, erano prettamente di danza, ad esempio all’interno di contest hip-hop».
Lampoon: «quando lo porti in Italia in una certa maniera ti devi occupare anche di curare molto la parte culturale, però se tu per prima non sei parte di quel substrato culturale è veramente difficile riuscire ad arrivare a toccarlo.
Questo è un lavoro che arriva negli anni, scavando».
Come è strutturata la ballroom e come si è modificata nel tempo?
Alpha: «È una cultura competitiva e l’evento della ball prevede una giuria. A questi eventi si “cammina” (in inglese “walk”) ovvero si partecipa a una determinata categoria. La scena si distingue tra Major (quella tradizionale) e Kiki (nata negli anni 2000 dalle persone più giovani, caratterizzata da un’attenzione verso la comunità e legata ai temi della lotta contro L’Aids). La Kiki Scene è quasi più politica, con un elemento di attivismo, mentre la Major è più di competizione. Si muovono parallele ed entrambe hanno il loro sistema di House».
Lampoon ci spiega che tradizionalmente la house è una forma organizzativa che richiama la famiglia, in cui i ruoli “genitoriali” si applicavano nella cura dei nuovi membri, e molto spesso rappresentava una via di fuga e di salvezza da condizioni disagiate e di abusi. «La madre effettivamente si occupava di educare i nuovi membri della famiglia e il father cercava di gestire al meglio le finanze. «Era tendenzialmente un do ut des» – aggiunge Alpha – in cambio di un porto sicuro, di una rete relazionale di supporto pratico e psicologico per chi ne faceva parte era richiesta la partecipazione alle competizioni in rappresentanza della propria house. Era la famiglia che ti sceglieva e che ti sceglievi. Se allora avere una house era determinante per le chance di sopravvivenza, oggi le condizioni e la qualità di vita permettono di essere anche free agents, degli 007, senza una dichiarata appartenenza. Al contempo il sistema di categorie si è ampliato e messo in discussione, cercando di stare al passo con l’autodeterminazione di genere».
«Quando si parla di categorie non è un sistema chiuso, anzi, in continua espansione. Dalle categorie storiche più vicine al concorso di bellezza, Realness, Face, Body e successivamente Runway, a Performance legate alla danza come il Voguing – continuano Alpha e Lampoon – Nel corso degli anni si sono ampliate, all’Old Way si è integrato il New Way e successivamente il Vogue Fem.
Alpha: «Esiste un binarismo che è diverso da quello della società. La ballroom costruisce un’identità attraverso la segmentazione delle categorie, cerca determinate caratteristiche che vanno al di là della semplice identità di genere, in cui ti puoi ritrovare. È importante secondo me ed è utile anche a livello performativo e di competizione».
Lampoon: «la ballroom nasce binaria per necessità, in una situazione in cui le persone dovevano dimostrare di essere completamente donne o uomini. Perché la società voleva quello altrimenti eri carne da macello. Oggi non la viviamo così, ci sono community in cui si è aperta la necessità di avere anche categorie gender non conforming perché ci sono persone che non si sentono né donne né uomini. Se ne sta ancora parlando a livelli molto alti, perché non è facile introdurre un cambiamento del genere».
Xaxa: «Quello che dà un po’ fastidio a me è in generale l’etichettare sempre per forza le cose, motivo per cui ora alle persone non binarie inizino a stare un po’ strette le regole.
Ogni tanto mi fermo e penso, ad esempio nella categoria Body, nelle quali sono presenti differenziazioni in base alla fisicità, è davvero necessario dividere tra corpi femminili, corpi GNC e corpi maschili? Non possono rientrare tutte le tipologie di genere purché abbiano una definizione di fisicità?
Il problema è che non si può giudicare nello stesso modo, ma queste differenziazioni stanno mettendo a disagio alcune persone».
Lampoon interviene: «Storicamente, con il “passing” [il termine con cui si determina se puoi passare fisicamente per cis] per eccellenza, era la l’ultima chiave, quella che ti poteva portare ad avere un partner o una famiglia, perché nel tuo corpo ti riconoscevi perfettamente, era proprio il punto finale per dire ce l’ho fatta cioè sono arrivata a completare la mia transizione».
E quindi come fai a canonizzare un corpo come gender non conforming? – si chiede Lampoon, «ci sono sfumature intermedie che non è facile distinguere perché non ci sono abbastanza persone che ne dettano i canoni.
Perché nel momento in cui entri una categoria e la cammini, sei tu che le dai una struttura. Quindi finché non c’è una rappresentanza che riesce a dare un segnale forte, rimane solo qualcuno che inizialmente entra in una categoria, che non è la sua, per gridare una necessità. Da lì a sviluppare l’impianto per giudicarla correttamente è un lungo percorso».
Ci raccontate un episodio memorabile da una vostra esperienza nella Ballroom?
Lampoon: «la mia è stata la Grand March fatta con la Kiki House of Campbell. Riguardando i video ho visto il mio inizio – si commuove – erano già 4 anni che mi allenavo ma non trovavo la mia dimensione. Ho capito di averla trovata solo quando ho incontrato le persone con cui viverla».
Alpha: «Il primo è stato quando ho camminato e vinto la categoria Runway davanti a un panel internazionale, in cui era presente una persona che è per me un’ispirazione e a cui volevo dimostrare qualcosa. Avevo lavorato da per due mesi al mio outfit, c’è stato molto lavoro anche di squadra, e alla ball ho ricevuto apprezzamento, riconoscimento e supporto, che non do per scontato. L’altro momento: quando sono stato annunciato come membro della Kiki House of Juicy Couture, perché KenJi (house mother) è per me un mentore, è la persona che mi ha introdotto alla ballroom e vedere che ha posto fiducia in me dandomi il nome della sua house è stato un momento molto importante».
Xaxa: «Io vengo dall’ hip-hop, dancehall, gli stili street. In quel contesto di gara ho sempre visto molta indifferenza, tranne quando è il proprio turno di competere. La ballroom è diversa, sono tutti lì fermi che guardano te e urlano per te. La prima volta che ho fatto Runway mi ha fatto capire che forse ero nel posto giusto ed ero davvero apprezzata anche se ero nuova».
Un consiglio da insider per chi vuole approcciarsi alla cultura ballroom?
Xaxa: «sicuramente il documentario Paris is Burning».
Lampoon: «la parte storica è importante, docu-film, libri, foto, testimonianze storiche da artisti, faccio un esempio Kit Haring faceva i trofei per le Ball, ma quella è una rappresentanza del passato, è diverso dal viverlo.
La cosa più utile è avvicinarsi agli spazi che concedono la diffusione della cultura, conoscere le persone che ne fanno parte e avere un rapporto con loro. Alle ball non ci capiti per caso, l’evento deve essere protetto, è un safe space che va mantenuto tale».
Alpha: «anche io la penso così, c’è poco di documentato e scritto, è una cultura molto orale, propagata dalle Icon, che si trasmette da persona a persona.
La cosa principale è avvicinarsi alle persone, chiedere, inserirsi nella community, però sempre con rispetto».
Questa sera KikiBolo torna al Centro Sociale della Pace, dalle ore 21. L’evento è a modalità ingresso offerta libera. Le donazioni andranno a coprire i costi di produzione della mostra Bolo Is Posing, organizzata in collaborazione con New Era of Queer Space, a cura di Vanessa Wellington, da Senape Vivaio Urbano.
Dal 25 febbraio al 14 marzo, in mostra trovate le fotografie che documentano l’invasione della cultura ballroom negli spazi pubblici e privati della città di bologna. Più nello specifico, verranno presentati gli scatti realizzati durante gli eventi di KikiBolo. Inaugurazione alle 18:30, tutti i dettagli a questo link.
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