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“Quello che manca oggi è la terra sotto i piedi”. Daniele Silvestri racconta le storie dietro al nuovo album

11-05-2019

Di Giulia Fini
Foto di Giulia Fini

“Mi sembra che a tutti un po’ manchi: la concretezza, la solidità, qualcosa di duraturo che ci faccia capire cos’è giusto e cos’è sbagliato”. Per Daniele Silvestri quello che ci manca è La terra sotto i piedi, diventato anche il titolo del suo nuovo disco uscito il 3 maggio e presentato ieri alla Feltrinelli di Piazza Ravegnana.

Un album con cui festeggia i 25 anni di carriera e che lo porterà per la prima volta ad esibirsi, come solista, nei palasport, con un tour in partenza a ottobre. Una sfida nuova ma anche un ritorno al passato, ai suoi inizi, verso sonorità più elettroniche: “il fatto che fossi alle tastiere invece che alla chitarra ha cambiato totalmente le cose. Sono orgoglioso dell’aspetto musicale, lo dico senza nessun tentativo di essere modesto. Pure se non vi dovesse piacere non me ne frega niente, mi piace un sacco” (ride).

Durante l’incontro ha raccontando il dietro le quinte di alcuni pezzi che lo compongono.

La terra sotto i piedi è pieno di amarezze, di sguardi preoccupati. Ma l’introduzione, Qualcosa cambia, è un inizio ottimista che invita al riconoscersi l’un l’altro: “non si può pensare che sia sempre il singolo a dover diventare un piccolo eroe, io sono cresciuto pensando che è proprio nella sua espressione sociale, nella sua capacità di stare con gli altri, che l’essere umano può dare il meglio di sé”.

I primi due singoli usciti, Complimenti ignoranti e Tempi modesti hanno invece un tono più scanzonato raccontando tutte le idiosincrasie delle persone verso il mondo virtuale che faticano ancora ad abitare. Lo stesso succede con Scusate se non piango dove traccia musicale e tematica, il racconto di uno sgombero, sono in totale contrapposizione. “I temi più difficili li affronto nelle canzoni più divertenti, più danzerecce di tutte, non a caso. Ho sempre pensato che quando hai da dire qualcosa di spinoso se prima fai sorridere chi ti ascolta è più facile. Perché la faccia si apre nel sorriso, ti crea un varco, un’apertura, e tu ci entri dentro“.

Sono certe canzoni a chiamare il palco di Sanremo, com’è stato nel caso di Argentovivo, pezzo realizzato insieme a Rancore e Manuel Agnelli che in questa 69esima edizione si è portato a casa tre premi, quello della critica, della stampa e miglior testo. “È successo tutto in maniera veloce. Il giorno in cui incontro Rancore è quello in cui ho finito la mia parte di testo e la sento incastrarsi perfettamente con quella batteria e quell’orchestra. Mi viene l’idea che se c’era una cosa da fare era di portarla a Sanremo, volevo che arrivasse quello schiaffo che stavo sentendo io. Il passaggio successivo è stato quello di alzare il telefono: ‘quad’è che più o meno si decide chi partecipa a Sanremo?’ Mi rispondono: ‘Oggi’. Quindi ho mandato un minuto e mezzo di quello che avevo finito di scrivere. Mi immagino l’autore che lo fa sentire al telefono a Baglioni ‘vabbè ma questo è scemo, portiamolo’. Non so bene a chi ho tolto il posto”.

Una delle canzoni, Rame, è stata realizzata grazie all’ignaro contributo di Niccolò Fabi. “Mi ha scritto l’altro ieri: ‘ah, sono finito nel disco?’ C’è una storia divertente dietro: io avevo appena finito di incidere a casa la base e Niccolò il giorno dopo è venuto a trovarmi, io stavo sentendo il pezzo e nel mentre chiacchieravamo. Lui ha preso su la chitarra e si è messo a strimpellare. Sempre parlando e sorridendo io gli ho attaccato un cavo alla chitarra, poi gli ho messo il microfono vicino… Quando gli ho messo le cuffie, lì era un po’ stranito ma ha continuato. È andato via io avevo registrato quello che aveva suonato. Trattasi di furto” (ride).

La vita splendida del capitano, non a caso, è il decimo pezzo, scritto pensando a Francesco Totti. Una scelta particolare dato che Silvestri ha sempre vissuto lo sport in modo molto leggero, come un gioco: “Però è successa una cosa, quando c’è stato il suo addio c’era qualcosa di universale in quel sentimento, in quell’immagine. È un momento che ci appartiene, quello che ci fa diventare dolorosamente grandi, in cui si deve accettare il fatto che quello che si faceva prima non lo si può fare più. Era in sostituzione di un pezzo che poi non ho messo, molto più rischioso degli altri. Potevano venirne fuori degli incontri pericolosi”. Il pubblico insiste per sapere, ma lui assicura: “Ancora è presto, un giorno ve lo dirò, abbiate fede”.

Nell’album si nasconde anche una frecciata alla nuova scena trap, criticata non tanto per lo stile ma per i testi “di rime prevedibili, di contenuti discutibili”“L’ho fatto da anziano” dice, con un Blitz gerontoriatrico. Mentre la chiusura dell’album, Il principe di fango, rimane un tassello oscuro: “Del finale non parlo, lascio la libera interpretazione. Un indizio c’è, nel titolo: ‘solo un lieto fine'”.

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