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“Appena ho capito che sarei rimasta a casa del tempo ho comprato un po’ di pellicole Polaroid”. Il progetto fotografico di Sandra Sisofo

04-05-2020

Di Sara Santori
Foto di Sandra Sisofo

Appena ho capito che sarei rimasta a casa del tempo ho comprato un po’ di pellicole Polaroid”.

È iniziato così il progetto fotografico che racconta la quarantena vissuta da Sandra Sisofo (con l’accento sulla i). 

 

Ci sentiamo al telefono qualche giorno prima che Conte annunci l’avvio della Fase 2.

Ho 50 anni, sono grande”, mi dice, come a descriversi in due parole da un capo all’altro del telefono, senza che l’una possa conoscere il volto dell’altra. 

Foto di Sandra Sisofo

Formazione artistica, grafica di professione, dipinge e “faccio foto da molto tempo”.

Ho sempre lavorato con le immagini, negli ultimi anni ho ripreso in mano la macchina fotografica, ho rivisto le pellicole, riassaporato la magia e alcune foto le stampo a casa.

Fotografo edifici e paesaggi urbani. Scatto anche ritratti, ma solo a chi conosco bene. Fatico a fare street art in senso classico, non sono una da battaglia.

Da inizio marzo ha pubblicato sulla sua pagina Instagram (vedi link in fondo) 15 Polaroid analogiche in bianco e nero scattate dentro casa. “Sto trascorrendo la quarantena a casa mia, da sola. Una casa un po’ angusta, dove non batte mai il sole, 40 mq in centro storico, dalla quale non posso vedere l’esterno: ho solo due finestre che danno su un affaccio interno.

Scorci domestici, reali e realistici, autoritratti sfuggenti, sguardi sull’esterno e sovrapposizioni tra analogico e digitale, tra dentro e fuori. 

Le prime foto pubblicate ritraggono una coppia di orchidee, l’angolo di un armadio aperto su una pila di panni accatastati in disordine, un piatto sopra un fornello a gas e poi sopra una tovaglia a riquadri. Sono datate 8 marzo, un giorno prima dell’inizio del lockdown nazionale.

Foto di Sandra Sisofo

Fanno già parte del progetto?

Sì. Ero già in quarantena. Ho avuto l’influenza e quindi la mia quarantena è iniziata anzitempo, a fine febbraio, soprattutto per rispetto verso gli altri.

La foto dell’armadio, incasinata, è la mia preferita. Mi piace, formalmente parlando”.

 

Le foto successive vengono pubblicate a cadenza piuttosto regolare ma non quotidiana. “Non le faccio tutti i giorni. Le Polaroid sono faticose, più che altro difficili tecnicamente, almeno per me, per via del controllo della luce”.

 

Come mai le hai scelte come formato per questo progetto?

Perchè la Polaroid è immediata, anche se non sono bravissima ad utilizzarla. È un oggettino, si ha a disposizione una carta precisa. La foto è in formato quadrato. E poi è un gioco, un po’ a sorpresa, c’è l’attesa, come nella camera oscura”.

 

Quando le chiedo di raccontarmi qualcosa di più del progetto mi risponde: “non saprei cosa dirti… quando ero strippata facevo un po’ di foto di dettagli dentro casa mia. In quei giorni non saprei descriverti le emozioni che provavo, le sto già rimuovendo. È nato per una mia esigenza di indagare la situazione che stavo vivendo”.

 

Ed è servito?

“Sì, un po’ è servito. Fare delle cose aiuta, è terapeutico”.

Il progetto non ha un titolo – “potrei chiamarlo ‘Senza titolo’; come molte delle cose che ho fatto” – ma ogni foto è accompagnata da hashtag e didascalie: #restiamounitiacasa intanto io sono da sola, unita e a casa; #iorestoacasa ma sono affaticata; #iorestoacasa per forza; #iorestoacasa perchè sono fortunata e ho una casa dove stare, #grazieatuttiquellicheacasanonpossonostare”.

Oltre ad hashtag con messaggi sociali: #stopwar, #stopsyrianwar, #stopfascism, #stopracism. “Li metto in base a quello che mi sento al momento, i primi giorni di quarantena stava succedendo un disastro in Siria e mi sembrava doveroso aggiungerli”.

 

Come hai vissuto – e stai vivendo – la quarantena?

“La reclusione negli spazi, quando non si hanno terrazzino e sbocco sull’esterno è un po’ più problematica. Ma non posso lamentarmi. È terribile per tutti, specialmente per chi ha subito la malattia e dei lutti”.

 

Com’è cambiata la tua vita in questo periodo?

Sono abituata a vivere da sola, ma avevo molte relazioni, ero spesso fuori. Le videochiamate non sono la stessa cosa. Ho continuato a lavorare da casa, ma si lavora di più, per la gestione del lavoro a distanza condiviso con altri.

Devo ammettere che sono entrata in Fase 2 un po’ prima; la gente non ce la fa più e qui in molti hanno cominciato ad uscire”.

 

Lavori in previsione saltati o rimandati?

“No, non avevo lavori saltati o rimandati.  Avrei avuto tempo di andare in giro a fare foto. Le ho fatte dentro”.

 

Cosa ti manca di più?

“Gli amici, le relazioni quotidiane, toccare le persone. E poi la luce, nel caso mio specifico. 

Non mi manca nulla di materiale, anche perché non ci sono state mancanze di quel tipo”.

Foto di Sandra Sisofo

 

Dove sono ora le Polaroid che hai scattato?

“Sono dentro una scatolina, per non prendere troppa luce, altrimenti cambiano colore, si antichizzano anzitempo”.

Le Polaroid rimangono fisicamente, anche quando tutto sarà finito e non ricorderemo più le emozioni provate.

 

Instagram: https://www.instagram.com/sandra_sisofo/ 

Blog: http://sandrasisofo.blogspot.com

Flickr: https://www.flickr.com/people/sandrasisofo/

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