Margherita Marvasi: bolognese, classe 1970, vive tra Bologna, Berlino e Zanzibar. Si definisce nomade, ed effettivamente basta guardare alla sua geografia personale per chiedersi se la definizione “cittadino del mondo” non sia stata modellata su di lei.
Scrittrice; la raggiungiamo in occasione del suo terzo libro La versione borghese dell’amore (Giunti Editore). Nella cornice di Pantelleria, ha luogo una saga familiare attraverso cui l’autrice esplora le turbolenze celate dietro la patina del matrimonio, riflettendo sulla forza e sulla dignità dell’(im)perfetto amor borghese.
Sei nata a Bologna, ma vivi e lavori in giro per il mondo, soprattutto Africa e Asia. Sei giornalista (l’Espresso), scrittrice, ma anche imprenditrice con il tuo brand MAGÒ – East Africa. La versione borghese dell’amore è il tuo terzo libro. Come sei arrivata, attraverso un percorso così singolare, alla narrativa?
«Oltre alla carriera da giornalista ho sempre scritto, ma per me stessa. Capitava spesso che raccontando dei tanti viaggi e della mia vita a Zanzibar il commento tipo fosse “ma che figata!”; beh, mica sempre! Così ho pensato a un memoir, Zanzibar è una bugia, proprio per raccontare l’altra faccia della cartolina tropicale.
Qualche tempo dopo, quando stavo per trasferirmi ad Hong Kong, ricevo da Giunti un rifiuto, forse il più cortese della storia dell’editoria, per un mio scritto: il mio stile era piaciuto ma la storia non interessava l’editore che mi chiese se avessi altro da proporre. Scoppia il COVID, salta il trasferimento ad Hong Kong e colgo allora l’occasione per mettermi a lavorare su La donna drago, ambientato proprio ad Hong Kong, poi pubblicato da Giunti.
Arriviamo al 2021, anno in cui ho deciso di prendermi una pausa da tutti i miei viaggi per tornare a Pantelleria, nel dammuso di famiglia che negli anni avevo un po’ trascurato. Tornare in uno dei luoghi dove sono cresciuta e incontrare gli amici di una vita è stato un salto nel tempo, mi ha molto suggestionata. Io, portatrice di una vita un po’ scombussolata e loro, con vite più ordinate, molto più legate all’isola; da questo confronto probabilmente è nato La versione borghese dell’amore che essenzialmente è la storia di una famiglia che nonostante ne accadano di cotte e di crude, resiste e resta unita».
Tra le cotte e le crude c’è un triangolo amoroso (non conta come spoiler visto che lo scopriamo dalla seconda di copertina), che si intreccia in una più ampia saga familiare, con Pantelleria a fare da sfondo. Quello della saga familiare, specie con il sud Italia come ambientazione, è un tema che sta godendo di particolare fortuna, penso alla quadrilogia della Ferrante in testa alla lista dei 100 libri del secolo del New York Times, o al grande successo de I leoni di Sicilia. La versione borghese dell’amore si inserisce in questo filone?
«Faccio una premessa: quando è uscito La donna drago mi domandavo se potesse diventare una serie TV, e in effetti qualcosa di simile è stato fatto con Expats co-prodotta e interpretata da Nicole Kidman, ambientata sempre ad Hong Kong. Il problema, mi dissero, è che gli italiani ad Hong Kong non se li fila nessuno; agli autori internazionali interessa una storia “di casa”, italiana, anche a costo di ripetere certi stereotipi come assecondare la wave delle storie un po’ “sfigate”, spesso in contesti depressi e provinciali.
Io avevo invece in mente un contesto altoborghese, luccicante; ma il vero elemento di originalità che ho cercato è nello stile, nella voce narrante; la storia di fatto la anticipo nelle prime 15 pagine e non ho voluto inserire a tutti i costi dei colpi di scena.
La voce narrante che resta voce, non è un personaggio, ed è quella di una donna che gira il mondo, che ha una vita amorosa del tutto diversa da quella borghese – un po’ mi somiglia. Il suo confrontarsi con la storia borghese e “locale” inserisce nella narrazione un punto di vista diverso e lo trovo un elemento fresco, interessante, sul quale infatti sto ancora lavorando in un altro scritto».
Ne La versione borghese dell’amore i personaggi femminili sono molto forti, capaci di ribaltare lo stereotipo borghese e patriarcale pur non compiendo azioni eclatanti o rivoluzionarie. Qual è il ruolo della femminilità nel tuo libro?
«Mi interrogo molto sulla femminilità e vorrei in effetti proporre e trattare sempre di più dei nuovi modelli femminili. Io sono nata negli anni ‘70 e crescendo mi guardavo intorno senza trovare dei modelli di riferimento; gli uomini hanno da Giulio Cesare a Kant mentre noi donne mi sembrava dovessimo sempre rinunciare a qualcosa. Volendo fare la giornalista, a quei tempi guardavo alla Fallaci, un mega personaggio, eppure sentivo nell’ambiente che frequentavo dei commenti misogini mostruosi, che ne sminuivano la figura; questo nonostante Bologna fosse un contesto molto progressista. Probabilmente spaventava la sua femminilità un po’ guerriera.
Da qualche anno vedo più figure femminili forti, anche in letteratura, e vorrei che anche i miei personaggi siano percepiti in questo modo. Poi Penelope (protagonista del romanzo, ndr) non è, appunto, rivoluzionaria però ha una certa “scorza” e la voglia di affermare il suo pensiero e i suoi sentimenti anche restando un po’ travolta dalla quotidianità. Lei è una donna del suo tempo».
Arriviamo alla domanda ovvia quanto cruciale: come definisci l’amore nella sua versione borghese e non?
«La versione borghese è riuscire a portare avanti la promessa (in riferimento al matrimonio dei protagonisti, ndr) nonostante tutto. Il senso del romanzo sta nel fatto che non esistono amori perfetti, l’unica perfezione è la volontà che li fa resistere al tempo. È un punto di vista un po’ conservatore, ma a suo modo funziona. Dall’altra parte c’è l’amore nella sua versione contemporanea che è consumista: non siamo disposti a fare compromessi, ci dicono anzi che è più sano gettare la spugna se una relazione non va come ti aspettavi, di cercare altro anziché restare lì ad avere pazienza, ad ingoiare qualche rospo. Questo è il trionfo dell’innamoramento, ma non dell’amore. L’amore presuppone il tempo, la presenza, il confronto, le radici; tutto questo, oggi, è molto fragile».
È lecito dire che fai un po’ il tifo per l’amore borghese?
«Vedi, oggi nel momento in cui non senti più i “friccichini” vai a trovarti qualcosa di nuovo che pensi ti possa risolvere. Spoiler: non ti risolve mai! Semplicemente ricominci da capo, però nessuno ce lo racconta!
L’amore borghese si concretizza nel matrimonio e chi si sposa, intendo chi ci crede veramente, ha una forza della quale solo da poco mi sono resa conto – considera che io mi sono sposata due volte e tendo a stufarmi un po’, ad essere irrequieta. Negli anni ho rivalutato la bellezza della costruzione, del mantenere la relazione, la dignità di tutto questo mi ha incantata al punto di farmi venire la voglia di scriverci sopra, è qualcosa che avrei voluto anche per me.
Poi non tutti devono farsi una famiglia eccetera, ma quelli che se la sono fatta, che l’hanno mantenuta, anche facendo buon viso a cattivo gioco per restare insieme per me hanno vinto!».
Per ora abbiamo parlato d’amore, ma nel romanzo c’è anche tanto sesso…
«… ce ne potrebbe essere di più!».
Vero anche questo! Ma vorrei chiederti che funzione ha il sesso nel romanzo?
«Sai, un’altra cosa che non vedo nei romanzi italiani contemporanei è il sesso. Il sesso è sparito, nessuno scrive più di sesso: tutti intimoriti da quanto possa essere banale l’argomento. Io con una scena di sesso ho iniziato il romanzo e credo serva a creare un’atmosfera più sensuale, più coinvolgente. Del resto ci pensiamo continuamente e poi non ne scriviamo?».
Saprai che About ha una vocazione territoriale bolognese, volevo approfondire il rapporto che hai con Bologna e se del tuo rapporto con la città si possano trovare tracce nei tuoi scritti…
«In questo momento ho uno strano rapporto con Bologna… Bologna è il luogo dove sai che non può succederti nulla di male, e poi è un luogo “facile”, basta una ventina di minuti per andare da una parte all’altra della città; tutto questo la rende appetibile, quasi troppo confortevole. Però ho vissuto sempre lontano da Bologna e mi sembra che, negli anni, la città non sia cresciuta con me, di essermi persa alcuni riferimenti e situazioni.
Sono abituata a vivere in luoghi strampalati, tra nomadi e expat; ecco, l’ordine di Bologna, la sua struttura, a volte mi fa un po’ impressione, come una bella giacca ma che indossandola un po’ ti punge. Ne sto scrivendo comunque…».
Facciamo un’intervista ad agosto, su un libro ambientato a Pantelleria; immagino che nella mente dei nostri lettori sia già materializzata da un pezzo l’immagine del mare. Quali libri ti porterai sotto l’ombrellone?
«Ho finito da poco Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini e ho scoperto Gianluca Gotto, che conoscevo ma non pensavo fosse nelle mie corde, e invece mi ha molto emozionata. Sto leggendo un libro di Rampini sull’Africa, La speranza africana, e L’albergo delle donne tristi di Marcela Serrano».
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