...E Altre Storie

Vrums. Abbiamo provato la prima sala giochi in realtà virtuale d’Italia

18-12-2019

Di Pietro Romozzi
Foto di Stefano Triggiani

Sapevate che dallo scorso 29 novembre siamo entrati nel futuro?

Anzi, diciamola meglio: il futuro, questa cosa un po’ vaga che l’immaginario relega in qualche lontano laboratorio della Silicon Valley, si è fatto presente, per giunta proprio a Bologna, da Vrums.

Vrums (Virtual Reality Rooms Italia) è il primo centro in Italia per la divulgazione e la fruizione della realtà virtuale attraverso attività di team building, formazione, ricerca e intrattenimento.

Numerose le esperienze di edutainment, prevalentemente a tema artistico e scientifico, oltre 50 titoli visibili nelle sei postazioni cinema; poi c’è la parte gaming, che possiamo liberamente tradurre con “sala giochi in realtà virtuale”.

Un’offerta decisamente variegata, che pone un’atavica questione: da dove iniziare per raccontarla ai nostri lettori? 

Il gaming ci è sembrato un validissimo punto di partenza: eccomi dunque, nelle vesti di cavia-reporter, avanzare verso via Zaccherini Alvisi 8, sede di Vrums. Lì incontro Simone, il responsabile della comunicazione, che mi accompagna in un giro ricognitivo. Grigio e giallo fluo caratterizzano un ambiente fine e minimal, funzionalmente suddiviso per accogliere 10 postazioni interattive, due pedane di movimento e due simulatori. Decido di rompere il ghiaccio partendo da questi ultimi.

Basta indossare il visore per vedere la struttura tubolare del simulatore trasformarsi nel un telaio di una monoposto da F1 e la prospettiva spostarsi dentro l’abitacolo da dove ti sembra di poter toccare l’asfalto tanto è vicino. Sonoro eccellente, resistenza del volante e vibrazioni realistiche a ogni cordolo o nelle frequenti escursioni nella ghiaia a bordo pista, creano un’esperienza realistica al punto che il guidatore a uso civile che è in te ti dice di rallentare perché se sbandi poi vai a farti male. Il risultato è che ad Imola avrei girato più velocemente a piedi, ma l’adrenalina non è certo mancata.

Esco dall’abitacolo per farmi “imbracare” nelle pedane di movimento da Nicola e Marco, gli attentissimi tutor del centro. Visto quanto realistica sia l’esperienza e non avendo il coraggio tra le mie doti più spiccate, declino la horror story a favore di una diplomatica avventura diurna in una giungla di demoni, ma prima… bisogna imparare a camminare, letteralmente.

La pedana infatti registra lo scorrimento dei piedi del giocatore che diventano passi nel mondo virtuale. Hai come la sensazione di camminare nella sabbia: nulla di complesso, ma faticoso abbastanza da polverizzare lo stereotipo del videogioco come attività sedentaria.

Passo dopo passo intanto, mi addentro nella giungla mentre i joystick nelle mani replicano con esattezza impressionante il movimento di me che sbraccio per assestare mazzate a destra e a sinistra. Rispetto al simulatore di guida, la libertà fisica è totale: sulla pedana cammini, ruoti, ti guardi intorno e vedi ovunque quella giungla virtuale che dopo qualche minuto adotti come realtà di riferimento. Questi i casi in cui si parla di esperienza immersiva.

Emergo dagli habitat tropicali per sperimentare una postazione interattiva, stavolta portandomi dietro Stefano, il fotografo, che pensava di farla franca restando dietro l’obiettivo.

Le postazioni somigliano a camerini high-tech, dove si indossano visore e joystick; meno dinamico della pedana, ma non per questo meno coinvolgente.

Vogliamo farci mancare quattro schioppettate a un’orda di zombie? Nossignore! Eccoci dunque nel deserto, dove ritrovo Stefano che dopo il cambio d’abito virtuale ha un look a metà tra il cowboy e il rapinatore di banca.

Da quel momento in poi inizia un frenetico piroettare per capire da che parte arrivino gli zombie, accompagnato da gesti quanto più esatti possibile delle braccia per prendere bene la mira e premere il grilletto. Da fuori potrebbe sembrare una coreografia tecktonik non proprio riuscita; da dentro però, la partita si gioca a ritmo serrato, ed è veramente divertente.

Di certo, dopo l’esperienza in Vr (virtual reality), il concetto di sparatutto in prima persona è necessariamente ridefinito

Dopo questa serie di esperienze immersiva, mi serve un attimo per essere certo che Simone e la stanza dove siamo andati a farci due chiacchiere, non siano in realtà virtuale.

Subito mi viene da chiedergli come sia proporre la realtà virtuale in un paese come l’Italia dove la digitalizzazione procede con passo da bradipo.

“Servono coraggio e un po’ di incoscienza – mi dice – Si scommette sul concept di sala giochi, amatissimo negli anni ‘90, inserendolo però in un contesto più curato, come testimonia la cura degli arredi interni, oltre che di novità: portare qualcuno da Vrums significa mostrargli qualcosa di introvabile al di fuori di Bologna”.

Vrums è infatti un unicum nel panorama nazionale, e fuori dall’Italia?

Varsavia, Parigi, e anche Londra, dove l’amore britannico per il pub ha dato vita al Vr bar. 

In Us e in Canada, dove la sala giochi virtuale è molto più diffusa, l’esperienza in Vr si spinge oltre, realizzando “mega produzioni”, Simone riporta l’esempio della “Star Wars experience”, che vengono portate in giro per il paese in centri allestiti per la Vr.

Mi becco anche un’esclusiva: con una di queste case di produzione, la canadese Phi Centre, sono già stati avviati contatti per portare queste produzioni, altrimenti esperibili solo oltreoceano, al pubblico bolognese e italiano.

Allo stesso tempo sarà un’occasione per portare all’estero le produzioni italiane, realizzate proprio nel bolognese, su tutte la ricostruzione di Casa Malaparte, uno dei capolavori dell’architettura moderna non visitabile, e due documentari realizzati per l’Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica). 

Dunque anche dalle nostre parti qualcosa si muove, apprendo con piacere. Ma la mia natura scettica mi impone di approfondire anche il dark side della Vr. La tecnologia è potente, è chiaro, ma se da intrattenimento divenisse un distopico strumento di controllo o, peggio ancora, un’ulteriore dimensione di alienazione in una società che si può già definire atomizzata?

“Non vogliamo difendere la realtà virtuale a tutti i costi – premette Simone – La Vr è una risorsa e come tale deve essere guardata criticamente; in linea con questa filosofia, Vrums sta sviluppando un codice etico contro la ludopatia volta a tutelare quei giocatori che rischiano l’abuso”.

La Vr è una tecnologia ancora da scoprire e da valutare e non è necessariamente positiva in ogni suo aspetto. Da statuto, Vrums vuole essere anche un terreno di studio per questa tecnologia, evitando che si pieghi alle sole logiche di business e cercando invece un impatto positivo anche a livello sociale.

La mia incredulità si distilla in un’affermazione altamente tecnica: “mecojoni!”.

Approfitto dell’atmosfera più leggera per chiedere se anche lui si conceda qualche partitella ogni tanto, scoprendo invece il suo lato umanistico, dall’amore per la lettura all’insegnamento della scrittura creativa. 

La Vr è una passione che si lega al suo amore per le storie, e in effetti una tecnologia così apre modalità di narrazione di intensità difficilmente raggiungibile con altri mezzi. Simone accenna anche a un film scritto da lui e ambientato a Casa Malaparte; chissà che presto non lo vedremo da Vrums.

Condividi questo articolo