Design & Moda

Pepaflaca, i petali gioiello in porcellana indossati anche da Gaia

27-03-2023

Di Sara Santori
Foto di Pepaflaca

Pepaflaca è un brand di gioielli e oggetti in porcellana dietro al quale si nasconde, in tutti i sensi, Natalia Triana: «faccio fatica a espormi, preferisco stare nell’ombra e che i pezzi parlino da soli». Il suo nome non è riportato neanche sulla pagina web, ma i pezzi parlano. E nei pezzi c’è tutto di lei.

La incontro nel suo laboratorio in via degli Albari 5a dove condivide lo spazio con i designer di Dedos Jewels (che vi abbiamo raccontato qui) e Double Trouble (che vi abbiamo raccontato qui). Indossa friulane, maglietta a righe e un grembiule in denim. Mi chiede se può continuare a lavorare, sui tavoli decine di sottilissimi petali di ceramica arricciata. Delicati, come lei.

«Mi piace portare la materia al limite, le persone non credono che sia porcellana. Non uso stampi, sono tutti arricciati a mano, quindi sono tutti diversi, sono unici. Sono leggerissimi e sottilissimi, mi sembrano come foglie cadute. La mia ispirazione è la natura stessa del materiale; lei fa quello che vuole, ha una memoria, tu fai una cosa e lei torna com’era».

A inizio 2020 Natalia viene contattata dalla stylist della cantante Gaia Gozzi che durante il festival di Sanremo indosserà i suoi gioielli. «Da lì Pepaflaca è esploso e non mi sono mai fermata. Fino all’ultimo non sapevo se li avrebbero utilizzati e da nessuna parte era indicato che i gioielli fossero miei, ma le persone mi hanno trovata comunque. Mi arrivavano tantissime richieste ma eravamo in lockdown e non potevo lavorare. Ho deciso di aprire un pre-order e ha funzionato».

Dopo Gaia sono arrivate altre collaborazioni e occasioni di networking: con il brand Eticlò per una sfilata, con il dj e producer Mace, con il brand Maison laviniaturra, con la rivista Mulieris e con Marco Rambaldi per la sfilata di presentazione della collezione P/E 2023 durante la Milano Fashion Week. «È venuto qui in laboratorio, non lo conoscevo e pensavo fosse un normale cliente. È stata un’esperienza super: hanno rispettato i materiali e i colori che uso. Mi hanno invitata al backstage della sfilata e allo shooting. È una bella soddisfazione quando viene valorizzato il tuo lavoro».

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Natalia è colombiana, di Bogotà, trascorre l’infanzia nella piccola isola di San Andrés e poi rientra a Bogotà, dove prosegue gli studi e si laurea in arte con una tesi in ceramica. «Sono sempre stata fissata con la ceramica ma in Colombia non ci sono scuole, né il mestiere di ceramista». Le chiedo come continua la sua storia, curiosa di sapere com’è arrivata qui. «Frequentavo una scuola italiana e avevo conosciuto una ragazza di Pesaro. Sono venuta in Italia per frequentare un corso di ceramica industriale a Faenza».

È in quel momento che comincia a nascere Pepaflaca: «ogni anno volevo fare dei regali di Natale per le mie amiche e ho cominciato con cose piccole da poter mettere in valigia. Le mie amiche mi hanno gasato e tornata in Italia ho aperto una pagina Instagram e lo shop su Etsy, mentre facevo altri lavori (babysitter, cameriera, interprete…)».

Le chiedo cosa significa il nome che ha scelto: «da bambina ero cicciotta e mi chiamavano “Pepa” (in spagnolo: qualcosa di rotondo), poi crescendo ho perso peso e si è aggiunto “Flaca” (magra). Era una cosa buffa, ho lasciato il nome perchè mi piaceva, come uno pseudonimo».

Tornata in Colombia il lavoro ha cominciato a crescere, Natalia voleva iniziare là la sua attività, ma è tornata in Italia, a Bologna: «per amore. E poi è il mio mercato più forte, dove ho la maggior parte dei contatti e dove il brand è più conosciuto. Avevo cominciato a farmi conoscere con i mercatini, venivo spesso da Faenza e con mio marito ci siamo conosciuti alle Serre dei Giardini».

Il primo coworking nel quale ha lavorato a Bologna è stato Elastico fa/Art (ve l’abbiamo raccontato qui) dove ha conosciuto Valentina Pinza (che ricordo bene perché è stata la mia prima intervista per About), «sono persone deliziose, mi hanno aiutata tantissimo e con Vale è stata una sorellanza profonda, mi ha anche prestato il suo forno e per una ceramista non è affatto scontato. È stata Vale che mi ha fatto conoscere la terra che uso anche ora e che mi piace da morire.

Quando studiavo in Colombia usavamo solo terre a basse temperature, qui in Italia ho conosciuto la porcellana e mi è sembrata come una carta sulla quale puoi fare qualsiasi decorazione. È più leggera, più resistente (pensa che viene usata anche per fare le protesi!) e i lustri metallici vengono da Dio!».

Proprio l’oro, molto presente nei suoi lavori, è ciò che rimanda alla sua Colombia: «gli indigeni delle tribù Chibcha che abitavano nelle mie zone natali avevano una dea donna, Batchué, considerata come madre del genere umano, che era interamente ricoperta d’oro. Tutto l’oro della nostra tradizione gira intorno a lei e questi indigeni, è un elemento che mi appartiene tantissimo e che contamina molto la mia estetica».

Esco dal laboratorio con un paio di orecchini Pepaflaca, e Natalia aveva ragione: ogni volta che li indosso qualcuno mi chiede da dove vengono e nessuno direbbe mai che sono di ceramica.

Natalia Triana

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