Matteo Benassi alias Riffblast si distingue per un gusto artistico, o meglio, per la capacità, non meno artistica, di modellare modelli, quelli religiosi e legati all’universo dell’infanzia in composti conditi con una forte punta di ironia e sarcasmo. L’intento è di poter ravvisare un ricordo, un pezzo del nostro personale vissuto.
In un incontro a tu per tu con l’iconoclasta di origini bolognesi, siamo andati a fondo dei suoi lavori e del suo stile, non meno importante poiché Matteo nasce fortemente legato al settore della moda da dove tutto ha avuto inizio. Con 51.300 followers su Instagram, Riffblast sfida i malpensanti e perbenisti a catalogare i suoi lavori come blasfemi a colpi di sana satira, per pensieri più leggeri e meno ostruzionisti. La temporaneità e le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella percezione dell’arte, in quella di Riffblast ancora di più, motivo per cui l’ironia diventa elemento base e imprescindibile.
Com’è si è fatta strada l’idea che è poi diventata base del tuo progetto, se non, in fin dei conti, progetto stesso?
«Sono sempre stato attratto dai colori acquerellati delle cromolitografie religiose, per un breve periodo le ho anche collezionate ma poi hanno tutte subito un restyling e hanno trovato casa. La componente cartoons legata alle icone è arrivata dopo vari tentativi (non sempre positivi) che non sentivo miei, come tatuare le parti scoperte del corpo o travestire il malcapitato da eroe dei fumetti intervenendo quindi in maniera massiccia sull’originale e coprendolo quasi per intero. Quello che faccio ora è un buon compromesso tra mondo antico e mondo cartoons che tra loro si sposano bene».
Di idee ne hai tante, disparate, non comuni e anticonvenzionali, ma quale tra tutte è quella che ritieni la meglio riuscita e nella quale senti maggiormente espresso il tuo potenziale nonché il tuo obiettivo di fondo, minimo comune denominatore a tutti i tuoi lavori?
«Difficile dirlo, ho una produzione smodata di opere proprio perché mi sento ancora all’inizio della mia carriera e voglio produrre il più possibile. Se devo sceglierne una allora è il caso di RIFFBLASTINOX, realizzato nel 2021: un mega coltellino svizzero che ho ricostruito con il compensato e che al posto dei classici utensili da coltellino svizzero ha delle lettere che compongono un anagramma a seconda di come le apri, nel 2023 vorrei riproporlo molto più grande del primo!».
Guardandoli non può che saltare all’occhio la forte componente religiosa e classica accompagnata dal variegato mondo dell’infanzia (Disney e Looney Tunes in primis), entrambi conditi con sagace e forte ironia: da dove la scelta di un connubio del genere?
«Dalla passione che ho sempre avuto per i colori delle vecchie icone acquerellate e per i cartoni della Walt Disney, entrambi hanno qualcosa di oscuro e mistico che per qualche ragione li sposa bene tra loro».
Il motivo è talmente ricorrente in ognuno dei tuoi quadri che viene spontaneo chiedersi che ruolo e posto abbiano questi due mondi, quello della religione e quello dell’infanzia appunto, nella tua vita e, soprattutto, quale sia stato nel tuo percorso d’artista?
«Da piccolo ero uno scout Agesci e in quanto tale ho dovuto servire messa per diversi anni, quando sei un bambino la tua fede non è tale da seguire messa dal calcio d’inizio fino alla fine perciò diventai un attento osservatore. Penso proprio che tutti quegli anni a dondolare incenso e porgere vino, fazzoletti e ostie mi abbiano lasciato qualcosa dentro tale da risvegliarsi dopo anni sotto forma di Riffblast».
Inoltre, ti chiedo quali reazioni incontri nel tuo pubblico nel gestire tematiche di questo tipo e quali ti aspetti o speri di suscitare? Che ruolo hanno nelle loro di vite?
“Fino ad ora non ho mai incontrato grossi paletti sulla mia strada, sarà perché ho sempre agito sul filo del rasoio. In un paio di occasioni in passato sono stato molto criticato ma dietro alla critica si nascondeva una diatriba vecchia come il mondo, cioè la gestione comunale di sinistra (che mi aveva lasciato esporre) contro quella di destra (che si lamentava perché la sinistra mi aveva lasciato esporre). Tendenzialmente quello che spero di suscitare è un bel ricordo, tutto quello che faccio è legato a ricordi positivi che le persone tengono nascosti e io voglio farglieli rivivere».
A tuo parere l’ironia può e deve fare da sfondo a temi più sensibili e qual è l’effetto originato? La lente sarcastica può essere tanto anacronistica da rendere argomenti quotidianamente difficili o più complessi da affrontare, più facili da gestire?
«Temporaneamente, ma in fondo è di questo che abbiamo bisogno no? Quando una persona vede un mio quadro può reagire in tre modi, rabbia/sorriso/risata ma in tutti e tre i casi è un sentimento temporaneo. Siamo un paese di corsa, non abbiamo tempo da perdere sullo stesso topic per troppo tempo».
In che luogo risiede l’ironia nella vita di tutti noi e quanto secondo te è importante? È abbastanza presente o ci prendiamo sempre e troppo sul serio?
«Con gli anni ho imparato che anche la persona più snob e altezzosa agli occhi altrui ha un lato in cui non si prende sul serio, il vero problema è che oggi tutti giudichiamo gli altri senza sapere chi abbiamo davanti, io per primo. L’ironia è proprio lì, nascosta. Se smetti di farti i problemi degli altri e verrà fuori».
Sul tuo profilo Instagram ti definisci “Iconoclast Hero”, ce ne spieghi il significato? Senti tuoi i termini sacro e profano? Li senti adatti alla tua arte?
«Iconoclastia è un termine che preferisco a Blasfemia. Blasfemia è l’unico vocabolo che la maggior parte della gente che vede i miei lavori conosce e io non lo sopporto, non l’ho mai sopportato perché penso non mi descriva in quanto semplifica il tutto in “non rispetto delle religioni o credo altrui”. Con il termine Iconoclasta intendiamo un distruttore di immagini sacre, ovvero quello che faccio io quando lavoro. Non copro mai volti nè li rendo oggetto di meme. Quello che spiego sempre è che oltre all’opera d’arte, a casa torni ad appendere anche il volto della Madonnina o di Gesù, così come si faceva una volta».
Raccontami del tuo percorso da zero, dai primi lavori, e di dove ti hanno portato.
«L’idea originale è semplice, è quella che ti fa pensare “Potevo farlo anche io”, un po’ alla Pollock. Tutti abbiamo disegnato un paio di baffi o un dente nero su una foto di un quotidiano, quello è stato il punto di partenza poi le cose si sono evolute sino a far uscire le sagome dalle cornici; l’arte non ha limiti e io ho voglia di esplorarli a fondo. La cosa buffa è che soltanto a ottobre 2023 avrò finalmente uno studio tutto mio, fino ad ora ho lavorato sul tavolo della sala di casa dove ora viviamo in tre ed è un bilocale di 50 metri quadrati».
E il rapporto con il mondo della moda? Dove si espande maggiormente il tuo mercato?
«Io vengo proprio da quel mondo, per anni ho lavorato in showroom come factotum ( una figura ancora troppo presente nelle aziende di moda del mondo e sempre troppo sfruttata) il mio ruolo spaziava dal portare il caffè fino alla vendita al tavolo e da lì ho avuto il primo assaggio di come l’arte sposa la moda. Da lì ho sfruttato l’onda del momento che casualità voleva fosse la personalizzazione di capi di abbigliamento fino ad arrivare ad oggi con aperture di brand store completamente allestiti con le mie opere. Mentre stiamo parlando sto collaborando con Dr.Martens per una nuova apertura su Bologna».
Quali sono i tuoi progetti futuri? Possiamo avere qualche spoiler?
«Chiunque risponda a questa domanda con un: ne vedrete delle belle, restate sintonizzati o qualcosa di grosso sta bollendo in pentola, mente. In questo lavoro come in qualsiasi altro puoi vederti scivolare via tutto in un istante. Mi sono sempre imposto di non aspettarmi nulla dal futuro e sono circa 7 anni che il progetto prende sempre più piede e a cadenza regolare arrivano proposte di mostre o collaborazioni. L’importante è essere costanti in quello che si fa e affamati di conoscenza per acquisire sempre più abilità. Sicuramente tornerò a Miami per Basel 2023 e finalmente a settembre sbarco in Asia con la prima collettiva a Tokio».
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