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#QUANDO il design diviene terapia per l’isolamento. Il progetto di Federica Francia

18-05-2020

Di Luca Vanelli

“Hurry Up, We’re Dreaming” recita il titolo di uno dei più celebri album del gruppo musicale francese M83. Negli ultimi due mesi ci siamo ritrovati in una condizione di sospensione collettiva, come se fossimo rinchiusi tutti nello stesso sogno surreale. Ognuno ad affrontare la stessa tempesta, non solo economica ma soprattutto psicologica, in barche molto diverse e talvolta scomode.

A detta di Federica Francia, studentessa di Design del prodotto dell’Università di Bologna, gli M83 sono il sottofondo musicale ideale per il progetto a cui ha dato vita per affrontare questa crisi collettiva.

Questo progetto si chiama #Quando ed è una raccolta di quei piaceri o dispiaceri passeggeri che ci riempiono le giornate. Ognuno può dare il suo contributo in questo momento particolare, inserendo il proprio #quando, nome ed età. E così è nato un diario di ciò che nella nostra mente ci dà sollievo o irritazione. Un’enorme raccolta di “piccoli segreti con cui facciamo i conti, piccoli momenti di felicità o.. di infelicità, che ci rendono speciali”, si legge sul sito ad hoc costruito da Federica.

Il lavoro si ispira alle opere di Francesco Piccolo – Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità – ma la direzione e gli intenti sono completamente diversi: trovare esercizi collettivi per uscire da una condizione di isolamento complicata.

Il design trova così nuovi strumenti per mettersi al servizio dell’essere umano e ci aiuta a renderci conto che serve sbrigarsi a trovare nuove soluzioni terapeutiche per affrontare un trauma psicologico collettivo che rischia di lasciare segni indelebili nella mente di molti.

Da quali intuizioni è nato il progetto? Questo è anche un lavoro di tesi, se non sbaglio…

“Tutto nasce dalla mia necessità di raccogliere sensazioni, riflessioni e pensieri legati al nostro status speciale di isolamento forzato. Una condizione speciale e irripetibile, perché per una volta tantissime persone sono state coinvolte in una sorta di esperimento sociale collettivo ma contro la loro volontà.

E avevo la necessità e curiosità di capire come stessero affrontando l’isolamento perché l’intento del mio lavoro di tesi è quello di trovare un’applicazione in ambito terapeutico per il design…”.

Quindi hai lanciato la piattaforma di #Quando…e la raccolta di tutti questi stimoli dove ti ha portato?

“In un attimo ho realizzato che si era innescato, un po’ casualmente, un esercizio di collettività.
Ho notato come, in un ambiente sociale difficile dove si verificano episodi di isolamento, la condivisione di piccoli momenti e pensieri può dare forma ad un sentimento di inclusione anche in chi non è spronato a partecipare, ma rimane solo un osservatore esterno”.

Come pensi si possa evolvere e concretizzare questa intuizione?

“La cosa bella è che #Quando potrebbe diventare potenzialmente qualsiasi cosa: questi pensieri starebbero bene su magliette, bag, manifesti. Mi sono resa conto, però, che così sarebbe stato limitante.

Il mio vero intento, ora, è definire quegli strumenti che possono essere replicati in ambienti difficili e complicati come carceri minorili, strutture sanitarie etc. Dare vita ad una sorta di eserciziario con metodi studiati, sempre in quella modalità di anonimato che ti permette di partecipare più liberamente alla condivisione.

Uno strumento, insomma, che ti permetta di creare un sentimento di comunità all’interno di un gruppo, includendo anche chi si sente escluso e cercando una soluzione al problema della disconnessione tra le persone. In questo modo il design ha la possibilità di mettersi al servizio della terapia e del benessere dell’essere umano”.

Nella tua testa, ad ora, come si concretizza tutto questo?

“Forse il libro è la forma più plausibile in cui vedo il concretizzarsi di questo strumento. Un insieme di buone pratiche ed esercizi replicabili che serva da esempio a chi decide di utilizzare questi strumenti con gruppi di persone in difficoltà, come le classi scolastiche etc”.

In questa raccolta enorme hai notato dei temi ricorrenti?

“In tutto, ad ora, ho ricevuto 450 #Quando.
Non ci crederai, ma fra questi ricorre molto il traffico. Alcuni lo raccontano ricordando il disagio e quella sensazione di code infinite e di interminabili attese, mentre altri usano toni nostalgici e malinconici, sentono addirittura la mancanza del bloccarsi in tangenziale, mentre aspettano di arrivare a lavoro. 

Il mare è un tema che ritorna continuamente, soprattutto nella dimensione legata all’olfatto: l’odore della sabbia, della crema solare, dei pini quando scendi dalla macchina a Cervia.

Come ultima direi che anche la colazione ha dei grandi estimatori. Si prova un piacere immenso a iniziare la mattina con lentezza e assaporarne gli odori e i sapori”.

Hai detto che sono arrivati 450 #Quando diversi e ognuno peculiare. Osservando ciò che hai raccolto hai imparato qualcosa degli essere umani?

“Da quando ho iniziato a catalogarli e a dividerli, mi sembra di aver individuato tre categorie di persone. Lo dico chiaramente  in maniera un po’ leggera e giocosa.

I lamentoni, che li riconosci perché lanciano raffiche di 5 #quando consecutivi, come una sorta di raptus che li porta a sfogarsi dicendo a tutti cosa li urta. Sentono il bisogno fisico di farti sapere che quella cosa gli scombussola fortemente il sistema nervoso.

Gli eterni romantici, che propongono questi pensieri chilometrici con una trafila infinita di immagini e sentimenti, andando a creare delle poesie. Sono persone che hanno ammesso di essersi messe a tavolino e aver scritto i loro #quando, come se fosse un vero esercizio spirituale.

Gli ironici, che non moriranno mai. Hanno regalato emozioni bellissime. Oltretutto si è creata una faida, in quel diarione enorme che ormai è diventato il sito, fra Bologna, Firenze e Milano, a dimostrazione che il progetto ha raggiunto posti e luoghi a me inaspettati”.

Sapresti suggerire una playlist musicale per leggere queste nostre tracce volatili? Qual è stato il tuo sottofondo musicale?

“Penso che il gruppo musicale più azzeccato in questo contesto sia quello degli M83. Sceglierei loro come colonna sonora per l’importanza che danno alle piccole cose, come un titolo. E poi costruiscono canzoni intere su una sola frase o un concetto. Mi sembra che scrivano una frase e poi concentrino tutta la canzone su quella”.

Il #quando che ti ha colpito di più.. e il tuo #quando..

“Ne prendo due, devo barare. Due molto distanti, anagraficamente parlando.

Il primo è quello di mia nonna. Lei ha 93 anni e sinceramente non mi aspettavo che mi rispondesse, utilizzando proprio la parola “quando”,  e scrivendo cosa le sarebbe mancato di più durante questa quarantena. in maniera molto spontanea, ha detto: “Quando sono circondata dalla gioventù”. Lei adora i miei amici, quando passano di qui e girano per casa.

L’altro ha fatto un giro lungo per arrivare, ma ho saputo che alcuni ragazzi che lavorano come babysitter hanno usato questi #quando come gioco da proporre ai ragazzini che accudivano. Da qui è arrivato il #Quando del piccolo Ettore di 6 anni: “Quando vedo le luci della sala giochi”.

Il mio #quando invece è molto banale, è una cavolata immane, ma è quando mi sono fatta il mio primo tatuaggio”.

Questa occasione di blocco forzato può averci aiutato a dare il giusto peso alle piccole cose? Come direbbe Francesco Piccolo, all’inessenziale?

“Io sono un po’ pessimista a riguardo. Penso che si stia continuando a dare peso alle cose solo quando ci travolgono o quando ci vengono a mancare, mettendoci un attimo ad eliminare quelle piccole inessenzialità dalle nostre priorità.

Ho trovato però un elemento positivo in questo periodo. Mi è parso di notare che arte, musica, design abbiano avuto una reale funzione terapeutica in un momento complicato. Hanno mostrato scopi, usi e impatti che prima venivano trascurati. Il design per la terapeutica ha mostrato il suo valore e l’arte ha ulteriormente dimostrato che può fare la differenza a livello spirituale e psicologico.

Quindi, anche se le persone continueranno a dimenticarsi delle piccole cose, noi abbiamo capito che possiamo sviluppare degli strumenti utili”.

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