Mai Annoiata è stata probabilmente Marcella Di Folco durante la sua straordinaria vita ed è anche il titolo del libro che avrebbe voluto scrivere. Attivista politica trans, inizia la carriera di attrice per registi come Fellini, Rossellini, Antonioni, Zeffirelli. Ma chi era davvero Marcella Di Folco, e come ha influenzato la storia dei diritti transgender in Italia? La risposta emerge dalle pieghe di una memoria collettiva che trova in Bologna il suo zoccolo duro e nel podcast Mai Annoiata un racconto sincero e corale, a cura di Federico Fabiani e Francesca Sciacca.
Come nasce l’idea di questo podcast?
«In modo casuale. Io e Francesca avevamo già lavorato insieme a un altro podcast: Dammi il tiro. Un giorno abbiamo letto la notizia che il Comune di Bologna aveva appena inaugurato la piazzetta di Marcella di Folco e ci siamo chiesti: ma chi è?
Abbiamo scoperto una storia interessante e poco conosciuta in città, legata a doppio filo con il MIT – Movimento d’Identità Trans, realtà che esiste ancora oggi e ha una linea di continuità con la vita di Marcella. Ci siamo resi conto che, non solo la sua storia non era stata mai veramente raccontata, se non sporadicamente tramite Simone Cangelosi e qualche altra narrazione, ma anche che quella del movimento non era mai stata messa in fila. Solitamente gli approcci standard a questo tipo di storie sono quello sensazionalistico o quello personale. Si fatica a trovare una narrazione corale, quella cioè di un movimento.
Marcella riesce a fare proprio questo. Grazie a lei tante individualità emarginate sono riuscite a diventare una comunità. E anche se non è stata la primissima attivista, è stata in grado di far fare al movimento un salto di qualità, politico. È per questo che il MIT esiste ancora oggi».
A latere della storia di Marcella Di Folco c’è quella del movimento trans in Italia. Mai annoiata è molto di più di una biografia. Travalica la persona, è testimonianza di un pezzo della storia italiana. La vita di Marcella non può prescindere dal contesto trans e il contesto trans non può prescindere dalla vita sociopolitica di quegli anni e dei suoi protagonisti. Allora ti chiedo, quali sono le tappe più significative, secondo te, che sono state raccontate in questo podcast?
«Sicuramente la storia di Romina Cecconi è stata molto importante, non solo perché era importante la sua testimonianza…».
Chi è Romina Cecconi?
«È stata una delle primissime persone che si è vista riconoscere la riassegnazione anagrafica del sesso dieci anni prima che in Italia ci fosse una legge.
È una pioniera. Si è fatta tre anni di confino, dal 1968 al 1971, solo per essere stata se stessa. È ancora viva e abita qui, a Bologna.
Ed è evidente che la sua storia sia molto importante. E anche molto curiosa.
Molte persone che ascoltano la serie sono straniate dal fatto che la prima puntata sia quasi interamente dedicata alla sua vita».
Perché questa scelta?
«Perché la sua vita si intreccia con quella delle persone trans in Italia negli anni ‘50 e ‘60. Fa capire bene cosa significasse essere trans in quei anni ed è una cosa abbastanza rara poter avere una persona vivente che lo racconti».
Questo podcast quanti anni comprende?
«Marcella muore nel 2010, quindi sicuramente arriva fino al 2010, ma in realtà anche fino ad oggi».
Perché ci sono le testimonianze dirette.
«Sì, esatto. C’è Porpora. La sua storia è quasi la continuazione naturale di quella di Marcella».
Un’eredità.
«Siamo partiti raccontando una persona ma man mano che si componevano le tessere, usciva sempre il legame con questa città. Dopo la morte di Marcella, Porpora è stata presidente del MIT e attualmente è Consigliera Comunale. C’è Romina Cecconi. Non è una caso che queste persone siano a Bologna. Questa città è diventata la più trans-friendly d’Italia. Abbiamo intervistato la Cecconi perchè era l’unica che ci poteva raccontare gli anni ’50 e ’60 da persona trans al contrario di Marcella, che fino ai 40 anni, lo nascondeva, agli altri e anche a se stessa. Non vestiva da donna, era considerata un maschio omosessuale effeminato. Mentre Romina, e ci piace molto questa dicotomia, proprio perché voleva essere se stessa, e ne ha subito tutte le conseguenze».
Quali sono state le tappe più significative di questo racconto?
«14 luglio 1980. La manifestazione al Lido di Milano è considerata in assoluto la prima manifestazione pubblica del MIT.
14 aprile 1982 viene approvata la legge 164, la prima in Italia sulla possibilità di cambiare sesso.
1995 Marcella viene eletta Consigliera Comunale.
2015, 35 anni dopo l’approvazione della legge, la Corte di Cassazione dice che non è obbligatoria l’operazione. Sostanzialmente, la legge aveva lasciato un vulnus, cioè non specificava questa cosa».
Perché è così importante?
«Perché si afferma il principio che i caratteri primari sessuali di una persona non determinano la sua identità di genere. Mentre prima si diceva “se vuoi essere riconosciuta donna dall’anagrafe, devi fare un’operazione e cambiare i tuoi caratteri sessuali primari”. Ora non è più obbligatorio».
Cosa significa questo, per una persona trans?
Non so se posso rispondere a questa domanda, non essendo una persona trans ma ti posso dire che l‘operazione è molto invasiva. Sterilizza la persona che la riceve.
È un punto di non ritorno?
«Assolutamente. In questo senso la storia di Marcella è in controtendenza. Diceva: “Io prima ho fatto l’operazione e solo poi ho iniziato a vestirmi da donna”. È una cosa che non fa nessuno. Si consiglia sempre di fare almeno due anni di real life test.
Dopo tre tentativi di suicidio, era arrivata a un punto di rottura. Non poteva più permettersi di aspettare. L’operazione è un trauma. Fortunatamente oggi la legge non obbliga a prendere una decisione così drastica. L’identità di genere non è data dai caratteri sessuali primari cioè quello che hai in mezzo alle gambe, per essere molto espliciti. È un passaggio mentale non da poco che purtroppo la maggior parte delle persone non fa».
Hai toccato molti passi. importanti, tra questi la legge 164, approvata il 14 aprile 1982 e firmata da Sandro Pertini il 20 aprile. Portata storica e zone d’ombra di questa legge. Le zone d’ombra le abbiamo appena viste, la portata storica?
«Era una legge d’avanguardia. Solo la Germania, prima di noi, ne aveva una simile. Siamo stati il secondo paese al mondo. Per l’epoca è stata una cosa assolutamente non scontata. Portata avanti dai radicali, non dimentichiamo che è stata approvata in Parlamento e non è stata modificata di molto rispetto all’impianto originale. Non so se oggi potrebbe più succedere in Italia qualcosa di simile. Un movimento dal basso, con l’aiuto di un partito minoritario, riesce a imporre un’agenda su una tematica che è molto distante dal sentire comune. È una cosa che ha dell’incredibile».
Concordo. Ascoltando questo podcast ho notato che ci sono moltissimi, passami il termine, primati. Me ne vuoi citare qualcuno?
«Marcella è stata la prima persona trans al mondo eletta a una carica pubblica (alcune persone hanno fatto il coming out dopo essere state elette)
Romina Cecconi è una delle primissime persone in Italia a vedersi riconosciuto il cambio anagrafico, dieci anni prima della legge. Questa è veramente una cosa assurda. Aveva fatto l’operazione in Svizzera. Ha presentato gli esami in cui veniva dichiarato donna e l’anagrafe si è dovuta adeguare.
A Bologna c’è stato il primo consultorio autogestito. Cosa non da poco perché si trovava fuori dagli ospedali e ci lavoravano persone trans».
Intendi il primo consultorio per persone trans all’interno del MIT?
«Si, ed è ancora attivo. Concordato con l’ASL, ci lavorano psicologi e medici non trans. La gestione effettiva è invece affidata esclusivamente alle attiviste. Aggiungo anche lo sportello del lavoro, nel ’97, con la CGL, tutt’ora attivo. Non so quante regioni in Italia ce l’abbiano…
Non è banale anche solo averlo pensato. È una delle cose che aveva portato avanti Marcella».
Cos’è l’integrazione se non passa attraverso la mentalità e i comportamenti della gente?
«In uno stato permeato di cattolicesimo come il nostro, le leggi e i servizi possono aiutare una persona trans a integrarsi, ma è quando sei integrato nel lavoro che sali davvero il primo scalino verso l’accettazione».
Nel podcast c’è anche la partecipazione di Vladimir Luxuria, prima parlamentare trans in Europa.
«Eh si, l’Italia ha avuto un sacco di primati, poco riconosciuti. Anche lei ha conosciuto Marcella, la quale riusciva davvero a capire come funzionavano le dinamiche politiche nazionali, e in particolare di un territorio come Bologna. Non a caso abbiamo intervistato l’ex assessore Lalla Golfarelli, sua grandissima amica e alleata. Facevano questo gioco di sponda, perché una era in Giunta e l’altra in Consiglio Comunale. Marcella era veramente brava a costruire relazioni».
Era un personaggio davvero interessante e molto sfacettato. Mi sono chiesta: quali sono secondo te, che hai avuto modo di studiarne approfonditamente la vita, le sue tre principali caratteristiche?
«Spontaneità, perseveranza ed empatia. Riusciva a far sentire accettato e accolto chiunque le fosse vicino, creando questo senso di comunità».
Quando dici spontaneità, che cosa intendi?
«Si potrebbe dire romanità».
Non aveva filtri insomma…
«Si esatto. Gli inglesi direbbero unapologetic. Una persona che non aveva bisogno di giustificarsi. Diceva sempre: “io sono qua e ho tutto il diritto di starci“. Che è l’opposto di come si sentono spesso le persone trans».
Allora ti chiedo: perché raccontare la storia di Marcella oggi? Mi hai detto com’è nato questo podcast. Ma non la motivazione profonda. Ve lo siete chiesti? Cosa sta succedendo oggi in Italia e in che modo la storia di Marcella si inserisce in quello che stiamo vivendo oggi?
«Noi chiudiamo il podcast con una sua riflessione, che ha fatto poco prima di morire. Era avanti di vent’anni. Diceva che paradossalmente oggi è peggio di prima, anche se c’è molta più libertà personale».
Ed è morta nel 2010…
«Esatto, però oggi sei discriminato come lo eri in passato.
“Noi viviamo di visibilità” ripeteva spesso. Le persone trans non si possono nascondere. “Dobbiamo chiedere il più possibile, perché abbiamo paura che ci tolgano le cose che abbiamo conquistato”».
E aveva ragione…
«Ci aveva già visto lungo. L’estrema libertà personale che sperimentiamo oggi crea anche una chiusura molto accentuata. Si crea una polarizzazione. E’ sempre più difficile trovare dei punti di mediazione. Questo concetto è illuminante perché la discriminazione delle persone trans è soprattutto sociale.
Un’altra cosa da cui facciamo riferimento nel podcast sono le aggravanti nella Legge Zan, che non è mai stata approvata. Il problema è che non esistono delle aggravanti in Italia per l’homo-lesbo-transfobia. È una questione culturale. Non si tratta solo di quanto si becca uno che picchia un omosessuale. Quando lei dice “siamo discriminati come prima” intende proprio questo. Per la legge dovremmo essere tutti uguali. Però nella vita reale non è così. Non ti danno il lavoro, non sei trattato come gli altri, e se qualcuno ti offende o ti usa violenza perché sei una persona trans, e non perché gli stai antipatico, non ci sono aggravanti».
Quindi la legge è un passo essenziale però poi questa legge deve entrare nella testa delle persone, nelle abitudini di una comunità. Lottare per una minoranza significa ottenere risultati per tutti, per una società migliore?
«Secondo me vale in generale, per tutte le battaglie per i diritti. È una delle cose che senza dubbio rende questa storia universale.
L’altro tema che la rende universale è l’identità. Che cos’è? Quanto è costruita da dentro e quanto da fuori cioè da imposizioni esterne?
Ne sono un esempio la storia di Romina e quella di Marcella. Hanno vissuto la stessa Italia ma da due prospettive e percorrendo due tragitti completamente diversi».
Quasi opposte, certo. Ritorniamo al MIT. Secondo te cos’è stata Bologna per il MIT e il MIT per Bologna? Quanto ha influito la sua presenza su questa città?
«Il MIT nasce in gruppi sparsi in giro per l’Italia, nelle grandi città. Ma non c’è a Bologna. In seguito all’ottenimento della legge 164, ha un lungo periodo di crisi e sostanzialmente sparisce. Raggiunto l’obiettivo, non c’è una visione chiara di quale deve essere la sua funzione. Nell’84 Marcella arriva a Bologna. In quegli anni la città è fucina di movimenti che ruotano intorno a questi temi. Il Cassero aveva aperto nel 1982».
Il Cassero è il primo circolo gay d’Italia. Ci siamo dimenticati un altro primato.
«Esatto. In quegli anni Marcella arriva in città per caso. Fa parte del MIT ma è decisamente più attiva Porpora. Intuisce però subito l’importanza di costruire delle relazioni sul territorio e di creare un posto fisico, che fosse in grado di fornire dei servizi pratici. Ci sarebbe quasi da chiedersi perché il MIT non ha una sede anche a Roma e in altre città».
È vero. In generale da tutta Italia continuano a venire a Bologna…
«Le persone trans in Italia sanno perfettamente che Bologna è un punto di riferimento. Ne percepiscono la libertà di essere se stesse».
Cosa non si accetta secondo te di una persona trans?
«Il lavoro sulla strada ma è un cane che si morde la coda. Se tu crei una discriminazione nel mondo del lavoro poi non puoi stupirti perché la maggior parte delle persone trans diventano sex worker. È l’unico lavoro che tu gli consenti di fare. È un pregiudizio che si autoalimenta. Antonio Mosconas, attivista del FUORI e marito di Romina Cecconi, dice una cosa secondo me geniale. A fine anni ’70 quando un funzionario di polizia arresta una persona trans e legge sul documento un nome maschile, è impaurito perché viene messa in dubbio la sua mascolinità. “Se può esistere una persona così, allora forse anch’io potrei esserlo”. È questo che crea l’inaccettabilità di questa condizione».
Perché crea paura e disorientamento.
«Certo. La sua stessa esistenza mette in discussione il concetto di virilità».
E ritorniamo al concetto di identità.
«Assolutamente. È l’idea alla base ad essere sbagliata. Se tu hai un pene sei per forza un uomo. Se non ti riconosci come uomo, nonostante tu abbia un pene, hai un problema e potenzialmente sei un problema sociale».
Un problema sociale maschile
«In quegli anni la transessualità, il transgenderismo erano quasi esclusivamente M2F. Oggi è tutto molto più fluido, libero e complesso. E poi c’era anche l’idea che tu, maschio, però trans, non procrei. Anzi volontariamente perdi la tua virilità e la tua facoltà generatrice, e per questo diventi un problema sociale».
Ti faccio la stessa domanda che si pone Marcella Di Folco nel podcast, ovvero come possiamo noi pretendere che una legge all’improvviso entri direttamente nelle coscienze?
«Le leggi servono, sono molto importanti, ma non bastano. Quando si arriva all’approvazione di una legge significa che qualcosa si è già messo in movimento, ma come dimostra la storia del MIT, non è sufficiente. È necessaria anche una strategia di lungo termine».
Esatto, e qui ti chiedo l’ultima cosa e poi chiudiamo. Ad oggi tanti passi avanti sono stati fatti per il mondo trans, LGBTQ+ e più in generale per i diritti, ma si possono fare anche passi indietro?
«È molto facile fare dei passi indietro se non si vigila. Ti faccio un esempio: anche le coppie omogenitoriali stanno avendo grossi problemi in Italia, e senza che sia stata cambiata alcuna legge. Solo per volontà politica».
Le conquiste fatte non vanno mai date per scontate.
«Proprio per questo secondo noi era molto importante raccontare questa storia. Le cose non arrivano dal nulla. Capire i passaggi che ci sono stati serve a costruire una percezione, un’ opinione pubblica su questi temi. Io per esempio pensavo di saperne abbastanza perché sono tematiche che mi interessano ma mi sono reso conto che ero molto ignorante, che avevo una visione molto…».
Ridotta?
«Sì, stereotipata».
Cosa ti aspetti dalle persone che ascoltano il podcast?
«Spero che si pongano delle domande».
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