...E Altre Storie

Radio Alta Frequenza, la prima web radio di Bologna che dà voce ai giovani migranti

21-10-2021

Di Luca Vanelli

Heto mi halanma
Mine waddimi yiddema
Ko ane tane holimi
Holimi ko ndjidirmi o Dunne Dunne
Hum hum waddimi yidde

[“Listen to me, I want to tell you something, the reason I love you is because, you are the only one who has taught me how to love and appreciate life”]

(There will be time – Mumford&Sons feat Baaba Maal, the Veary Best & The Beatenberg)

Mescolare suoni e culture anche molto lontane. Lasciare spazio a ritmi inconsueti per dargli dignità. Parole distanti dalle nostre, ma piene dello stesso amore. Mi sembra ci sia un filo rosso che collega l’Ep Johannesburg dei Mumford&Sons del 2016 e il lavoro che tutti i giorni portano avanti i ragazzi e le ragazze di Radio Alta Frequenza, la prima web radio interculturale tutta bolognese.

A volte il caso gioca strani scherzi, eppure anche la radio nasce proprio nel maggio del 2016, con un claim che ancora oggi contraddistingue tutte le loro attività: “La radio che accorcia le distanze. Accorciare le distanze, avvicinarsi e vedere da più vicino la realtà di persone che troppo spesso identifichiamo solo con il viaggio che li ha portati qui.

Radio Alta Frequenza prova, ogni giorno, a svincolare le vite dai migranti dal loro migrare e cerca di restituire un’immagine più umana e completa delle persone che incontra. Un tentativo di allontanarsi dall’unica narrazione che siamo abituati a sentire, quella del viaggio e della disperazione, per restituire un’immagine tridimensionale e completa di tanti esseri umani con cui abbiamo molto più in comune di quello che possiamo pensare. Un progetto promosso dall’Associazione Mosaico di Solidarietà, un’organizzazione di volontariato che lavora sul territorio metropolitano di Bologna dal lontano 1997, occupandosi da sempre di inclusione sociale e di accoglienza, oltre che di progetti educativi e culturali.

Ho incontrato buona parte della redazione: Veronica, alla regia radiofonica, gestione social e redazione, Caterina, ideatrice e fondatrice del progetto; Carlotta, Chiara e Federico speaker della redazione per capire meglio chi c’è dietro questa piccola realtà e cosa significa mantenerla in vita ogni giorno, con tutte le fatiche del caso.

Con quale spirito nasce il progetto di Radio Alta Frequenza?

Veronica: «La radio nasce per voce ai giovani migranti di Bologna, sia quelli appena arrivati, sia quelli di seconda generazione. L’intento non è solo quello di conoscere nuove realtà, ma soprattutto di fare qualcosa insieme a loro: anche per questo coinvolgiamo in prima persona i ragazzi e le ragazze, offrendo una proposta formativa per imparare a scrivere e mandare in onda una puntata radio».

Caterina: «Fin dall’inizio abbiamo sempre voluto dare la possibilità di raccontare non solo le proprie storie e i propri viaggi, ma raccontare in maniera unica e diretta le proprie culture. Volevamo evitare di calcare la mano su storie di sofferenza, ma ci sembrava giusto dare spazio e visibilità a visioni culturali diverse, anche di paesi che ci capita di esplorare in maniera minore e che non hanno spazio nei media mainstream. Questo aiuta anche a capire che queste persone spesso sono come tutti gli altri, con gli stessi desideri e passioni».

Perché la radio? Che valore aggiunto ha la radio per i vostri obiettivi?

Carlotta: «Penso che il microfono sia uno strumento potentissimo: svelto, flessibile e permette di tirare fuori molte sfaccettature da un essere umano. Metterci la voce mi è sempre sembrato il mezzo più caldo e coinvolgente per trasmettere un messaggio».

Chiara: «Oltretutto la radio evita il filtro dell’immagine che potrebbe creare una barriera in certe situazioni. L’altra persona non è influenzata dalla tua immagine e si concentra sulla voce. La radio ti permette di allontanarti da questa influenza e ti allena all’ascolto attivo».

 

Ormai è diversi anni che siete dentro al mondo della radio e ho una curiosità: come avete visto modificarsi il ruolo della radio? È cambiato il ruolo e la fruizione di questo mezzo?

Federico: «Se devo essere sincero, io in primis non sono un grande ascoltatore di radio. Penso che un ruolo determinante l’abbia giocato il podcast negli ultimi anni e indirettamente ha anche beneficiato alla radio.

Quando mi sono avvicinato a RFA ero scettico sulla possibilità che una radio potesse essere capace di farsi ascoltare, mi sembrava fosse destinata a morire con l’emergere di nuove piattaforme. Ora penso che la situazione sia cambiata e che la radio si stia semplicemente trasformando e adattando ai tempi nuovi».

Che cosa vi ha lasciato a livello emotivo Radio Alta Frequenza in questi anni?

Caterina: «Forse il momento più importante per noi è stato a Radio City Milano, il festival internazionale delle radio, nel 2017. Siamo andati in quindici a mostrare un modo diverso di fare radio e sentivamo l’entusiasmo intorno a noi. E poi l’incontro con ragazzi e ragazze provenienti davvero da contesti molto diversi tra loro: non solo i migranti ma anche gli studenti Erasmus, tutti e tutte volontari/e che hanno creduto in questo progetto, appassionandosi e partecipando attivamente con grande dedizione e umanità. Tutto questo genera grande emozione».

Federico: «Sempre a Milano ricordo nitidamente l’intervista che realizzata con Robel, un ragazzo etiope con cui preparai accuratamente la sua puntata dove raccontò  la sua esperienza in Etiopia, il suo viaggio, la sua vita. Uno momento umano particolarmente intenso che mi ha fatto comprendere bene quale potesse essere la prospettiva di un ragazzo che vive questa esperienza traumatica della migrazione».

Veronica: «L’esperienza di Milano fu soprattutto un’esperienza di gruppo in cui non c’era distinzione fra rifugiato e non rifugiato. Partire, lavorare insieme ed essere uniti: le persone intorno a noi percepivano nitidamente che era una cosa possibile».

Martina: «A livello più generale penso anche che la radio sia un luogo di passaggio e i momenti più belli capitano quando poi incontri di nuovo le persone, anche dopo anni. Capisci come stanno evolvendo le loro vite e anche la tua. Robel l’ho incontrato di nuovo ai Giardini Margherita, dopo anni, e mi ha parlato delle sue ambizioni e dei suoi cambi di programma. Il momento in cui ti ritrovi e riparti da dove ti eri lasciato rimane uno dei più speciali: osservi dove volevano andare e dove vogliono andare ora, le loro nuove ambizioni e direzioni. A conferma che la loro vita è del tutto simile all’intreccio delle nostre».

Condividi questo articolo