«Tanto suona sempre il barrio», direbbe Mahmood.
Non ci è dato sapere a quale si riferisca il cantante per motivi di privacy, ma fate conto che a Bologna, se c’è un barrio, ovvero un quartiere, che suona sempre e anche bene, quello è proprio il quartiere San Donato.
Lungi dal volerlo etichettare come una piccola New York che non dorme mai, sia chiaro, ma volendo al tempo stesso smontare l’idea che moltissimi – bolognesi e non – hanno di San Donato, al pari di Gotham City, è proprio il caso di sottolineare che, dal 2013, grazie alla presenza del Mercato Sonato l’intero quartiere vive una stagione di notevole rigenerazione urbana e soprattutto culturale e sociale.
Da ex mercato rionale del quartiere San Donato / San Vitale di Bologna al civico 3 di via Giuseppe Tartini, appena alla fine del ponte di via San Donato, gli spazi che attualmente rispondono al nome di Mercato Sonato nel 2015 sono stati assegnati dal Comune all’Associazione Senzaspine, una delle realtà vincitrici del bando Incredibol! 2014 di Palazzo D’Accursio che premia le realtà culturali e creative made in Bologna.
A livello nazionale ed europeo, il progetto di rigenerazione urbana e culturale che ha portato alla creazione del Mercato Sonato è un unicum nel suo genere, proprio per essere il primo spazio pubblico in Italia interamente autogestito da un’associazione che è anche un’orchestra giovanile, l’Orchestra Senzaspine, appunto. Autofinanziata per i primi due anni di vita, oggi gode del contributo FUS del MiBAC, ed è riuscita a instaurare sin da subito un fitto network di collaborazioni e partenariati con numerose realtà culturali e del Terzo settore, oltre che con associazioni culturali e collettivi artistici.
Il Mercato Sonato oggi è un circolo Arci, nonché centro polifunzionale. Un teatro urbano che è luogo d’incontro, di scambio e di creatività dove a essere condivise sono la cultura e la musica in ogni loro forma e in modo inedito, dinamico e originale. Riesce a calamitare un pubblico non ben definito di adulti, bambini e ragazzi grazie alla presenza in calendario di eventi che spaziano da concerti a laboratori e workshop di ogni tipo. Ma è soprattutto la casa e la sede dell’Associazione e Orchestra Senzaspine, anima e cuore pulsante del Mercato, che porta avanti l’obiettivo di mettere il focus sulla musica classica e sui giovani, che al Mercato Sonato trovano un loro spazio nella giungla urbana bolognese. Ma dà anche spazio alle sperimentazioni ponendo l’accento sull’espressione della creatività, partendo dalla trasformazione di uno spazio pubblico di periferia e creando un quid di valore per l’intero quartiere e per la città.
L’intera programmazione di concerti e dj set, curata anche quest’anno dall’Associazione Gentle Freak Bros, dà infatti vita a un cartellone variegato di eventi dove il baricentro è il dialogo interculturale, l’impegno sociale, il rapporto sempre più saldo con il quartiere e i momenti di incontro e scambio tra arti e generi musicali differenti.
L’Orchestra Senzaspine ad oggi conta oltre 450 musicisti under 35 e, in formazione variabile, ha all’attivo oltre 400 eventi musicali e vanta collaborazioni con solisti di fama internazionale.
L’idea è nata nel 2013 da due amici, i giovani direttori Tommaso Ussardi e Matteo Parmeggiani, attuali presidente e vicepresidente dell’associazione, che si sono prefissati sin da subito una missione alquanto ambiziosa: da un lato riconsegnare e far arrivare la musica classica ad un pubblico maggiore togliendola quindi dalla nicchia, dall’altro guidare i giovani orchestrali verso opportunità professionali nel settore musicale e verso la possibilità di approcciarsi e confrontarsi con il repertorio sinfonico della tradizione e con il suo fascino.
La cifra stilistica che contraddistingue l’Orchestra Senzaspine è senza dubbio l’approccio “pop”, tanto semplice quanto coinvolgente, che attualizza l’eleganza della tradizione attraverso la fortunata formula del “concerto-spettacolo”, con il preciso intento di eliminare i pregiudizi che si trascina dietro la musica classica. Seguendo questa loro precisa filosofia di vita e di musica, a ormai sette anni della loro fondazione, i Senzaspine hanno avuto successo nel loro intento di stravolgere stereotipi e hanno avviato una piccola grande rivoluzione nella percezione comune della musica classica. Inaugurando la prima stagione al Mercato Sonato nel 2016, già con il lancio della seconda stagione nel 2017 ha visto la luce anche la Scuola di Musica Senzaspine, nata in collaborazione con l’Associazione MusicaPer con il preciso intento di diffondere in modo accessibile lo studio della musica classica anche tra i più piccoli.
Altra loro caratteristica è la promozione concreta dell’incontro e della cooperazione tra le diverse discipline artistiche – il che rende il Mercato Sonato una sorta di tempio delle arti – e la commistione tra i generi musicali. È proprio seguendo questa visione eclettica dell’arte e della musica che ha permesso loro di svolgere numerose attività formative e laboratoriali dedicate a tutte le fasce di età e le iniziative volte ad avvicinare i neofiti alla classica.
Attività che vanno dai percorsi di ascolto, alfabetizzazione musicale e corsi di armonia e composizione, passando per il flash mob Conduct us, il Coro degli stonati e la formula del Social Concert, senza dimenticare il lancio della prima edizione di ClassXfactor nel 2017, concorso nazionale per giovani solisti classici, fino all’ormai consolidato appuntamento del mercoledì CLASSICAdaMercato, con lezioni concerto, musica da camera e sinfonica, prove aperte e aperitivi musicali, un evento in cui il costo del biglietto viene deciso dal pubblico, in modo da rendere più accessibile la musica.
Non solo un largo consenso di pubblico cittadino ed extraurbano, ma anche importanti riconoscimenti nazionali per i progetti dell’associazione. Lo scorso anno, l’Orchestra Senzaspine è stata inoltre partner del progetto internazionale Silent city nell’ambito del programma ufficiale di Matera capitale europea della Cultura 2019.
Tutto sommato, quella dell’Orchestra Senzaspine e del Mercato Sonato è diventata a tutti gli effetti una “favola di periferia”, se così possiamo definirla. Una scommessa, una piccola grande avventura che, partita dal quartiere San Donato, sta acquisendo, di evento in evento, sempre più ragione d’essere.
Dal passato al futuro, abbiamo fatto due chiacchiere con il direttore Tommaso Ussardi:
Da dove nasce esattamente l’Orchestra Senzaspine?
«Nasce dopo una sbronza con un caro amico pianista, in un momento di goliardia post diploma al Conservatorio ho promesso di trovargli un’orchestra e memore dell’esperienza giovanile in band punk-rock ho fatto come si faceva una volta: telefonare e cercare una cover band che eseguisse la famosa quinta di Beethoven e Liszt.
Il nome nasce da un’altra esigenza e consapevolezza. Dopo un’adolescenza molto lontana dagli stilemi classici, verso i 17-18 anni ho scoperto il patrimonio del classico e percepivo la stessa energia dei gruppi più strong dei miei ascolti, e quindi ho cercato di raccontare quelle emozioni ai miei amici più stretti. Non serviva un’educazione per avvicinarcisi, serviva ascoltarla, mettersi a servizio della musica. Anche quelli più ostici in pochi minuti sono rimasti folgorati!
La musica classica è musica del passato, così come quella degli anni 70 e 90. Cambiano gli strumenti, ma sono semplicemente mezzi d’espressione, il bollino di musica classica è un po’ fasullo, e il nome nasce da questo: togliere gli stereotipi e far sì che tutta l’arte classica venga resa accessibile al grande pubblico, senza che nessuno abbia paura di toccarla, non ci si può far male, si può solo rimanerne stregati. E a quel punto si è bisognosi di doverla fruire costantemente, tutti i giorni… una droga insomma!
Dietro quest’anima goliardica c’è di più.
La parte seria di questa scelta nasce dalla necessità da parte di musicisti usciti dal conservatorio di dare un senso alla loro funzione sociale. Dentro il conservatorio sei protetto e coccolato, quando esci non sei nessuno, non servi a nessuno, nessuno considera essere musicista un lavoratore dello spettacolo. Ho cercato di raccogliere le necessità di un musicista e quindi la prima vera sfida era quella di riconquistare un pubblico. Dovevamo trovare le strategie per riempire le nostre sale. Ho chiesto una mano a Matteo Parmeggiani, caro amico con cui ho iniziato questo percorso a livello direzionale, costituendo un’associazione e iniziando a ragionare in termini imprenditoriali, perché quella è stata la vera svolta, iniziare a ragionare come una start-up, con tutti i pro e i contro».
Qual è stata la strategia dietro al funzionamento di questa start-up?
«Una delle esigenze era togliere il contenitore, ovvero il teatro che purtroppo fa paura, e portare la gente a confrontarsi con il linguaggio classico come con qualsiasi altro linguaggio. Abbiamo avuto la fortuna di vincere dei bandi e avere assegnato questo ex mercato rionale, la casa della musica, dove la classica fa da perno, ovvero si pone al centro, infatti tutti i mercoledì c’è una rassegna di musica da camera, senza però togliere spazio agli altri generi musicali. È diventata una gestione di un locale, e generando della sostenibilità, noi siamo diventati operatori culturali che gestivano una spazio, e abbiamo potuto reinvestire nel nostro settore».
Come avete vissuto il periodo di chiusura forzato?
«Ci sono state fasi discordanti, nella primissima fase volevamo ripartire con la programmazione, e con il blocco forzato, io mi sono chiuso nella mia stanza, senza pensare al domani, era davvero tutto buio, non era il momento di cercare soluzioni era il momento di pensare a se stessi.
Ho visto che un po’ tutti, al di là della classica video call, hanno reagito così. Dopo Pasqua c’è stata una sorta di resurrezione, io personalmente ho iniziato a spingere in termini positivi perché mi ero stufato di questo pessimismo e mi sono detto: cerchiamo di abituarci ad una nuova normalità, poi se tutto torna come prima ben venga, ma adesso cosa possiamo fare? Come possiamo essere creativi e artisti? E creare del bello da una situazione terribile? Ci stiamo provando.
Abbiamo rispolverato i concerti del passato con la rassegna “sul tuo schermo”, e dopo, grazie allo stimolo di vari operatori con cui collaboriamo, è nata la possibilità di creare un canale digitale, un mini studio da cui è nato il Mercato Senzaspine».
Qual è stata ad oggi la sfida maggiore?
«Farlo senza investire un euro. È stato un lavoro di gruppo e volontario, con la partecipazione dei nostri collaboratori, è stata una volontà di continuare a resistere. Dall’altro lato coinvolgendo artisti. Riconoscere un gettone di valore all’artista significava riconoscere un valore a chi stava lavorando dietro le quinte e quello non potevamo permettercelo, e quindi questa è stata la sfida più ardua.
La sfida per il futuro è rendere sostenibile la digitalizzazione e quindi monetizzare sullo streaming. Stiamo valutando diverse strade e crediamo che il grande passo sarà sensibilizzare il pubblico e quindi toglierci dalle piattaforme mainstream come Youtube, per esempio, dove per monetizzare devi essere un influencer e avere centinaia di migliaia di visualizzazioni. Sono numeri che a noi neanche interessano.
Stiamo cercando di mettere in piedi strategie per sensibilizzare anche il territorio ad investire nella cultura a km 0, fatta dal proprio vicino di casa e fruita dal territorio stesso anche in digitale, non per forza chiudersi in casa a guardare Netflix, ma far sapere che c’è un fermento culturale che si propone anche digitalmente. L’idea è: spendi in maniera consapevole, e quel contributo serve a creare sostenibilità. Questa consapevolezza manca, sembra che lo streaming debba essere un bene pubblico, però dietro non si ci pensa alla filiera dell’arte dello spettacolo, speriamo di essere capaci di sensibilizzare il nostro pubblico e non solo, in generale, anche gli altri operatori».
Come vedi questa evoluzione verso la ripartenza generale?
«C’è un ottimismo necessario. Se aprono le chiese per fare la messa non possono tenere i teatri chiusi. Questo crea un grande scompenso, perciò questa apertura (dei teatri) del 15 giugno è una questione politica. La volontà di ripartire c’è da parte di tutti, la gestione dei costi è la problematica, la diminuzione della capienza e le dotazioni di personale e sicurezza da prevedere, per rispettare queste normative tanto fumose quanto di facile re-interpretazione, crea molta confusione per gli operatori culturali che non sanno bene come spingere né da un lato né dall’altro per investire, progettare e spendere energie per dei progetti.
Dall’altro lato il grande problema sarà portare le persone nei luoghi al chiuso, purtroppo le persone hanno paura, vedo troppa fobia nel contatto sociale oggi. Bisogna motivare il pubblico con forme di incentivo a ritornare negli spazi, magari con partnership con altre realtà, fare scontistica attiva, trovare rete nel territorio. Per fortuna noi siamo affiliati all’Arci, la forza di Bologna sta proprio nel creare una rete che possa andare in queste direzioni e far sì che lo spettacolo dal vivo e lo spettacolo sul territorio riesca a rimanere in vita».
Ci fai un bilancio per il settore musicale e come sarà questa estate bolognese 2020?
«È difficile progettare in questo senso. Sarà necessario ripensare agli spazi fisici e ripensare che cosa sia la cultura e lo spettacolo dal vivo nell’era post-pandemica.
Prima si andava ai concerti anche per un atto sociale di condivisione dello spazio, di spensieratezza… andiamo a berci una birra! Oggi diventa un atto di forza e coraggio, ci dobbiamo andare con le mascherine e ci rilevano la temperatura con il termo-scanner, l’atto sociale diventa quasi militare, bisogna sensibilizzare le persone su quanto l’arte sia fondamentale nella nostra vita. Immagina se avessi tolto dalle quarantene tutti i libri, tutti i film e la musica, se avessi tolto l’arte, della quarantena non sarebbe rimasto che un muro bianco da guardare. L’arte della tua città deve vivere, e quindi l’atto di frequentare i luoghi dell’arte diventa un atto di sensibilità, per mantenere vivo questo settore.
Sarà un’estate basata sui piccoli eventi e piccoli gruppi, pensiamo all’acustica, questo spettacolo che rapporto deve avere? Un operatore sta a dieci spettatori paganti. Una grandissima questione è legata al mondo del lavoro. La musica ha una grandissima crisi di identità, in questo stop ci si è resi conto di quanto poco tutelati siano i musicisti, non perché manchino le regole, ma perché i musicisti stessi non hanno idea della loro condizione lavorativa e gli stessi gestori non sanno – o non vogliono sapere – che i musicisti sono lavoratori, o comunque c’è un’ingenuità, ignoranza. C ‘è bisogno di una presa di coscienza, di chi è professionista e di chi è amatore, senza nulla togliere all’ amatorialità della produzione culturale. Ma c’è tutta una fetta di persone che devono vivere in termini professionali di questo settore. C’è bisogno di dare incentivi ai lavoratori».
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