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“Nonostante, libera”. Una storia che non si dice

05-12-2018

Di Elena Ghini

“Questa è una storia che non si dice ed è per questo che la dico”.

Comincia così il romanzo d’esordio di Bruna Orlandi Nonostante, libera. Il racconto come atto terapeutico (Giraldi editore) che uscirà in tutte le librerie il 6 dicembre e sarà presentato lo stesso giorno a Palazzo Re Enzo alle 19 nell’ambito di Regali a Palazzo.

Una voce ironica che spezza il tabù legato ad un disturbo difficile da diagnosticare, e molto spesso invalidante. Il suo nome è vulvodinia e colpisce nel mondo una donna su sette. Bruna è una di loro e ha deciso di raccontare la sua storia, mettendoci la faccia (e la vulva).

Si prova un dolore pelvico bruciante che non ti lascia dormire, non ti lascia fare sesso, non ti lascia la libertà di vivere e in alcuni casi, sintomi urinari.

Si parla di figa ma non nel modo in cui tutti siamo abituati a pensare.

 

Se è una storia che non si dice, perchè invece hai voluto raccontarla?

«Ho scritto il libro che avrei voluto trovare in libreria quando ne avevo bisogno. Mi sono esposta per aiutare altre donne nella mia situazione. Non solo, ho voluto emancipare la vulva dal sesso. Si pensa a lei come a qualcosa di divertente, che sta sempre bene. Si dà per scontato che sia lì pronta e invece si ammala anche lei. E questo ha delle conseguenze sociali. Le donne non ne vogliono parlare, si vergognano».

 

Hai paura di esporti così tanto?

«Sì molto. Penso di essere coraggiosa ma forse è solo incoscienza. Mi sono esposta con un problema così intimo e in modo così aperto. È il primo libro sulla vulvodinia a volto scoperto, senza nascondersi dietro un nickname. Come autrice ho paura di essere identificata con la mia patologia».

 

Sei passata dalla paladina delle vesciche, al guru dell’antroposofia, ad una bizzarra esperta di medicina cinese, fino al giorno in cui un dottore ti ha dato una diagnosi. Com’è la tua vita ora che il peggio è passato?

«Continuo ad avere il disturbo ma so gestirlo bene. Il limite di questa patologia è l’impossibilità di programmare la vita perché va e viene in maniera imprevedibile. Ci sono giorni in cui sto bene, altri no. Continuo ad andare in bagno molto spesso, casa mia ha tre bagni!».

 

Qual è stata la parte che hai trovato più difficile raccontare?

«Dal punto di vista narrativo le parti in cui sono ironica, per timore di colpire la sensibilità di qualche donna affetta dalla patologia. Nei contenuti, il rapporto medico-paziente. La mia esperienza è stata molto negativa, riviverla nelle pagine del libro è stato doloroso. Mi sentivo spogliata della dignità ogni volta che entravo in uno studio medico. Mi dicevano che la mia malattia era di origine psicologica, quindi mi consigliavano di rivolgermi a uno psicoterapeuta. Non mi credevano».

 

Nonostante sia appurato che la vulvodinia sia una malattia del corpo, hai cercato di darti una spiegazione anche in chiave psicologica. Perché proprio la vulva? Che risposta ti sei data?

«Forse per la paura dell’amore, quello vero che costringe a mettersi a nudo, a essere vulnerabile. Ci si nasconde spesso. Credo che il mio corpo inconsciamente abbia tentato di sabotarmi, per difesa».

L’autrice, Bruna Orlandi – Foto di Laura Bessega

Il ruolo della tua famiglia è stato fondamentale.

«Sì, in particolare di mio marito, che non nomino mai per protezione. Lui è stato una figura di grande supporto, la mia salvezza. Mi ha chiesto di sposarlo nel mio momento più buio. Un inno all’uomo per bene. Questo disturbo è nostro, non solo mio».

 

La speranza appare quando finalmente arriva la giusta diagnosi e anche l’incontro con le “pazientesse”, donne che, come te, sono affette dalla patologia. Hai mantenuto rapporti con loro?

«No. Ho avuto contatti, scambi e frequentazioni con alcune di loro ma credo ci sia molto riserbo e pudore a riguardo».

 

Hai pensato di creare un blog, un punto di ascolto alternativo ai forum?

«Non voglio farlo perché credo di non voler pensare tutti i giorni alla mia sindrome, voglio andare oltre. Il libro mi ha permesso di esprimere a gran voce il bisogno di condivisione ma poi lo lascerò andare da solo. Ho scritto tutto e ora lo lascio».

 

Quale messaggio porta il libro?

«Dopo averlo scritto mi sono resa conto che non è un libro sul mio disturbo ma un libro sull’amore. Ho vinto la paura di amare e ho cominciato a vivere davvero. Nonostante tutto sono stati gli anni più belli della mia vita».

 

Anche se il libro è autobiografico, autrice e protagonista non sono da confondersi. Che differenze ci sono?

«La Bruna autrice è più volgare e cinica. La me nel libro è una persona che ha cercato molta speranza, ottimista ma anche disperata, vuole guarire e si aggrappa a tutto. Ci accomuna l’ironia. Ridere è una grande medicina».

 

In Italia questa malattia non è riconosciuta dal Servizio sanitario nazionale. VulvodiniaPuntoInfo Onlus è l’associazione fondata da Elena Tione con l’obiettivo di aiutare sotto tutti i punti di vista le donne affette dalla sindrome.

“Una firma per la vulvodinia” è la petizione che ha come obiettivo il riconoscimento della malattia da parte delle Istituzioni. Parte dei ricavati del libro saranno devoluti a questa causa.

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