Forse alcuni bolognesi ricordano ancora il ruggito di Reno nelle calde notti estive. Reno era un leone, uno dei due esemplari che abitavano lo zoo dei Giardini Margherita. Creato nel decennio fascista e smantellato nei primi anni ottanta, il giardino zoologico ospitava una varietà di animali esotici e non. Capre, pappagalli, fenicotteri, scimmie, gru, daini. A pensarci oggi, quasi un secolo dopo, sembra un mondo lontano.
Dove una volta si trovavano le gabbie dei due mammiferi, ora spicca la Capanna Villanoviana che ospita un’importante realtà di cultura e di aggregazione per la città, Le Serre dei Giardini.
Uno dei progetti delle Serre, il Bestiario, mira a recuperare la memoria storica della città, invitando vari artisti a ricreare gli animali dello zoo con il proprio stile scultoreo.
Il leone Reno, in rete metallica e senza più ruggiti, “liberato” definitivamente e collocato in mezzo al verde sul tetto della sua ex-gabbia, è il re indiscusso di questo Bestiario e ha preso vita grazie alle mani e all’ingegno di un giovane scultore bolognese, Michele Liparesi.
L’inaugurazione simbolica della mostra, e viste le restrizioni per il Covid non sarebbe potuto essere altrimenti, si è svolta la scorsa settimana. Qualche amico che passa a scaglioni e un brindisi a distanza. Un momento intimo. Insomma, per pochi.
Michele intanto ha il merito di aver riportato in vita questa presenza emblematica con la volontà di restituire alla città un pezzo del suo passato. Con la sua opera, fatta spesso di materiali di riciclo e riuso, ci invita a riflettere sulla relazione tra l’ambiente e il tempo e sulla fragilità della nostra percezione di entrambi.
Le tue opere dialogano sempre con il contesto in cui sono inserite?
“È importante che le mie opere abbiano una relazione con l’ambiente e, se possibile, anche una relazione storica. Non amo i basamenti nella scultura e quando viene installata una mia opera deve entrare a far parte di quel luogo”.
Per molti tuoi lavori hai usato la rete metallica. Perché hai scelto proprio una rete e quale tipo di metallo usi normalmente.
“Durante i miei studi accademici ho usato e sperimentato vari materiali che potessero sostituire nella scultura quelli classici come la pietra, l’argilla e il legno. Ero molto legato allo stile figurativo e ho trovato nella reti metalliche un materiale leggero e modellabile, ma nello stesso tempo resistente, che rappresentasse la nostra epoca ed il nostro quotidiano.
Per esempio, la rete metallica che uso maggiormente, e con cui ho fatto Reno, è a maglia quadrata e quindi ricorda i rendering in 3D del computer. Il quadrato, con le sue prospettive, riesce a definire la forma nella sua completezza.
Mi dedico anche a recuperare componenti metallici da computer ed elettrodomestici non più funzionanti, poi li assemblo creando “Agglomerati Urbani”, città e metropoli immaginarie”.
Il tuo leone ricorda gli animali che hai creato per il tuo progetto F-Lux, che grazie all’interazione con la luce sembrano potersi muovere. Ai Giardini Margherita, essendo all’aperto, questo gioco non è possibile. Inoltre la rete richiama la gabbia, quella vera di Reno. C’è un’idea o una simbologia che vuoi trasmettere con la tua opera?
“L’idea che volevo dare per quanto riguarda il leone ai Giardini Margherita è un ‘ricordo del passato’, di quando Reno faceva parte di Bologna e del suo immaginario. La rete metallica che ho usato è la stessa che uso solitamente per ‘F-Lux’.
F-Lux è un’ istallazione interattiva dove il visitatore, munito di torcia, entra dentro una stanza buia nella quale sono appese alle pareti varie teste di cervidi. Grazie alla luce proiettata, le ombre delle sculture si muovono e creano delle animazioni dell’animale liberandolo dall’immobilità della gabbia e dal suo status di trofeo di caccia”.
Passando dal tuo lavoro al mondo dell’arte, cosa pensi dello stato attuale in cui riversa?
“Lo stato attuale dell’arte è in profonda crisi, non che prima non lo fosse, in Italia siamo abituati alla precarietà, ora però è globale.
Comunque parlare di mondo dell’arte è molto generale. Ci sono tecniche artistiche come la Digital Art o la Realtà Aumentata che ora non hanno alcun problema, anzi. Ma per quanto riguarda la scultura per un pò sarà difficile anche solo poter organizzare una inaugurazione”.
Si può vivere, solo, della propria arte? E se era difficile prima come sarà adesso post Covid?
“Si può vivere della propria arte, il problema è arrivarci, a vivere della propria arte. Vivere d’arte vuole dire rinunce e scelte mirate, sacrifici e compromessi. Una copertura economica di certo può essere d’aiuto ma non ci sono mai certezze nè percorsi prestabiliti. Anche una dose di fortuna, visto il periodo che stiamo vivendo, non farebbe male.
Comunque, per vivere d’arte devi volerlo e continuare ad insistere”.
Reno di Liparesi ci invita a riflettere sul ruolo della cultura in generale e dell’arte in particolare. E sull’importanza che possono avere in una società che si sta trasformando profondamente. La sua è un’arte capace di rinunciare alla propria esclusività, abbandonando l’appartenenza a una ristretta nicchia di conoscitori. Scende dal piedistallo, si offre allo sguardo di tutti ed emerge nella nostra quotidianità, per regalarci la propria armonia e leggerezza.
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