Visual

“L’uomo resta l’essere più stupido di questo mondo”. Afghanistan di Francesco Cito in mostra a Closer

08-03-2019

Di Laura Bessega

Francesco è napoletano. Ha una folta barba bianca e sembra che ti osservi anche quando non ti sta guardando. Forse sono le tante guerre che ha attraversato e documentato che gli hanno fatto crescere, come gli insetti, due antenne. O forse sono quei 1200 chilometri a piedi tra le montagne dell’Afghanistan insieme ai combattenti mujaheddin cercando di schivare gli attacchi russi, ascoltando ogni piccolo rumore nel cielo e sentendo gli elicotteri farsi sempre più vicini.

Il 9 marzo alle 19 da Senape Vivaio Urbano inaugura la retrospettiva Afghanistan del fotografo due volte vincitore del World Press Photo Francesco Cito per la terza edizione di Closer – Dentro il reportage, il festival dedicato alla fotografia sociale (vi abbiamo raccontato il programma qui). Sempre il 9 marzo, alle 18, sarà invece ospite da Qr Photogallery, in via Sant’Isaia 90, per un incontro aperto al pubblico.

Ph Francesco Cito | Lebanon, Beirut a girl on the beach

Un racconto di immagini e viaggi durato dieci anni, tanti quanto la prima guerra afghana (1979-1989). Mi sono sempre chiesta cosa ci si porta dentro dopo anni di conflitti, come si sopravvive a casa dopo il rumore delle bombe e quei corpi straziati, che non hanno avuto la possibilità di invecchiare e ammalarsi.

“Finito il lavoro, cancello tutto. Ritorno a casa e tutto torna come prima”, mi dice. Credo che sia il solo modo per sopravvivere, mi dico io. “L’unico stress che ho avuto è stato dopo la mia prima esperienza in Afghanistan. Avevo la psicosi degli elicotteri”.

Nel silenzio più assoluto, a piedi tra le terre brulle, improvvisamente gli veniva preso per il braccio e tirato: “Ripariamoci! Nascondiamoci!”. Ma Francesco non sentiva nulla. Provava a tendere l’orecchio, ma niente. I guerriglieri sentivano il rumore delle pale che giravano cinque minuti prima di lui. Cinque minuti in guerra sono davvero tanti.

“Quando sono tornato in Europa, vivevo a Londra, nel quartiere di Chelsea, proprio sul corridoio che porta all’aeroporto di Heathrow – continua Cito – Spesso passavano gli elicotteri di mattina. Io dormivo e ogni volta che li sentivo saltavo di colpo giù dal letto”.

Ph Francesco Cito | Lebanon Beirut Green Beach US Base, 1984

In un’intervista hai detto: “mi attrae l’uomo in tutte le sue forme. Difficilmente ho delle fotografie dove non ci sia la presenza dell’uomo”. Dopo tutti questi anni passati a fotografare le situazioni più disparate, il dolore e la durezza della guerra, la precarietà, l’estrema gioia dei matrimoni, l’eccitazione del Palio di Siena. Cos’hai capito dell’uomo?

“Resta comunque l’essere più stupido di questo mondo perché potrebbe vivere tranquillamente in pace e in armonia invece cerca sempre di rendersi la vita difficile nonostante non sia necessario. Ha avuto un’esperienza di millenni e ripete sempre le stesse cose. L’hanno imparato perfino gli animali che dopo che si sono saziati, non vanno a infierire sull’animale più debole. Il leone non ammazza per gratuità ammazza per necessità”.

Ph Francesco Cito | Palestinien Popular Army, 1989

Cosa ci può raccontare oggi la tua mostra sull’Afghanistan per aiutarci a capire l’attuale guerra in corso e la guerra in Siria?

“Da un certo punto di vista non è cambiato quasi nulla ma da un altro aspetto è stato l’inizio di tutte le tragedie. Quando ci fu l’invasione sovietica in Afghanistan c’era ancora la guerra fredda e i due blocchi contrapposti. Gli americani presero un po’ la palla al balzo per vendicarsi di quello che era stato l’apporto sovietico nella guerra del Vietnam. Dissero che i russi cercavano di raggiungere l’oceano Indiano attraverso l’invasione dell’Afghanistan. Questo discorso però non regge perché tra l’Afghanistan e l’oceano Indiano ci sono due nazioni: Pakistan e l’India. Il primo era alleato degli Stati Uniti e il secondo era nella sfera sovietica.

Cosa hanno fatto gli americani? Non potendo partecipare direttamente al conflitto, hanno iniziato ad armare una parte degli afghani ma hanno mandato anche gli arabi che, nonostante professino la stessa religione, non hanno nulla a che vedere con questi. E che, alla fine della guerra negli anni ’90, sono rimasti nel paese, bene armati. Poi è scoppiato il famoso conflitto dei Balcani e lì sono andati a combattere quelli che avevano combattuto in Afghanistan. Oggi se vai a Sarajevo ti ritrovi in Arabia Saudita. Finita la guerra, si sono spostati e hanno cominciato ad andare a rompere le scatole da altre parti finche è scoppiata la Siria”.

Ph Francesco Cito | Afghanistan, A boy & AK 47, 1980

Sei stato in guerra, in tante guerre: Afghanistan, Libano, Palestina, Kosowo, Kuwait, Arabia, Bosnia. Cos’hanno in comune?

“In comune hanno purtroppo tutte insieme la tragedia delle vittime innocenti, che sono sempre i bambini. In tutte sono sempre i bambini che poi ci rimettono la vita”.

Non riesco a non vedere il corpicino di Aylan Kurdi, riverso sulla spiaggia con la maglietta rossa leggermente sollevata e le onde che gli accarezzano inutilmente la pelle. Simbolo di una strage silente. Non riesco a a non pensare a un’altra guerra, quella nel Mediterraneo, che nessuno chiama guerra perché si muore da una parte sola.

Francesco concorda: “Forse è anche peggio. Ogni volta che c’è un conflitto in corso, ci sono due parti che si scontrano e c’è spesso una parte inerme. Tra quelle a cui ho assistito forse la Palestina è quella che mi ha lasciato più segni in assoluto. Ti sale la rabbia vedere soprusi gratuiti, vedere l’impossibilità di poter reagire con gli stessi mezzi. Ci meravigliamo quando sentiamo parlare di kamikaze, ma nella prima intifada non esistevano. Sono iniziati ad esistere nella seconda. Sono quei bambini di 6 o 7 anni che hanno visto maltrattare i loro genitori e sono cresciuti con l’odio. Poi c’era sempre qualcuno dietro pronto a manovrarli”.

Ph Francesco Cito | Siena, Palio: i contradaioli del Nicchio entrano in piazza

Non tutti odiano nei conflitti. Mi racconta di aver trovato anche molta poesia, più in un contesto di guerra di quanta non ne abbia trovata altrove. “Sono in Libano. Davanti a me un ragazzino, avrà avuto 13 o 14 anni. In mano aveva un fucile più grande di lui. Stava combattendo. Mi guarda e vede che lo guardo. Mi si avvicina. Si mette le mani in tasca, tira fuori delle caramelle e me le offre. Lui a me. Sarebbe dovuto accadere il contrario. Poi ha voltato le spalle ed è tornato a combattere”.

Ph Francesco Cito | Lebanon, Beirut: the italian sailors, 1984

Come si riesce a entrare in certi ambienti e fotografarli?

“Ci sono due componenti che devi mettere insieme, l’umiltà e il rispetto. Il rispetto per gli altri, per quelli con cui ti dovrai rapportare, anche se vanno contro le tue ideologie e contro il tuo modo di essere, devi sempre rispettare gli altri per come la pensano perché non è detto che il tuo modo di guardare sia quello giusto e il loro sia sbagliato”.

Ph Francesco Cito | Palio di Siena 2003

Gli chiedo se non avesse fatto il fotografo cosa avrebbe fatto. Io riesco a pensarlo solo con una fotocamera in mano. Non mi aspetto certo che mi risponda che la sua prima aspirazione, il suo sogno da bambino, fosse diventare prete.

“Questo desiderio è cambiato il primo giorno di scuola perché mi hanno mandato dalle suore. Avevo fatto la pipì a terra e mi diedero dieci forti bacchettate in mezzo alla mano. Mi passò subito la vocazione”. Scoppio a ridere. Penso che per andare in giro per il mondo a documentare le guerre, mettendo a repentaglio la propria vita, una certa vocazione gli deve essere comunque rimasta.

Ph Francesco Cito | Napoli: Cavalli in allenamento per corse e scommesse clandestine 1985

Condividi questo articolo