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Non solo pubblicità e multe. Oggi per posta arrivano anche racconti. Il gioco narrativo di APRI

22-02-2021

Di Giovanni Corzani

Un racconto nuovo al mese, di una qualsiasi tematica, scritto ogni volta da un diverso autore in forma episoltare.

Questo, in poche parole, è il progetto APRI, che arriva per posta a chi decide di abbonarsi.

Sì, per posta, come un bagliore di luce tra le solite scartoffie che non vorremmo ricevere, risultando una piacevole sorpresa in “vecchio stile”. Le correzioni, le fotografie, gli oggetti, la carta e la busta diventano colonne portanti del racconto finale.

Ho parlato con l’ideatore e il curatore del progetto, Lorenzo Ghetti, fumettista classe 1989, per fargli qualche domanda in merito.

Foto di Michele Lischi

Mi puoi spiegare brevemente in cosa consiste APRI? Come lo racconteresti a un estraneo?

“APRI è un abbonamento di racconti per corrispondenza in cui la redazione chiede a diversi autori e autrici di scrivere un racconto epistolare auto conclusivo, in forma di lettera. Poi la redazione la replica e la invia a tutti gli abbonati del progetto. Chi è abbonato riceve ogni mese una lettera e un racconto scritto da un diverso scrittore o scrittrice. È però una lettera di finzione, quindi giochiamo sul fatto che sembri reale ma non lo è”.

 

Come nasce questa idea?

“È un’idea nata a marzo/aprile dell’anno scorso. Sono sempre stato appassionato di tutte le narrazioni che giocano col formato con cui vengono raccontate, quindi è venuta fuori quest’idea di racconti epistolari che fossero lettere, e inviare qualcosa per posta che fosse una storia. Dunque ho chiamato un po’ di amici e amiche per mettere su la redazione e creare questo gioco narrativo, un cortocircuito di racconti che sembrano reali, e usare la forma della lettera per potenziare delle storie”.

 

I racconti scritti di cosa parlano? Quali sono le tematiche?

“La tematica è libera. Contattiamo l’autore e diamo carta bianca sul tema, il momento storico in cui viene scritta e il genere. Sono racconti separati gli uni dagli altri. Abbiamo avuto una lettera thriller/horror, una storica, una più d’amore e quella in corso è più legata al viaggio con una città specifica”.

Foto di Michele Lischi

Cosa si può trovare all’interno della busta che spedite?

“Tutto ciò che può potenziare il racconto, quindi foto, cartoline, biglietti del cinema, depliant, mappe o piccoli oggetti. L’idea è quella che l’autore inventi un mittente che scrive la lettera, quindi inventa anche tutto quello che il mittente sta inviando al destinatario. Tutto ciò non è decorativo, è parte stessa della storia. Il racconto è la busta, gli oggetti e la lettera, tutto insieme“.

 

Il progetto APRI è nato durante il primo lockdown, è stata una coincidenza o il mancato contatto interpersonale ha fatto accendere la lampadina?

“Sicuramente c’è un collegamento di qualche tipo. In particolare io mentre ero chiuso in casa e potevo fare poco, avevo voglia di far partire qualcosa di nuovo. Lavoro nell’editoria e sono autore di fumetti, quindi vivere il blocco editoriale, da una parte mi ha portato a domandarmi se si potesse creare un progetto completamente indipendente.

Non volevo che fosse nostalgico, non è nato dall’idea dei bei tempi in cui si scrivevano le lettere. Durante il lockdown mi è un po’ passata la voglia di stare su internet, siccome internet era l’unico luogo in cui potevo stare. Avevo bisogno di un nuovo posto, un nuovo luogo in cui fare qualcosa. Quindi APRI è nato un po’ da questa necessità e la voglia di creare storie che avessero un formato molto potente”.

 

Cosa cercate di comunicare con questo progetto? Oltre che con la singola storia scritta.

Cercare nuovi modi di raccontare. È vero che un’email è il modo più efficace per comunicare qualcosa, forse però la lettera è meglio per raccontare un certo tipo di storia. Quindi non significa tornare all’origine dello scrivere lettere, quanto più trovare forme della narrativa che possano rendere il racconto più vivo”.

Foto di Michele Lischi

Perché avete scelto proprio il nome APRI? Ho visto che ci sono state varie proposte.

“APRI in realtà nasce da un acronimo che poi non abbiamo usato, doveva essere una specie di nome di una società segreta che stava per ‘associazione privata riceventi illegittimi’. Anche se non l’abbiamo usata questo acronimo ci tornava molto bene, suonava bene e forse perché è il gesto più importante nel progetto: aprire la lettera fa tutto. La devi strappare in qualche modo, la devi rompere, non c’è modo per cui la busta possa rimanere integra, quindi quell’azione è forse il momento più importante del ricevere una lettera come questa”.

 

Qual è il vostro pubblico? Avete un lettore tipo?

“Possiamo saperlo solo dai parametri dei nostri social, tendenzialmente non è un pubblico giovanissimo, tra 25 e 40 come media massima. Pensiamo a un pubblico di lettori forti, che sta raccogliendo soprattutto chi legge molto e che sta appunto cercando nuove forme del racconto, questa è una mia supposizione”.

 

In quanti nella redazione?

“La redazione è formata da sei persone, tra cui grafici, editori, addetti alla comunicazione, più la parte di sviluppo e logistica. Mentre autori e autrici che non fanno parte della redazione cambiano di volta in volta”.

Redazione progetto APRI | Foto di Andrea Antinori

Anche se me lo hai già accennato prima, siete più nostalgici o semplicemente contrari a tutta la comunicazione che si sta spostando sull’online a scapito di quella scritta, come le lettere?

“Se posso direi nessuna delle due. Nel senso che APRI prima che un progetto di comunicazione è uno di narrazione, quindi vuole lavorare con le storie. Sono convinto che ogni storia abbia la sua scatola e un suo linguaggio migliore: alcune sono raccontate online, altre funzionano meglio come libro, come film o appunto come lettera.

Ho lavorato tantissimo sull’online e sono in continua riflessione su tutto quello che può dare. Altre cose funzionano meglio con metodi tradizionali, quindi mi chiedo sempre quale sia il miglior modo per raccontare ciò che voglio raccontare senza pregiudizi verso nessun tipo di linguaggio”.

 

Secondo te le due cose si possono incrociare? Digitale e cartaceo?

“Sì, assolutamente. Ci sono progetti che intrecciano benissimo digitale e cartaceo. Non sono due mondi opposti, e non credo che uno prenderà il posto dell’altro. Sono due cose che stanno sempre di più iniziando a comunicare e convivere”.

 

Perché credi sia importante mantenere la tradizione cartacea?

“Non saprei dire se è importante. Penso sia utile fare una discussione su tutto ciò che è cartaceo, sul valore del libro come tale, ad esempio. Rimaniamo molto legati agli oggetti, soprattutto quando si parla di narrazioni, quindi secondo me il cartaceo rimane perché sentiamo la necessità di avere un rapporto fisico con determinate cose.

Lavoro al computer tutto il giorno, ho tablet, cellulare e tutto quello che può rendermi la vita più comoda, però i libri continuo a leggerli in cartaceo, non sono riuscito ad abituarmi ad altri formati. Mentre altre cose hanno soppiantato il cartaceo”.

 

Scartare una lettera, quindi toccarla con mano e poterla conservare un domani, come cambia la percezione della storia?

“Sicuramente la rende più vera. A noi piace questo cortocircuito in cui i lettori sanno benissimo che la lettera che stanno aprendo è finta, ma cerchiamo di essere così concreti e realistici che si crea una sospensione di incredulità totale, per cui la lettera e la persona che l’ha scritta sembrano veri. Avere una storia che poi viene conservata mantiene quel racconto, è in un qualche modo sempre presente, rimane nella nostra area di influenza. Un po’ come nelle librerie: i libri li conserviamo, rimangono con noi, c’è un ricordo della memoria“.

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