Non so se qualcuno prima d’ora avesse mai tentato questa impresa durante un live a Bologna. Eugenio, il frontman della band, non c’ha pensato due volte ed è andato a suonare direttamente nel canale del parco del Cavaticcio (speriamo che ora stia bene) che ospitava il gruppo a chiusura della serie di concerti del Biografilm Park. Ma i suoi fan molto affezionati erano già pronti a lanciargli un paio di ciabatte di salvataggio, ovviamente contrassegnato da messaggi e numeri di telefono, grazie al quale lo spettacolo è potuto andare avanti come se nulla fosse.
Sì, sono folli. A modo loro.
Sono gli Eugenio in Via Di Gioia, quattro musicisti torinesi al loro secondo album, Tutti su per terra, uscito nel 2017, ma anche attori con uno spettacolo teatrale in cantiere. Prima del live abbiamo chiesto a Paolo, il batterista, di raccontarci di più sulla loro storia e la loro musica. Poi abbiamo raggiunto il resto della band e abbiamo cenato insieme a loro con un piatto di tagliatelle.
Partiamo dalle basi. Eugenio in Via Di Gioia, un nome “democratico”
Sì (sorride). Nasce dal nome dei componenti, Eugenio Cesaro, Emanuele Via e io, Paolo Di Gioia. Mentre al bassista, arrivato in un secondo momento, abbiamo dedicato il primo album: Lorenzo Federici.
Questo ultimo album ha un nome al contrario, così come la copertina. Secondo voi come si rimane quindi “tutti su per terra”?
Si rimane in piedi riuscendo a convertire questa società. E lo diciamo consapevoli di esserci dentro anche noi. Ma per restare su bisogna agire in modo inverso a questa società.
Un esempio?
Il cambiamento climatico. Sappiamo bene che è dato molto dall’uomo, che non capisce che è un problema e cerca soluzioni non durature. Questo è solo un esempio eclatante di società in contrasto con la natura. L’uomo è al centro e in contrasto con tutto il resto.
Nel primo album il mondo viene raccontato con autoironia, mentre in questo siete meno divertiti. L’ironia non funziona per far arrivare il messaggio?
È sicuramente un disco più serioso, ma l’ironia rimane il nostro mood perchè riteniamo sia un ottimo modo per far capire cosa stiamo dicendo. Ma bisogna stare attenti, se si è sempre ironici non arriva, se invece si riesce ad esserlo in diversi modi è più semplice. Noi abbiamo una vena ironica, una vena seriosa, una vena arrabbiata.
So che c’è un aneddoto memorabile grazie al quale avete fatto un bel boom
Sì (ride). Eravamo in treno, dovevano scendere a Roma e nevicava tantissimo. Siamo rimasti fermi quattro ore e ci è venuta l’idea di fare un pezzo con la chitarra e di filmarlo. Il capotreno invece di riprenderci ci ha portati in giro per tutti i vagoni. In prima classe abbiamo anche incontrato Marzullo e ci siamo fatti una foto insieme. Insomma, il video è diventato virale, ci ha contattati Repubblica e poi Linus. Da lì, Chiodo Fisso è passato pure in radio.
Parliamo del brano “Selezione Naturale”. Chi sono i cattivi maestri?
Sono i genitori che non riescono a far capire il bene e il male. Invece che essere da esempio e spiegare ai figli che non è giusto schernire gli altri, capita che diventino loro stessi bulli.
Chi rischia di diventare bullo?
Il ragazzo e i genitori che non sono stati bene educati, che non hanno ricevuto questo tipo di attenzione.
Dite che il male esiste ed è un dato di fatto. Cos’è il male?
Per noi è l’insieme di persone che non stanno facendo nulla per cambiare questa situazione che sta sprofondando. Guardare la realtà attraverso uno schermo non è bene. E ci siamo dentro anche noi, quindi anche noi in qualche modo raccontiamo il nostro male.
Cosa dovremmo fare invece per diventare giovani non illuminati?
Estraniarsi da questi schermi illuminati. Arriveremo a saturazione e speriamo si ritorni indietro all’età della pietra, perchè così non viviamo più realmente la vita. Non tutti ne sono consapevoli, in particolare i 2000 che ci sono nati dentro. Per loro è normale, ma non lo è.
Se doveste spiegare ai ragazzi come gestire il rapporto con social e tecnologia in generale, cosa gli direste?
Noi li utilizziamo soprattutto per lavoro, per una band è fondamentale avere un social media manager dentro di sè. Per noi è lavoro, ma se è un gioco mai abusare. Il rischio è quello di vedere la realtà in un altro modo, di isolarsi. E ci sentiamo di dire che è un problema che si sta espandendo.
Pessimisti ma realisti. Cosa volete urlare?
Vogliamo essere realisti nell’ottimismo dell’ironia. Siamo molto contrari a certe situazioni e il messaggio è: cambiare rotta, subito.
Siete partiti come buskers, artisti di strada. Cosa vi portate dietro di questo?
Siamo nati per le strade di Torino cinque anni fa e abbiamo capito che passo dopo passo si può creare un percorso più duraturo. Ci piace molto il contatto diretto con il pubblico, l’improvvisazione teatrale. È una cosa che si fa molto in strada per catturare l’attenzione delle persone e continuiamo anche ora. I nostri concerti non sono proprio tradizionali. Non si smette mai di crescere. Piedi per terra e fatica. E verrai ripagato prima o poi.
Un’ultima domanda Paolo. Vedo fan che ti rincorrono per il parco del Cavaticcio con sportine in mano. Spiegami un attimo…
Da qualche mese abbiamo lanciato una rubrica su Instagram che si chiama Cibo in tour. I fan ci portano cibo in ogni tappa del tour. È nata a Roma, durante un raduno in piazza, quando un ragazzo ci portò la carbonara. Abbiamo fatto un video e la gente è impazzita. Ora ad ogni concerto facciamo un video con il ragazzo o la ragazza che ci porta da mangiare. I genovesi sono stati quelli che ci hanno riempito di più.
Diventeremo ciccioni, ma non bulli (sorride).
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