A chi non piacciono le storie? Bisogna dirlo, negli ultimi mesi di quarantena e di individualità casalinga stiamo riscoprendo quanto i racconti, di vita vissuta o racchiusi in serie tv o libri, abbiano sempre avuto un grande valore nella vita delle persone.
Ci tengono compagnia e ci fanno evadere dalla realtà.
Si potrebbe dire che le storie nascono per essere raccontate. E non solo in streaming.
Nel corso della vita ne ascoltiamo moltissime, finché a un certo punto succede che siamo noi a narrare la nostra, magari scoprendola più interessante di quanto ci aspettavamo. E magari, se capita, di condividerla con qualcuno che sia un po’ al di là della cerchia ristretta di amici e conoscenti.
Alberto Venturi sta esattamente al di là di questa cerchia. In un momento di profonda crisi come quello che stiamo vivendo ha saputo reinventarsi dando un nuovo impulso a Ramorame18, un progetto in cui le storie prendono forma fisica e diventano piccoli quadri di legno.
“L’avventura di Ramorame18 inizia nel 2015, qui in casa mia a Bologna. È frutto della totale casualità. Io non sono un falegname di professione né ho mai lavorato il legno. Un giorno in garage ho ritrovato vecchi attrezzi di falegnameria di mio padre e di mio nonno. Nemmeno loro erano falegnami, facevano solo dei lavoretti ogni tanto. E così, dal nulla, ho pensato di ridare onore a quegli attrezzi e di cimentarmi nel creare qualcosa, assemblando pezzi di metallo con vecchie assi di bancali, che nessuno riutilizza. Li schiodo, carteggio, rinchiodo e ne faccio materiale per costruire una storia” ci racconta Alberto.
Ramorame18 è un nome che racchiude in sé l’essenza di tutto ciò che Alberto inventa e crea. Il legno, il metallo e il numero 18 che nell’esoterismo è legato appunto alla creatività, oltre ad essere il numero medio di respiri che facciamo in un minuto.
“Con un senso di amore e poesia, io e la mia compagna ci siamo detti: prendiamoci un respiro in più per ascoltare le cose belle che ci circondano. Ramorame è una sorta di elogio della lentezza in contrapposizione al tempo sempre frenetico in cui viviamo” ci racconta.
Storie incise nel legno e scene popolate da personaggi fatti di metallo rappresentano scenari onirici e skyline di città, pianeti, strumenti musicali, barche e figure del mare, e chi più ne ha, più ne metta.
Alberto rintraccia l’origine e le idee del suo progetto in ciò che gli ha trasmesso la madre: “mi ha sempre raccontato tante storie e favole e per me sono diventate una passione. È stato naturale fondere questa inclinazione con la mia creatività. Ho iniziando creando racconti bidimensionali, cornici, ma poi mi è venuta voglia di creare qualcosa di più elaborato”.
“Sono partito da ciò che conoscevo e poi ho iniziato a scavarmi dentro e lasciare che l’immaginazione facesse il resto in una continua osmosi tra parola e materia”. Da cinque anni, insieme alla compagna Antonella, porta in giro per l’Italia i suoi lavori presso fiere e mercatini.
“Inizialmente mi divertivo un sacco a raccontare la storia dietro il quadro a chi si fermava al nostro banchetto, poi un giorno mi è stato chiesto: “Ma perché non racconti anche la mia?”. Così mi sono reso conto che le persone volevano aprirsi e dedicarmi un po’ di loro e del loro tempo”. Per Alberto questo momento di scambio è diventato un rituale sacro.
“Credo che questo lavoro abbia qualcosa di magico, mi permette di andare al di là delle apparenze ed entrare in qualche modo nella vita delle persone restituendo loro qualcosa di reale. E più ci si parla, più le vite si mescolano. Questa, in fondo, è la vera forza di Ramorame18” ci spiega.
Ci si chiede come qualcuno che ha, nel contatto diretto con gli altri, il fulcro della propria esistenza e del proprio lavoro, stia affrontando questo periodo.
“Io e la mia compagna abbiamo deciso di trasportarci su Facebook. E la gente continua a contattarmi per raccontare storie o suggerire un tema per un evento. Stiamo ricevendo parecchie richieste da varie zone d’Italia e stiamo cercando di evadere al meglio tutti gli ordini. Pensa che abbiamo avuto una richiesta anche dal Venezuela. Chissà che quest’idea non prenda piede anche all’estero, in un prossimo futuro”.
Alberto ora è nel suo laboratorio, e sta aspettando un’altra storia.
E a te piacerebbe raccontargli la tua?
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